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altro che AI, servono le competenze trasversali


Leadership, comunicazione, resilienza: le aziende che investono sulle soft skills crescono di più e trattengono i talenti. Ma in Italia, per colmare il divario con gli altri Paesi europei, servono una visione di lungo periodo e politiche strutturali. L’approccio di OpenHS può offrire un contributo concreto, trasformando la formazione trasversale in una vera leva di competitività per il sistema Paese

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L’automazione e l’innovazione tecnologica stanno trasformando profondamente il mondo del lavoro, ridisegnandone i confini a un ritmo sempre più rapido. In questo scenario, le soft skills si impongono come una risorsa imprescindibile, destinata a fare davvero la differenza. Ridurle a semplici “abilità per andare d’accordo con gli altri” è un errore di prospettiva: questa visione semplificata non rende giustizia al loro impatto reale, soprattutto in ambito aziendale.

Le competenze trasversali – come intelligenza emotiva, pensiero critico, capacità di collaborazione e gestione dello stress – sono oggi essenziali per orientarsi in contesti incerti, prendere decisioni lucide e lavorare in squadra in modo efficace. Secondo il World Economic Forum, entro il 2030 circa il 39% delle competenze richieste nel mercato del lavoro sarà cambiato. Tra quelle che si stanno affermando come prioritarie figurano creatività, leadership, capacità analitiche e apprendimento continuo.

Ecco perché, quando si parla di formazione strategica, non ci si può limitare allo sviluppo delle sole competenze tecniche. Serve un approccio più ampio, in grado di mettere al centro anche le dimensioni relazionali e comportamentali. È proprio qui che le soft skills dimostrano il loro vero potenziale: non solo favoriscono l’occupabilità, ma rafforzano la coesione interna, aumentano la motivazione e contribuiscono al benessere complessivo delle organizzazioni. Tutti aspetti che, a differenza della tecnologia, non si possono automatizzare.

Lo stato dell’Italia nei dati dell’OCSE

Il ritardo dell’Italia sul fronte della formazione continua è confermato dai dati più recenti dell’OCSE. Secondo il rapporto “Survey of Adult Skills 2023”, gli adulti italiani tra i 16 e i 65 anni registrano punteggi inferiori alla media OCSE in literacy (245), numeracy (244) e problem solving (231). Circa il 35% della popolazione adulta si colloca nei livelli più bassi per lettura e capacità numeriche, mentre solo un’esigua minoranza – tra il 5 e il 6% – raggiunge i livelli più alti. Ancora più preoccupante è il quadro relativo alla risoluzione dei problemi: quasi la metà degli adulti italiani (46%) presenta competenze molto basse, a fronte di una media OCSE del 29%.

Il divario, però, non si limita alle competenze di base. In Italia soltanto due lavoratori su dieci partecipano ogni anno a percorsi di formazione professionale, un dato nettamente inferiore rispetto alla media dei Paesi OCSE. Anche sul versante delle imprese, la situazione non migliora: solo il 60% di quelle con più di dieci dipendenti offre opportunità formative, contro il 76% della media europea.

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Le ricadute di questo quadro sono chiare: chi possiede competenze deboli ha meno possibilità di trovare un impiego stabile, guadagna di meno e sperimenta livelli inferiori di benessere e salute. Il problema, però, non è solo quantitativo. Il sistema formativo italiano risulta spesso frammentato, con una governance dispersa tra livelli regionali e nazionali, incapace di garantire percorsi strutturati e continui. Secondo l’OCSE, una delle priorità per colmare questo divario è rafforzare la capacità delle Regioni di coordinare e rendere accessibile la formazione, avvicinando l’Italia agli standard europei.

ROI fino al 250%: ecco perché le soft skills sono strategiche

L’impatto positivo delle soft skills sulle performance aziendali è ormai confermato da numerose ricerche internazionali. Organizzazioni con team dotati di competenze trasversali sviluppate – come comunicazione efficace, collaborazione, gestione dello stress e intelligenza emotiva – registrano livelli più alti di produttività, una riduzione dei conflitti interni, maggiore engagement e migliori tassi di retention. Secondo una più recente analisi condotta da McKinsey e riportata su una piattaforma HR (Vorecol), le aziende che investono sistematicamente nelle soft skills ottengono un aumento della produttività stimato intorno al 22 %. Un incremento che, considerati costi soprattutto contenuti, può tradursi in un ROI superiore a 4 : 1.

Un report del MIT Sloan School of Management ha inoltre evidenziato come programmi di formazione in competenze trasversali possano generare un ritorno economico fino al 250% sull’investimento, grazie alla riduzione del turnover e al miglioramento delle relazioni sul posto di lavoro.

