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Sostenibilità/ Imprese coesive: l’Umbria viaggia ma a fari spenti


C’è un’Italia coesiva anche al centro, ma troppo spesso invisibile. Il rapporto Symbola-Unioncamere rivela un’Umbria che, sulla coesività  delle proprie imprese, si racconta male. Le imprese coesive non sono poche, ma ancora troppo nell’ombra

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(UNWEB) Nel rapporto “Coesione è competizione” l’Umbria emerge come laboratorio possibile di sviluppo relazionale. Bene la manifattura in termini di coesività delle aziende, male la natalità imprenditoriale e il Sud della regione. Mencaroni: “Serve una narrazione forte per uscire dall’invisibilità”.

 

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La dichiarazione:

Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “L’Umbria non è in ritardo sulla coesione: è inascoltata. Abbiamo imprese che investono in capitale umano, che collaborano con il territorio, che innovano senza clamore e creano valore condiviso, ma restano ai margini del racconto nazionale. Serve una narrazione forte, radicata nei dati e nelle esperienze, che restituisca visibilità a questo patrimonio nascosto. Dobbiamo uscire dalla retorica dei territori fragili e iniziare a parlare di territori intelligenti, capaci di tenere insieme sostenibilità, competitività e legami sociali. Non si cresce da soli: l’ecosistema imprenditoriale funziona se c’è coesione. Il nostro compito, come istituzioni, è attivare connessioni, rafforzare le reti e valorizzare chi già opera con questa visione. Non è tempo di attendere: è tempo di rendere visibile ciò che funziona e metterlo al centro delle politiche di sviluppo”.


Il peso delle imprese coesive umbre è ancora marginale, ma significativo

Nel 2024 le imprese coesive italiane – cioè quelle che coltivano legami solidi con lavoratori, clienti, territori, istituzioni, scuola, terzo settore – sono arrivate al 44% del totale delle manifatturiere. Un dato in netta crescita: erano il 32% nel 2018.

L’Umbria, in questo scenario, rappresenta circa il 2% delle imprese coesive italiane. Un numero modesto se letto in assoluto, ma non irrilevante se si considera che il PIL regionale pesa solo per l’1,4/1,5%% sul totale nazionale. Significa che la propensione alla coesione è sopra media, anche se ancora troppo invisibile.


Manifattura umbra: coesiva, ma poco raccontata

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È nel comparto manifatturiero che l’Umbria mostra i segnali più promettenti. Qui, quasi il 40% delle imprese è classificato come coesivo. La regione si colloca all’11° posto tra le 20 regioni italiane per incidenza di imprese manifatturiere coesive.

Lontana dalle eccellenze come il Trentino Alto Adige (quasi 60%) o l’Emilia-Romagna (quasi 50%), ma comunque sopra il Lazio (anch’esso prossimo al 40%), sopra le Marche, e non distante dalla Toscana, che si attesta attorno al 40%.

Un dato solido, che segnala la presenza in Umbria di una manifattura relazionale, collaborativa, aperta, anche se ancora poco visibile e scarsamente sostenuta da politiche dedicate.


Umbria divisa in due: la coesione si ferma a metà

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Il rapporto distingue i territori in base all’intensità coesiva. Il Nord dell’Umbria, e in particolare la provincia di Perugia, mantiene una struttura relazionale attiva: più imprese coesive, più reti locali, più interconnessioni.

Il Sud, invece – Terni e l’area industriale circostante – scivola tra le aree meno coesive d’Italia. È un problema che va oltre i numeri: riflette anni di deindustrializzazione, perdita di capitale umano, debolezza del tessuto associativo e imprenditoriale.

Ricucire questa frattura è la vera sfida regionale per trasformare l’Umbria in un laboratorio nazionale di coesione economica.


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Sostenibilità e cultura: l’Umbria che sorprende

Contro ogni cliché, l’Umbria supera la media nazionale nella raccolta differenziata, dimostrando attenzione ambientale e senso civico. Anche l’utilizzo delle biblioteche, i dati sulla partecipazione civica e la fiducia interpersonale sono incoraggianti.

È un capitale sociale vivo, spesso più forte nei piccoli centri che nelle città. Un potenziale che può e deve essere messo al servizio dell’economia, a partire dalle imprese più avanzate.


Natalità d’impresa e valore aggiunto: il nodo che frena

Ma non mancano i punti deboli. Primo: la natalità imprenditoriale. L’Umbria è al 17° posto tra le 20 regioni italiane: avviare un’impresa, specie per i giovani, resta complicato.

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Secondo: il valore aggiunto pro capite, indicatore chiave della capacità produttiva e del benessere economico. L’Umbria è solo 13ª: troppo indietro rispetto ai territori coesivi del Nord.

Il rapporto è chiarissimo: dove cresce la coesione, cresce anche il valore aggiunto. I territori più coesivi producono fino a 38mila euro a testa, contro i 28mila di quelli meno relazionali. Dove ci sono reti, fiducia, collaborazione, si cresce meglio.


Non serve inventare capitale sociale: va attivato

L’Umbria non deve costruire da zero il suo capitale sociale: ce l’ha già. Ma serve renderlo visibile, produttivo, connesso. Il volontariato organizzato è sotto la media nazionale, ma la partecipazione civica è ampia e trasversale.

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Occorre favorire l’emersione di reti intersettoriali, valorizzare le competenze locali, mettere in contatto scuole, università, imprese, amministrazioni e cittadini. Non si tratta di copiare modelli esterni, ma di accendere le risorse già presenti.


Cinque leve per far uscire la coesione dall’ombra

Il rapporto Symbola non detta soluzioni, ma indica chiaramente cinque priorità operative:

1.     Rafforzare i legami tra imprese, scuola, università e terzo settore.

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2.     Premiare fiscalmente le imprese coesive, anche con strumenti regionali.

3.     Investire sul rilancio dell’Umbria meridionale, oggi in ritardo.

4.     Diffondere le best practice umbre, spesso troppo isolate.

5.     Scommettere su settori emergenti e coesivi: economia verde, turismo lento, manifattura di qualità.


La coesione è un motore economico, non solo un valore sociale

La coesione è un formidabile fattore produttivo“, ha detto il presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci, presentando il rapporto a Mantova. E l’Umbria ne ha una riserva importante.

Il problema non è la mancanza di coesione, ma la sua invisibilità. Un tessuto di imprese che lavora con qualità, responsabilità, relazioni forti: esiste già, ma non fa notizia.

Non è una questione di etica. È una questione di strategia. La coesione non è una parola gentile: è una leva industriale potente, che può fare la differenza nei territori in cerca di futuro.

 

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