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Capitali a caccia di idee


In dieci anni il Venture Capital italiano ha iniettato nelle startup circa 8,6 miliardi di euro (+ 467% dai 194,3 milioni del 2015) circa 7 dei quali investiti dal 2020 al 2024. In pratica, secondo l’analisi “State of Italian VC” di P101, uno dei principali gestori di fondi di venture capital in Italia, nel corso degli ultimi cinque anni l’Italia ha guadagnato terreno, classificandosi decima in Europa per investimenti. Ha superato l’Austria (6 miliardi) e il Portogallo (5 miliardi), ma resta lontana dalla Spagna (13,1 miliardi di euro) e dai tre Paesi che continuano a dominare il mercato: Regno Unito (114,2 miliardi di euro), Francia (50,6 miliardi di euro) e Germania (48,8 miliardi di euro). «In dieci anni il Venture Capital italiano si è trasformato diventando un’industria: siamo passati da circa 30 a 150 operatori», sottolinea Andrea Di Camillo, founder e managing partner di P101. «Resta però ancora molto da fare per colmare il gap con gli altri Paesi europei. Investimenti pro-capite in fondo alla classifica europea generano ovvie conseguenze: meno aziende, operatori sottodimensionati, meno storie di successo, maggiore difficoltà ad espandersi internazionalmente e quindi un processo di rinnovamento imprenditoriale con cicli più lunghi. Il mercato deve diventare più dinamico e il VC deve continuare a crescere con il supporto di capitali pazienti, perché l’orizzonte temporale dell’innovazione non può essere di breve termine». Venendo ai dati più recenti, nel 2024  gli investimenti europei in Venture Capital sono arrivati a sfiorare i 60 miliardi di euro attraverso 13.451 operazioni (-22%), con l’Italia che ha investito 1,1 miliardi (-9,5% rispetto al 2023) attraverso 628 deal (-28%). Il capitale mediano investito in startup italiane ha raggiunto i 540.000 euro, più che raddoppiato dai 250 mila di euro del 2023 e quintuplicato dai 110 mila euro del 2015. Nonostante ciò, l’Italia rimane ben al di sotto di Spagna (un milione di euro), Francia (2,19 milioni di euro) e Germania (3,22 milioni di euro).

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Il nostro Paese resta quindi sottodimensionato rispetto agli altri grandi Paesi europei. A ribadirlo recentemente è stata anche Banca d’Italia che, tra le cause di quello che viene definito come un evidente “sottosviluppo”, indica diversi fattori: poche idee innovative e brevettabili, fondi di investimento ancora troppo piccoli e uscite difficili per chi investe. 

«Una startup deve rispondere in chiave innovativa e tecnologica a un bisogno di mercato, con l’ambizione di sviluppare un prodotto o servizio scalabile a livello globale», sottolinea Gabriele Ronchini, Ceo di Zest Investments. «Per noi l’elemento cruciale è il team. Investiamo sulle persone, che devono unire competenze, capacità di execution e, appunto, uno spirito imprenditoriale mosso dall’ambizione di conquistare i mercati internazionali. La tecnologia e la scalabilità del prodotto sono ovviamente elementi molto importanti nell’ambito della decisione di investimento, così come le potenziali applicazioni industriali in chiave di exit, ma le persone e le capacità imprenditoriali sono per noi il driver principale». Secondo Ronchini, l’errore tipico di chi fa startup, specie nella fase iniziale, è innamorarsi della propria idea a tal punto da non metterla mai in discussione: «Puoi aver realizzato il software o la tecnologia più avanzata e più bella del mondo, ma se non c’è nessuno disposta ad utilizzarla, se il mercato non risponde, devi essere pronto a cambiare, a fare pivot, a intercettare un bisogno di mercato. Anche qui, la chiave sono le persone, i founder. Il rapporto tra investitori e founder, specie nelle fasi iniziali, deve costruirsi su queste basi: noi diventiamo soci di un’impresa con l’obiettivo di supportarla verso il successo. I risultati e i traguardi della startup sono anche i nostri e il nostro successo dipende dal loro».  

