ROMA\ aise\ – “Una strategia nazionale per far tornare l’Italia ai suoi cittadini” attraverso un “sistema organico, accessibile, equo”, che “riconosca il valore di ogni persona che vuole tornare”, sia essa qualificata oppure no, e che trovi il giusto equilibrio tra politiche fiscali e sociali, ascoltando i territori, le Regioni e gli stessi cittadini e abbracciando “una visione più ampia, inclusiva e sostenibile”. È questa la conclusione a cui è arrivato il tavolo di lavoro del Cgie che ha impostato il documento sugli “Incentivi al rientro: una necessità strategica per l’Italia e per i suoi cittadini all’estero”, presentato questa mattina nell’ultima giornata di plenaria a Roma.
A illustrare i contenuti del documento all’assemblea riunita nella sede del Cnel, alla presenza del direttore generale Luigi Maria Vignali, è stato il presidente della VII Commissione Nuove migrazioni e Generazioni nuove, Matteo Bracciali (Acli).
“Circolarità” è stata la prima parola su cui Bracciali ha richiamato l’attenzione: gli incentivi al rientro oggi in vigore – regime di tassazione sull’imponibile al 50% per 5 anni, che sale al 60% per chi ha figli e all’80 per chi è altamente qualificato – “curano i sintomi di una malattia molto più profonda”, ha detto, riferendosi all’incapacità del nostro Paese di dare circolarità al fenomeno della mobilità. Ci sono poi gli incentivi di alcune regioni con una tradizione migratoria alle spalle – dal microcredito a tasso zero per chi avvia un’attività in Calabria al bonus casa in Trentino e Friuli Venezia Giulia – e quelli legati al ripopolamento dei borghi con meno di 3mila abitanti.
Di fronte a questa varietà di approcci, il Cgie ha elaborato alcune proposte raccolte nel documento, a partire dalla necessità di ampliare l’accesso agli incentivi anche a lavoratori “non iper-qualificati”. Le norme attuali favoriscono infatti il rientro di ricercatori, docenti universitari e professionisti altamente qualificati, ma tra gli italiani all’estero non vi sono solo “cervelli”, vi è anche una “emigrazione povera di cui si parla poco” ma che “esiste” e non ha i requisiti per accedere alle agevolazioni per rientrare in Italia.
Per “ridefinire i criteri di accesso alle misure di rientro”, costruendo un sistema più “equo” e “inclusivo”, il tavolo di lavoro ha individuato tre elementi, casa, lavoro e formazione, attorno ai quali “creare un ecosistema integrato per un rientro sostenibile”.
“Rientrare in Italia non è un gesto isolato”, ha spiegato Bracciali, “è una decisione complessa che coinvolge intere famiglie, impone costi e sfide pratiche e culturali”. Sul fronte abitativo, servono dunque “misure che vadano oltre il contributo una tantum”, come mutui agevolati e bonus per ristrutturazioni. Parallelamente “servono programmi di riqualificazione professionale, riconoscimento dei titoli esteri, corsi di aggiornamento finanziati dalle Regioni o dallo Stato”. Infine il sistema dovrebbe offrire “una rete di accompagnamento personalizzato” con sportelli territoriali, tutoraggio professionale e orientamento scolastico per i figli, accesso facilitato a servizi pubblici. “Solo in presenza di questo ecosistema è possibile costruire un rientro realmente sostenibile”, ha osservato il consigliere Bracciali, “che accompagni le persone per l’intero processo di reintegrazione sociale, economica e culturale”.
Si tratta di un approccio che Bracciali ha definito “olistico”, che, ha aggiunto, con politiche a medio e lungo termine, potrebbe favorire anche “il ripopolamento delle aree marginali”.
Per approfondire il tema il Cgie ha invitato oggi in plenaria due esperti: Michele Valentini, fondatore del Gruppo controesodo, e Gabriele Marzano, che ha portato l’esperienza della Regione Emilia-Romagna con sua legge sull’attrazione dei talenti.
