Il sistema fiscale italiano è percepito da molti come “iniquo e vessatorio”: aumenta le disuguaglianze, penalizza i contribuenti e scoraggia la compliance spontanea. All’origine di questo malessere vi è una burocrazia fiscale che appare sempre più confusa, farraginosa e poco trasparente. Una riforma strutturale è oggi essenziale.
Banche dati: tante informazioni, pochi risultati
L’Italia dispone di un patrimonio informativo straordinario: fra 161 e 190 banche dati fiscali composte da fatture elettroniche, redditi, movimenti finanziari, transazioni bancarie e consumi. Il Sistema Informativo della Fiscalità (SIF) raccoglie miliardi di dati ogni anno, ma l’evasione resta elevata: circa 84 miliardi di euro all’anno. Il problema non è quindi la scarsità di informazioni, ma l’impossibilità di utilizzarle efficacemente in assenza di processi e semplificazioni amministrative.
L’Istituto Nazionale Tributaristi (INT) ha sottolineato l’urgenza di rendere interoperabili le banche dati fiscali per facilitare l’adempimento, ridurre gli oneri a carico di cittadini e professionisti e supportare la compliance. La legge delega del 2023 e la Legge di bilancio 2024 impongono già l’interoperabilità tra Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza e INPS, ma le implementazioni restano parziali.
Digitalizzazione a doppio taglio
Strumenti come fatturazione elettronica, scontrini telematici e precompilati volevano semplificare, ma molti li percepiscono come fonti di ulteriore complicazione. Sebbene la fatturazione elettronica abbia generato un incremento del gettito di 1,7–2,5 miliardi annui, i cittadini e i professionisti si lamentano di costi, oneri e procedure legate a nuovi adempimenti. Il sistema Civis, pensato come sportello unico, resta poco efficace, costringendo ancora a interazioni cartacee e contenziosi.
Intermediari finanziari e processo di semplificazione
Il monitoraggio fiscale sui flussi transnazionali è stato esteso per legge (D.L. 73/2022), abbassando da 15.000 a 5.000 € la soglia obbligatoria per la segnalazione di operazioni da parte di intermediari finanziari. Questo dimostra quanto la semplificazione debba permeare anche il ruolo di banche e professionisti: serve armonizzare la comunicazione dei dati e garantire un unico flusso informativo verso l’Agenzia delle Entrate.
L’uso di algoritmi come VeRa “verifica dei rapporti finanziari” rappresenta un passo avanti verso controlli mirati e predittivi; analizza conti correnti, immobili, investimenti e segnala situazioni di rischio in modo efficace. Ma senza una semplificazione organizzativa e normativa, l’Agenzia rischia di veder dispendio tempo e risorse in flussi di dati inutilmente elaborati.
Verso un fisco più semplice, equo e trasparente
Il carico fiscale cresce iniquamente: il 14 % dei contribuenti versa quasi due terzi dell’Irpef mentre molte partite IVA e microimprese evadono fino ai due terzi del dovuto. Un’imposizione fiscale alta, associata a un sistema complesso e poco trasparente, accentua un divario che mina la fiducia nel sistema e indebolisce il patto fiscale-sociale.
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Interoperabilità reale tra banche dati fiscali, come richiesto dall’INT e dalle leggi 2023–2024;
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Digitalizzazione supportiva, evitando adempimenti duplicati e rendendo veramente efficiente l’uso di strumenti come Civis;
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Processi chiari per gli intermediari, che possono diventare veri snodi informativi, non nuovi vincoli;
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Intelligenza artificiale a supporto, non come fine: controlli mirati e assistenza preventiva ai contribuenti;
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Sostenibilità sociale e redistributiva: semplificare per abbassare il peso fiscale su lavoro e imprese, ridurre l’evasione e rafforzare la progressività nel rispetto del welfare.
Intervista all’economista Alessia Potecchi
“Un sistema fiscale più giusto in Italia è possibile. Serve un cambio di paradigma: da frammentarietà informativa e strumenti disorganizzati a un fisco organico, semplice, equo. Solo così si potrà invertire il circolo vizioso tra complessità, evasione e sfiducia, restituendo dignità e fiducia a cittadini e imprese”.
