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le sfide dietro l’ambizione europea


Troppo spesso quando si parla di transizione digitale si tende a dimenticare quanto questo sia un tema “fisico”. Senza reti, cavi, datacenter, satelliti e quant’altro, i dati non possono muoversi, non possono essere elaborati, e non possono essere fruiti dagli utenti e dalle imprese; e la digitalizzazione resta solo un’illusione.

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La recente decisione della Commissione Europea di introdurre un Digital Networks Act (DNA) appare dunque un importante passo avanti per garantire che la connettività europea sia sempre all’altezza delle sfide future.

Un’iniziativa che va nella giusta direzione, anche se restano ancora diversi aspetti da chiarire e perfezionare.

Gare per le frequenze e armonizzazione transnazionale

Tra i vari aspetti affrontati dal DNA, uno dei più importanti è quello legato alla gestione delle frequenze radio per la trasmissione dei dati. Uno spunto interessante era stato dato dal rapporto Draghi, che con coraggio aveva proposto un’armonizzazione dei processi di concessione delle licenze, inclusi i modelli di asta. Su questo fronte il DNA sembra essere molto più cauto, lasciando immutato lo status quo e spostando l’attenzione sulle nuove tecnologie, come il 6G e la connettività satellitare.

È un approccio pragmatico ma anche piuttosto attendista, visto che prima o poi sarà necessario superare l’attuale gestione nazionale dello spettro, che oggi viene ancora utilizzata da molti Stati per “fare cassa” a scapito dell’efficienza. Su questa materia, infatti, ogni Stato membro applica criteri, scadenze e prezzi diversi per le gare d’asta, generando distorsioni che rallentano lo sviluppo delle infrastrutture e danneggiano la competitività europea. L’Italia, ad esempio, ha tra i costi di assegnazione più alti d’Europa. Serve un sistema che garantisca condizioni eque, trasparenti e prevedibili, incentivando investimenti sostenibili e di lungo periodo.

Più interessante risulta invece la previsione del DNA sulla connettività satellitare, tema centrale anche nel dibattito politico italiano. Si tratta di una tecnologia complementare alle reti terrestri, soprattutto per le aree più isolate, e pertanto va considerata come strategica per colmare il digital divide. Non a caso, l’Unione Europea si è già messa al lavoro, sviluppando soluzioni di connettività in orbita terrestre bassa (LEO) che garantiscano autonomia tecnologica rispetto ai provider extraeuropei, sempre assicurando un buon livello di performance.

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Determinante, dunque, sarà l’efficace coordinamento tra il DNA e la futura legge europea sullo spazio. Eventuali conflitti normativi rischierebbero infatti di fare molti danni.

Fair share: un equilibrio da trovare

Entriamo ora in uno dei dibattiti più accesi, quello sul cosiddetto “fair share”, ovvero il contributo economico che gli operatori di telecomunicazione vorrebbero ottenere da parte dei grandi generatori di traffico (Netflix, Google, Meta) a compensazione del fatto che questi ultimi utilizzano le infrastrutture di rete per fare business.

Il DNA introduce un meccanismo di risoluzione delle controversie, che potrebbe rappresentare un compromesso utile, evitando però trasferimenti automatici di risorse, visto che – come testimonia il report 2024 del BEREC – nel mercato non esistono sistematici squilibri tali da giustificare drastici interventi regolatori. Come ho suggerito anche in passato, invece di misure redistributive per compensare la crisi di un settore che fatica a innovare, dovremmo favorire lo sviluppo di nuovi modelli di business per le telco, che possono giocare un ruolo chiave nello sviluppo dell’AI e nella crescente domanda di dati globale.

Dismissione del rame: avanti, ma con cautela

Un altro importante nodo affrontato dal DNA è la dismissione della rete in rame in favore della fibra, più efficiente, sostenibile e performante. Un intervento normativo appare necessario visto che alcuni paesi, come l’Italia, sono in ritardo sugli obiettivi UE del Decennio Digitale che prevedono lo switch off del rame entro il 2030.

Sebbene l’obiettivo sia condivisibile, la transizione deve essere gestita con attenzione, evitando che le aree rurali restino prive di connettività e che i costi ricadano interamente sui cittadini. Gli operatori vanno incentivati, ma senza scaricare su famiglie e imprese l’onere del cambiamento. Vedremo in che modo interverrà la normativa.

Sicurezza e resilienza delle reti nel DNA Ue: 5G, 6G e cavi sottomarini

In uno scenario geopolitico di forte tensione, le infrastrutture digitali rappresentano a tutti gli effetti obiettivi militari sensibili, sia da un punto di vista fisico che cibernetico. Oggi, la resilienza delle reti è infatti una priorità a cui l’Europa non può rinunciare e per questo il capitolo del DNA dedicato alla protezione e alla resilienza delle reti assume un rilievo cruciale.

Il DNA si ripromette di attuare l’impianto normativo del Cybersecurity Act, prevedendo un sistema di certificazione armonizzato a livello europeo anche per le apparecchiature 5G e le future reti 6G, promuovendo l’adozione da parte degli Stati membri di fornitori identificati come “a basso rischio” sulla base di criteri comuni e oggettivi.

Si tratta di un approccio che, sebbene complesso da implementare, è preferibile a logiche arbitrarie di esclusione di fornitori in base alla nazionalità. Un sistema basato su criteri oggettivi consente di garantire sicurezza, preservando la concorrenza e la possibilità per l’Europa di dotarsi delle migliori soluzioni tecnologiche.

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Particolarmente positiva è l’attenzione ai cavi sottomarini, attraverso cui passa oltre il 99% del traffico internet globale. Nonostante la maggior parte dei danneggiamenti dei cavi sia inintenzionale, queste infrastrutture sono sempre più vulnerabili ad attacchi ibridi e sabotaggi.

Sono convinta che garantire la sicurezza e la resilienza dei cavi debba essere una priorità strategica dell’Italia, oltre che dell’Unione Europea, e proprio per questo sono in procinto di depositare una risoluzione parlamentare per impegnare il Governo italiano a farsi promotore della revisione della normativa di riferimento.

È necessario aggiornare la normativa internazionale di riferimento, adeguandola alle nuove modalità di attacco alle infrastrutture sottomarine, attraverso l’adozione di criteri formali, specifici e condivisi per individuare il responsabile e lo Stato competente, e prevedere inoltre un sistema di licensing che includa anche la capacità di intervento e riparazione, e un possibile sostegno da parte dell’European Defence Fund.

Coerenza normativa e semplificazione nel Digital Networks Act Ue

Il DNA nasce in un contesto normativo europeo già molto denso. Dal 2021 l’UE ha approvato oltre 75 atti normativi nel digitale. Per evitare che diventi un ulteriore strato di complessità, serve una visione strategica e coordinata, che sappia semplificare, integrare e valorizzare quanto già esiste.

Per esempio: quale sarà il rapporto tra il DNA e l’attuale Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (EECC)? Non è ancora chiaro se il nuovo atto andrà a sostituirlo o integrarlo.

Questo punto è cruciale: sovrapposizioni normative rischiano di creare inefficienze e incertezza giuridica, proprio ciò che il DNA dovrebbe evitare. Esperienze passate in altri settori, come la cybersicurezza, insegnano che l’accumulo normativo spesso complica lo scenario anziché semplificarlo.

Secondo la European Tech Alliance, fino al 60% delle risorse delle startup europee è oggi assorbito dalla compliance normativa. Ogni euro speso in burocrazia è un euro sottratto all’innovazione. Il Digital Networks Act ha un grande potenziale, ma solo se saprà essere uno strumento abilitante, non un ostacolo.

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