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Marchiaro (Accenture): “Per implementare con successo l’AI in azienda bisogna superare la ‘pilotite’ e partire dallo use case specifico”


L’intelligenza artificiale generativa è sulla scrivania di ogni amministratore delegato e manager d’azienda. La curiosità è altissima, la pressione competitiva crescente e la sensazione di dover “fare qualcosa” per non restare indietro è palpabile. Tuttavia la strada per trasformare questa potente tecnologia in un vantaggio competitivo concreto è disseminata di ostacoli che non sono primariamente tecnologici, ma strategici e culturali.

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A delineare una mappa chiara delle sfide e dei fattori di successo è Mauro Marchiaro, Senior Managing Director Industry X Accenture ICEG, intervenuto durante un evento organizzato da Siemens Italia. Dall’osservatorio privilegiato di Accenture, che opera in modo capillare nel tessuto industriale italiano, emerge un quadro preciso delle difficoltà che le imprese incontrano nell’adottare soluzioni come l’AI. La diagnosi è netta: le aziende sono affette da quella che Marchiaro definisce, con una metafora efficace, una vera e propria “pilotite”.

Perché la “pilotite” è un problema

Con l’efficace neologismo della “pilotite” Marchiaro descrive una condizione diffusa: le imprese si cimentano con entusiasmo in innumerevoli progetti pilota, proof of concept e sperimentazioni isolate. Ogni divisione, dal procurement alla logistica, avvia il proprio test, spinta dalla voglia di esplorare le potenzialità dell’intelligenza artificiale.

Ma questo fervore, sebbene positivo in apparenza, raramente si traduce in un’implementazione su larga scala. I progetti pilota rimangono tali, esperimenti in un laboratorio aziendale che non diventano mai processi industriali consolidati e capaci di generare valore misurabile.

Questa “malattia”, secondo Marchiaro, nasce da un approccio frammentato. È la conseguenza diretta di una mancanza di visione strategica complessiva, dove la curiosità per lo strumento tecnologico prevale sulla disciplina necessaria a integrarlo nei processi di business. Le aziende dimostrano a sé stesse di “star facendo qualcosa con l’AI”, ma senza un piano per scalare, l’investimento in tempo e risorse rischia di disperdersi in iniziative che non comunicano tra loro e non contribuiscono a un obiettivo comune.

L’incertezza e la mancanza di una regia strategica

A frenare il passaggio dalla sperimentazione all’adozione su vasta scala contribuiscono altri due fattori interconnessi: l’incertezza e, soprattutto, la carenza di una sponsorship forte da parte del vertice aziendale.

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La paura di investire in una tecnologia in continua evoluzione

L’evoluzione dell’intelligenza artificiale è talmente rapida da generare un effetto quasi paralizzante. Come ha spiegato Marchiaro, un manager che oggi valuta un investimento significativo in una determinata piattaforma o tecnologia AI si chiede inevitabilmente cosa potrebbe succedere tra sei mesi o un anno. Il timore che la soluzione scelta diventi rapidamente obsoleta porta a rimandare le decisioni, a preferire l’attesa. Tuttavia questo attendismo ha un costo altissimo. Marchiaro è categorico su questo punto: chi oggi decide di posizionarsi come “follower”, in attesa che il panorama si stabilizzi, rischia di arrivare troppo tardi. Il momento per agire, pur con tutte le cautele del caso, è adesso.

Il ruolo del board e del CEO

L’ostacolo più grande, però, non è la paura tecnologica, ma la mancanza di una regia centrale. L’implementazione dell’AI non può essere delegata al singolo dipartimento, che sia l’IT, l’HR o la produzione. Per sua natura, è un piano di trasformazione che impatta l’intera organizzazione e come tale richiede un “buying” convinto da parte del CEO e dell’intero consiglio di amministrazione.