Che cosa andrebbe aggiornato?
“Oggi noi abbiamo un sistema fiscale che non aiuta a rendere più snello, ma neppure più sinergico, il rapporto tra i contribuenti e lo Stato. Abbiamo la necessità di aggiornare lo Statuto del Contribuente in un momento in cui l’innovazione tecnologica si presenta in maniera forte sulla scena in passaggi che dobbiamo affrontare con competenza e lungimiranza. Vanno messe in connessione le varie banche dati e occorre un vero e proprio processo di semplificazione, la parola semplificazione deve caratterizzare sempre di più il ruolo dei cosiddetti intermediari finanziari. Il nostro sistema fiscale oltre ad essere iniquo e vessatorio perché allarga le diseguaglianze sul fronte del pagamento delle imposte, è un sistema complesso, confuso e farraginoso e di conseguenza fortemente respingente”.
Perché ha citato lo Statuto del Contribuente?
“Lo Statuto del Contribuente non viene spesso rispettato ed è violato nelle sue norme soprattutto per quanto concerne il discorso della retroattività, le tasse hanno valore in lunga prospettiva e le norme non devono essere retroattive perché questo tipo di applicazione diventa scorretta nei confronti dei contribuenti aumentando la sfiducia degli stessi nei confronti del sistema fiscale e dei propri doveri. Occorre superare la contrapposizione tra amministrazione finanziaria e contribuenti per creare un rapporto più familiare e positivo dei cittadini con il fisco e combattere meglio il discorso dell’evasione fiscale i cui proventi devono essere utilizzati per abbassare la pressione fiscale. Da troppo tempo il cittadino viene considerato un sottoposto dall’amministrazione pubblica e come reazione il cittadino non si fida dello Stato”.
Questa mancanza di rispetto nei confronto del contribuente contribuisce anche a peggiorare le diseguaglianze?
“Il fisco è uno strumento importantissimo per combattere le diseguaglianze e va utilizzato e speso in questa direzione: una politica fiscale seria ed equa è necessaria per sostenere il nostro sistema di welfare, per promuovere la giustizia sociale e contribuire allo sviluppo economico del Paese. Occorre creare un sistema e un clima di collaborazione, ma soprattutto vanno eliminati tutti quegli aspetti che rendono il nostro sistema fiscale non giusto. Occorre ridurre le tasse in maniera consistente a favore dei redditi medio bassi e delle famiglie. Meno tasse significa più consumo, più produzione, più lavoro. Meno tasse per le famiglie vuol dire favorire la crescita demografica. L’intervento sull’Irpef è una priorità, intervenire sulla frammentazione e sulla iniquità orizzontale e verticale, alcune categorie di contribuenti dispongono di sistemi fiscali più vantaggiosi e le tasse gravano sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati”.
Quanto alla politica finanziaria in generale, come si dovrebbe procedere?
“Occorre intervenire sulla politica finanziaria e su quella dei servizi sulle quali esiste una incapacità di controllo dei profitti. Va, all’opposto, perseguita una politica di vantaggi fiscali a sostegno dell’innovazione, della ricerca, dell’occupazione di qualità. Occorre prima o poi modificare l’Irap e il sistema delle addizionali che ha sin qui favorito diseguaglianze sociali ed economiche. Va diminuita la tassazione fiscale e parafiscale sul lavoro con una abile ed efficace lotta al lavoro nero che è ancora molto diffuso in Italia, vanno introdotte misure di vantaggio fiscale per superare i divari tra le regioni, favorendo gli investimenti e mettendo in atto politiche convincenti per evitare l’emigrazione all’estero delle imprese e di molti giovani laureati. La riforma deve essere complessiva noi oggi dobbiamo dare certezza a chi produce e consuma, investe e risparmia con un intervento volto a premiare il lavoro e a favorire l’attività di impresa”.
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