La validità dell’idea imprenditoriale sviluppata dalla startup costituisce il punto chiave anche per Giovanna Dossena, founder e principal di Avm Sgr: «Le competenze e il background dei fondatori e del team operativo rappresentano un fattore molto importante. Allo stesso modo, possedere dei brevetti o dei vantaggi competitivi rispetto agli altri operatori del settore è un altro aspetto da non sottovalutare», dice. «Sono la validità del prodotto o del servizio offerto e la visione a rendere interessante l’investimento in una startup, non la sua dimensione. Il rapporto tra startup e investitori è molto spesso sfidante, sia in termini di equilibri che in termini di dimensioni e tempistiche dell’investimento. Le criticità sorgono solitamente in caso di mancato allineamento tra imprenditore e investitori sulla gestione dell’operatività e soprattutto sulle prospettive strategiche e a medio termine. L’aspetto chiave che distingue l’investimento di un Venture Capital – e chiave per rendere il rapporto tra imprenditore e investitore bilanciato e profittevole – è la volontà di valorizzare la società e accelerarne lo sviluppo, sia attraverso la crescita organica e il miglioramento della posizione competitiva sul mercato che tramite un piano di acquisizioni e aggregazioni». 

L’errore più frequente da parte degli startupper, lamentato da diversi operatori, «è quello di presentarsi senza un business model solido, senza metriche convincenti o con aspettative irrealistiche sulla valutazione e senza una strategia di exit ben definita. Una valutazione dell’azienda eccessivamente alta rispetto al reale valore di mercato rischia di allontanare gli investitori. La mancata preparazione nel gestire il rapporto con gli investitori può essere un problema, portando a tensioni e divergenze di visione», sottolinea Mauro Odorico, co-founder e partner di Linfa, fondo gestito da Riello Investimenti Sgr. «Linfa seleziona aziende che propongono soluzioni innovative, come la digitalizzazione della filiera, proteine alternative e, più in generale, in nuove tecnologie per un’agricoltura più sostenibile. L’obiettivo è sostenere realtà capaci di generare impatti concreti, migliorando la produttività del settore e riducendo il consumo di risorse naturali. Nel nostro caso, l’approccio integra la crescita finanziaria con l’analisi dell’impatto ambientale, favorendo modelli di business sostenibili e competitivi. Il team di investimento applica un approccio hands-on che si caratterizza per la gestione attiva delle partecipate, definendo una roadmap chiara, con obiettivi finanziari e ambientali e un monitoraggio costante delle performance aziendali. Per un fondo a impatto come Linfa è importante inoltre che le aziende abbiano delle metriche per misurare l’impatto ambientale, in modo da essere quantificabile e traducibile in vantaggi competitivi concreti». Guardando invece al settore nel suo complesso, «la principale criticità nel rapporto impresa-investitore è il possibile disallineamento tra gli obiettivi di crescita e il ritorno atteso. Per superarlo, servono comunicazione trasparente, governance chiara e un accordo sugli orizzonti temporali e sulle strategie di exit che devono essere ben definite e realistiche, attraverso un’acquisizione, una Ipo o una fusione con un player industriale».  

Avere una chiara strategia di exit tuttavia non è sufficiente: «La visione di breve termine è altrettanto importante rispetto alla capacità di proiettare il business sul futuro», puntualizza Giorgio Di Stefano, founder and Ceo del venture incubator Key Capital. «L’impresa in cui noi andiamo a investire direttamente deve essere in grado di generare ricavi fin da subito anche se ovviamente saranno di gran lunga inferiori rispetto a quanto prevediamo possa realizzare nel lungo termine. Lo startupper deve essere in grado di sapersi confrontare con gli investitori sul potenziale apprezzamento della partecipazione in portafoglio e sul moltiplicatore che è possibile attendersi. Gli operatori che investono direttamente le proprie risorse nelle imprese come Key Capital, e non attraverso fondi, incorrono in un elevato livello di rischio e per questo motivo hanno la necessità di creare un portafoglio diversificato». 