Il Gruppo Controesodo è una “iniziativa civile” nata nel 2010, che oggi conta 5000 iscritti e che ha una duplice missione: “rappresentare le istanze dei lavoratori rimpatriati agli occhi della politica, per far sì che chi rientra dall’estero per lavorare in Italia sia rappresentato” e “aiutare chi è all’estero e ha bisogno di informazioni precise e affidabili sulle agevolazioni fiscali che il Paese riserva ai lavoratori rimpatriati”, visto che, ha sottolineato Valentini, la “stratificazione delle norme negli anni ne rende estremamente complicata la lettura”.
Già 25 anni fa, quando il gruppo ha preso forma, era chiaro a Valentini che c’era “un’emergenza “capitale umano” nel nostro Paese”, che colpisce ancora oggi soprattutto le “risorse più giovani alla ricerca di migliori opportunità”. Lo confermano gli ultimi dati della Fondazione NordEst: in 13 anni più di mezzo milione di italiani tra i 18 e i 34 anni ha lasciato il Paese per motivi di studio, per avere stipendi più adeguati, maggiori opportunità di lavoro o qualità di vita più elevata. “È un numero enorme”, ha osservato Valentini, il cui “costo” è stato stimato in 134 miliardi di investimento sulla formazione dei giovani che il nostro Paese ha di fatto regalato ai Paesi di immigrazione. C’è poi un altro dato “allarmante”: l’Italia, con un misero 6%, è all’ultimo posto in Europa per la capacità di attrarre giovani, a fronte del 43% della Svizzera e del 34% della Francia.
Secondo Valentini uno degli ostacoli al rientro è la normativa, che negli ultimi anni ha subito un balzo indietro. Nel 2019 post Brexit, infatti, la normativa era stata modificata per catturare flusso in uscita dal Regno Unito. “Con molta lungimiranza”, ha ricordato il fondatore del Gruppo Controesodo, “si studiò una normativa che prevedeva una agevolazione fiscale del 70% per 5 anni, più 5 anni aggiuntivi in caso di acquisto di una casa sul territorio italiano o la presenza di figli. Così concepita, la legge ha dato risultati enormi”: non solo le registrazioni al Gruppo sono aumentate di anno in anno del 30%, ma il numero dei rientri è passato dalle 27mila alle 40mila unità segnalate dal Mef nel 2023. Con la finanziaria del 2024, “l’esecutivo ha limitato moltissimo la portata delle agevolazioni fiscali per i lavoratori rimpatriati e ci troviamo oggi con regime monco”: con la riduzione sull’imponibile del 5% per soli 5 anni i rientri si sono ridotti del 40% e il tasso di “riespatrio”, ovvero di chi decideva di andarsene dopo aver tentato il rientro, è tornato al 50%, come nel 2014. Si tratta di una “doppia perdita per il Paese”, a livello di gettito fiscale oltre che umano.
Il Gruppo di Valentini non è rimasto a guardare e ha formulato e depositato una proposta di legge con l’intento di “favorire la permanenza in Italia di soggetti lavoratori qualificati, evitando la mobilità opportunistica”, e “promuovere un uso della maggiore disponibilità economica derivante dall’incentivo, orientandola verso settori e strumenti funzionali allo sviluppo del Paese”. In concreto ciò significa che i soggetti beneficiari dell’agevolazione potrebbero prolungarla di altri 3 anni a fronte di un investimento “qualificato”, ad esempio l’acquisto di azioni di pmi, l’investimento di capitale in start up innovative o in attività di ricerca scientifica, l’acquisto di obbligazioni dello stato o di quote di fondi strategici nazionali. “A garanzia della serietà dell’impegno del contribuente sono previsti vincoli temporali di detenzione o investimento”, oltre che un “importo minimo”, che per chi ha figli sarebbe “minore”. Un altro impegno sarebbe la “permanenza fiscale in Italia per almeno 4 anni”, ovvero uno in più rispetto a quelli concessi per l’agevolazione fiscale, che fungerebbe così da innesto di un “ciclo virtuoso”. L’auspicio è che “gli interlocutori politici la pensino nello stesso modo”.
Durante il dibattito che è seguito, Michele Valentini ha risposto alle domande e alle sollecitazioni dei consiglieri. Ha spiegato, ad esempio, che, secondo l’analisi del Gruppo Controesodo, “l‘Europa rappresenta il bacino geografico per eccellenza” per i rientri e all’interno dell’Ue Germania, Spagna, Francia e Svizzera sono i maggiori contributori; a livello globale, molti sono i rientri registrati da Stati Uniti e Paesi asiatici, mentre più “limitata” e “silenziosa” è la rappresentanza dal’America Latina e dall’Australia.