Marchiaro ha citato una survey condotta da Accenture un paio d’anni fa per misurare il “quoziente tecnologico” dei board delle più grandi aziende mondiali, i cui risultati si sono rivelati poco incoraggianti. Questo dato spiega perché spesso le iniziative sull’AI partano in modo disarticolato. Senza una “green light” strategica proveniente dal top management, che definisca priorità, obiettivi e un percorso chiaro, ogni sforzo rischia di rimanere confinato al suo silo, impedendo di raccogliere i benefici sistemici che la tecnologia potrebbe offrire.

I fattori chiave per accelerare la trasformazione

Se la diagnosi è chiara, altrettanto lo è la cura proposta da Marchiaro, che si articola attorno ad alcuni principi fondamentali per un’implementazione di successo.

Partire dal problema, non dalla tecnologia

L’errore più comune, dettato dalla frenesia del momento, è partire dallo strumento per poi cercare un problema da risolvere. L’approccio corretto è esattamente l’opposto. “Bisogna capire qual è il problema da indirizzare per poi capire qual è la giusta ricetta”, ha affermato Marchiaro. Che si tratti di ottimizzare una linea produttiva, migliorare la manutenzione predittiva o efficientare la supply chain, il punto di partenza deve essere sempre uno “use case” specifico, un’esigenza di business reale e sentita. Solo dopo aver definito con chiarezza l’obiettivo si può valutare quale tecnologia, e in particolare quale applicazione dell’AI, possa rappresentare la soluzione più efficace. Questo rovesciamento di prospettiva è il primo passo per evitare di cadere nella trappola della “pilotite”.

L’apertura all’ecosistema e la cultura del rischio

Nessuna azienda, per quanto grande, può pensare di avere al suo interno tutte le competenze necessarie per un progetto di trasformazione basato sull’AI. È indispensabile aprirsi e creare un ecosistema di partner. Implementare l’intelligenza artificiale non significa solo gestire algoritmi; implica affrontare complesse tematiche di cybersecurity, di compliance normativa e di responsabilità etica legata all’uso dei dati. Collaborare con business partner specializzati è l’unico modo per governare questa complessità. Inoltre è necessario sviluppare una nuova cultura del rischio. In un campo così innovativo, bisogna accettare che qualche iniziativa possa fallire o non portare al ROI atteso. Questo non deve essere un pretesto per “tirare il freno a mano”, ma va considerato parte integrante di un percorso di apprendimento che, nel complesso, porterà benefici indiscutibili.

La partnership tra Siemens e Accenture come modello

Le parole di Marchiaro sull’importanza di fare ecosistema trovano un riscontro concreto nella strategia di alleanze che le due aziende stanno perseguendo. Un esempio su tutti è l’iniziativa annunciata alla Hannover Messe di aprile 2025: la creazione dell’Accenture Siemens Business Group. Si tratta di una practice dedicata che mira a formare fino a 7.000 professionisti di Accenture sulle tecnologie del portafoglio Siemens Xcelerator. L’obiettivo è unire la leadership tecnologica di Siemens con le capacità di system integration, data e AI su vasta scala di Accenture.

La logica, come spiegato dalla stessa Siemens, è pragmatica: sebbene l’azienda sviluppi tecnologie all’avanguardia, la loro “messa a terra” negli ambienti industriali dei clienti è un’operazione complessa. Richiede competenze specifiche per integrare le nuove soluzioni con i sistemi IT e OT esistenti, spesso eterogenei e stratificati nel tempo. Questa partnership mira a creare un team congiunto di esperti, con professionisti Accenture che acquisiranno una conoscenza approfondita delle soluzioni software e di automazione di Siemens, per accelerare la trasformazione digitale dei clienti comuni. Si tratta di un’alleanza pionieristica, che vede Siemens come primo partner industriale ad aderire all’iniziativa Industry X di Accenture, a riprova della volontà di affrontare la sfida dell’implementazione in modo strutturato e collaborativo.

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La testimonianza di Marchiaro, che vede settori come l’automotive, l’industrial e l’energy muoversi con maggiore rapidità, offre una lezione universale. La tecnologia è solo una parte dell’equazione. Il vero valore, come ribadito nel dialogo, si crea nell’integrazione efficace dei sistemi e dei processi. È lì che la promessa dell’intelligenza artificiale diventa, finalmente, realtà industriale.



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