Non si tratta, dunque, di un esercizio di “educazione sentimentale”, ma di un investimento strategico con ricadute concrete sul business. Le soft skills rappresentano una leva fondamentale per affrontare la complessità del mercato, risolvere problemi in modo creativo e guidare il cambiamento con consapevolezza e resilienza.

Anche per questo il World Economic Forum, con il programma globale Reskilling Revolution, punta a riqualificare un miliardo di persone entro il 2030, concentrandosi proprio sullo sviluppo di competenze digitali e comportamentali. Alcuni Paesi europei – tra cui Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi – hanno già integrato modelli formativi orientati alle soft skills attraverso voucher per la formazione continua, centri di apprendimento permanente, incentivi fiscali per le imprese e percorsi inclusivi rivolti anche alle fasce più vulnerabili della popolazione attiva. La direzione è chiara: per restare competitivi, occorre investire nelle persone, non solo nelle tecnologie.

L’Italia cresce? Sì, ma troppo lentamente

Non tutto è negativo. Fra il 2007 e il 2016 l’Italia ha segnato un progresso nella partecipazione degli adulti alla formazione, con un aumento evidente – incluso tra le categorie più anziane – grazie a strumenti come i Fondi Formazione e i Centri per l’Educazione Permanente. Tuttavia, questa crescita non è sufficiente: la partecipazione resta ancora sotto gli standard OCSE, molti restano esclusi e il divario generazionale e socio-economico persiste.

Il nodo resta l’assenza di una cultura organizzativa forte che consideri la formazione continua, anche sulle soft skills, un asset strategico piuttosto che un costo. Ed è qui che misura e governance dovrebbero incontrarsi: raccogliere dati, monitorare progressi, fare benchmarking, coinvolgere imprese e terzo settore.

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Dalle persone al team, dal team all’azienda: il valore delle soft skills secondo OpenHS

In un contesto in cui la formazione sulle soft skills è sempre più riconosciuta come leva strategica per la crescita delle organizzazioni, si distingue l’approccio di OpenHS, piattaforma italiana che ha scelto di mettere al centro della propria offerta proprio lo sviluppo delle competenze trasversali. La ragione è semplice, ma tutt’altro che scontata: le soft skills sono ciò che permette alle persone di lavorare bene insieme, affrontare il cambiamento, prendere decisioni in situazioni complesse.

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Per questo OpenHS ha sviluppato percorsi formativi integrati che si fondano su metodologie attive e coinvolgenti: workshop esperienziali, formazione digitale, sessioni di coaching su temi come comunicazione assertiva, intelligenza emotiva, gestione dei conflitti e resilienza. L’idea guida è quella del processo, non della prestazione isolata. La formazione non è intesa come un evento una tantum, ma come un percorso continuo che si radica nella cultura aziendale, favorisce la coesione interna e contribuisce a migliorare la qualità delle relazioni sul lavoro.

Il modello proposto da OpenHS va oltre il semplice potenziamento delle competenze individuali. Si inserisce in una visione più ampia di sostenibilità organizzativa, in cui le persone vengono valorizzate come asset strategico per costruire benessere, trattenere i talenti e rafforzare la capacità dell’azienda di evolversi. L’obiettivo non è solo formare collaboratori più competenti, ma costruire team più forti e organizzazioni più capaci di adattarsi e crescere nel tempo.

Il divario che separa l’Italia dai Paesi europei più avanzati sul fronte della formazione continua è ancora evidente, ma non insormontabile. A condizione, però, che si agisca su più fronti: sistema, governance, cultura. Servono politiche integrate tra livello nazionale e regionale, strumenti economici accessibili, incentivi mirati, ma anche un cambiamento di mentalità che consideri la formazione trasversale come un investimento strutturale, e non come un costo accessorio.

Le soft skills non sono più un “plus” facoltativo scollegato dal lavoro vero. Sono la base della competitività, della resilienza individuale e della capacità di innovazione delle imprese. Investire su di esse oggi significa preparare persone e organizzazioni ad affrontare un futuro instabile e dinamico con maggiore lucidità e consapevolezza. Significa puntare davvero sul capitale umano.

L’esperienza di OpenHS lo dimostra: quando la formazione è continua, strutturata e integrata nei processi aziendali, i risultati arrivano. Non è necessario reinventare la ruota: è sufficiente applicare modelli efficaci, adattarli al contesto, monitorarne l’impatto e aggiornarli nel tempo. Perché oggi, più che mai, crescere significa saper trasformare la competenza in valore condiviso.





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