Ai consiglieri che hanno espresso le loro perplessità rispetto al rientro in Italia per giovani che vivono in “un contesto internazionale altamente competitivo” (Boccaletti), per i quali “gli incentivi non sono sufficienti” (Papandrea e Scigliano), che “non corrono verso l’incertezza quando hanno un buon guadagno e un buon futuro” all’estero (Gurrieri) e che qui si scontrano con “il problema della meritocrazia” (Romagnoli), Valentini ha risposto: il “rientro non può essere basato sul solo fattore economico”, ma questa è “la miccia” su cui il suo Gruppo si concentra. La prospettiva non può essere solo quella del lavoro, ma è anche “sociale e familiare. Soprattutto però “ci vuole coraggio”. Lui stesso ha raccontato di essere rientrato dall’estero insieme alla moglie tedesca: “se si pensa che l’Italia sia spacciata, lo diventerà”. La sua logica e quella della sua famiglia è stata invece “proviamoci!”. Come quella di numerosi iscritti al Gruppo Controesodo, che hanno titubato, ma oggi “sono contente” della loro scelta.
L’assemblea ha potuto ascoltare anche il contributo di Gabriele Marzano, responsabile della Direzione Generale Conoscenza, Ricerca, Lavoro e Imprese della Regione Emilia Romagna, che ha presentato la legge regionale 2/2023 sull’attrazione dei talenti.
Prima però ha fornito un’analisi del contesto allargato all’Europa, in cui la riduzione dei costi della mobilità in un regime sempre più concorrenziale ha generato lo sviluppo delle città come ecosistema urbano in cui si concentrano innovazione e ricerca, a scapito di quelle aree periferiche destinate allo spopolamento. “Le economie di agglomerazione hanno effetti di congestione, da un lato, e di depressione, dall’altro”, ha riflettuto Marzano, segnalando “l’invecchiamento della popolazione nelle regione oggetto di emigrazione” che prima o poi non saranno più bacino da cui attingere forza lavoro perché si esauriranno. Non a caso il responsabile ER ha denunciato in tutta Europa la “diminuzione di 3,5 milioni di persone in età lavorativa”. La stessa Emilia Romagna, che ha compensato l’abbassamento demografico con “immissioni costanti di popolazione da altre Regioni, in particolare dal Sud Italia”, dal 2024 registra un saldo negativo degli ingressi rispetto alle uscite.
Che fare allora per stimolare la “circolazione dei talenti”? Qui interviene la nuova legge regionale, i cui obiettivi specifici sono quelli di “offrire un quadro di coordinamento politico agli interventi, che già ci sono ma serve sistema organico di collaborazione” e “implementare servizi pubblici e privati destinati ai talenti ad elevata specializzazione”.
Diverse sono le aree di intervento previste, come l’istituzione di “forum territoriali”, cioè “servizi di informazione e promozione per i talenti e le loro famiglie nei Comuni”; c’è poi il sostegno alle università per il rafforzamento dei servizi di placement in favore di studenti, laureati e dottorandi; e lo “skills intelligence”, “un servizio di orientamento professionale universale e trasparente”, che offre in modalità interattiva i dati su competenze e profili professionali ricercati dalle imprese dell’Emilia Romagna. Legge prevede infine il monitoraggio dei partenariati siglati tra le università regionali e quelle all’estero, con l’obiettivo di organizzare incontri e portare avanti servizi specifici per la formazione e l’attrazione dei talenti.
Come in passato, anche in questa fase per la Regione sarà fondamentale la collaborazione con il Cgie, ha assicurato Marzano, rispondendo a chi (Bracciali) sottolineava la “difficoltà a costruire un ponte di informazione tra chi è all’estero e i soggetti che promuovono gli incentivi”. A tale scopo è nato anche il progetto It-ER International Talent che la Regione ha portato all’estero tramite i suoi “ambassador” e che il Cgie in futuro potrebbe sostenere. (r.aronica\aise)
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