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«In Italia nascono molte buone idee, ma spesso non decollano per motivi solo indirettamente attinenti alla mancanza di capitali: le fragilità finanziarie mascherano ben più profondi e gravi limiti di mentalità e visione degli start upper e di execution dei business plan», aggiunge Sebastiano Provenzano, co-founder e general manager di Key Capital. «Cultura dei founder, creazione di valore e obiettivi realizzabili nel breve termine rappresentano leve chiave dei nostri investimenti. Lo start upper non può pretendere di dipendere esclusivamente da aumenti di capitale o sperare in exit facili; deve invece imparare a costruire valori reali, soprattutto in ecosistemi complessi e frammentati come il nostro. Non si può pensare di replicare il modello Silicon Valley in un contesto che parla un’altra lingua. Le risorse finanziarie vanno attratte con visioni scalabili e metriche concrete, ma vanno anche invitate a entrare nel cuore pulsante dell’impresa, a condividere scelte, governance e performance oltre ai rischi impliciti degli impieghi».

il 2024 secondo aifi

Secondo l’Osservatorio Venture Capital Monitor – VeM attivo presso Università Liuc e Aifi, il 2024, per il venture capital in Italia, si è chiuso con 300 operazioni. Per quanto riguarda l’ammontare investito sia da operatori domestici che esteri in startup italiane, il valore si attesta a 1,2 miliardi di euro distribuiti su 270 round: ammontare in aumento rispetto a 1,1 miliardi nell’anno passato, diminuisce il numero di operazioni (erano 302 nel 2023). In aumento l’ammontare investito in realtà estere fondate da italiani, che si attesa a oltre 700 milioni di euro distribuiti su 30 operazioni (oltre 300 milioni in 28 round nel 2023). Sommando queste due componenti, il totale complessivo si attesta a 1,9 miliardi di euro (erano 1,4 miliardi nel 2023). Relativamente alle startup con sede in Italia, venture capital e corporate venture capital hanno investito 592 milioni di euro su 182 round, le attività di sindacato tra venture capital, corporate venture capital e business angel hanno fatto registrare investimenti pari a 610 milioni di euro su 88 operazioni e i soli business angel hanno investito 47 milioni in 102 round. Il totale di queste attività porta la filiera del Venture Capital in Italia ad aver investito oltre 1,2 miliardi di euro su 372 round. Aggiungendo anche gli investimenti in startup estere con founder italiani, il totale complessivo si attesta a 2 miliardi di euro su 406 round. Dal punto di vista settoriale, l’Ict monopolizza l’interesse degli investitori di venture capital, con una quota del 38% delle società target. L’Ict è costituito per il 28% da operazioni su startup nel comparto dei digital consumer services, e per il 72% su società con focus su enterprise technologies. A seguire, il 9% delle target oggetto di investimenti initial è stato diretto verso le Biotecnologie, l’8% verso il comparto del Fintech; Energia e Ambiente ed Healthcare, invece, attraggono il 7% degli investimenti.

I settori più attraenti

Nel 2024 gli investimenti sono stati dirottati dall’economia digitale alla sostenibilità, all’automazione e all’aerospaziale. Se nel recente passato gli investimenti di VC in Italia si sono concentrati su FinTech, E-Commerce e SaaS – che complessivamente in cinque anni hanno attratto rispettivamente 1,77 miliardi, 1,46 miliardi di euro e 1,46 miliardi di euro – nel 2024 l’Italia ha accelerato sul deeptech su cui ha investito 693 milioni di euro (+14% sul 23, ma in crescita di 7,5 volte rispetto agli 84 milioni di euro del 2015). Fanno parte di tale ambito il CleanTech, il settore più finanziato in Italia con 306 milioni di euro, (+71% anno sul 23 e +1.327% dal 2020), seguito da Space Technology (161 milioni di euro, +233% sul 23 e +1.508% dal 2020) e Robotics & Drones (161 milioni di euro, +443% sul 23 e +1.230% dal 2020). I tre segmenti evidenziano una crescita vertiginosa a 5 anni, a conferma della forte evoluzione dei trend di investimento. Il settore dell’intelligenza artificiale e Machine Learning (AI e ML), è sesto in Italia (155 milioni da 193 milioni del 2023), mentre la Cybersecurity ha quasi triplicato i finanziamenti, raggiungendo i 52 milioni.



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