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Le banche finanziano la crisi climatica, ignorando scienza e regole


A fine 2015 veniva siglato l’Accordo di Parigi, da molti considerato il maggiore successo della comunità internazionale nella quasi trentennale storia delle Conferenze delle parti sul clima (Cop) e più in generale nell’azione per contrastare i cambiamenti climatici. I governi del mondo si impegnavano a contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto al periodo pre-industriale. Tra le novità più rilevanti, l’Accordo citava esplicitamente il ruolo che la finanza avrebbe dovuto giocare nel raggiungere questi obiettivi.

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La comunità scientifica ha certificato che il riscaldamento globale ha già raggiunto tale limite. Secondo i dati del Copernicus Climate Change Service dell’Unione europea, la temperatura media globale tra aprile 2023 e marzo 2024 risulta essere 1,58 gradi centigradi al di sopra della media dell’era pre-industriale. Anche se tecnicamente le misurazioni relative a un solo anno non sono sufficienti per certificare la media climatica, l’indicazione è estremamente preoccupante, per non dire di peggio.

Le banche continuano a finanziare la crisi climatica

Se governi e istituzioni internazionali sono ritenuti i maggiori responsabili, il sistema finanziario ha giocato e sta giocando un ruolo assolutamente centrale. Il rapporto Banking on Climate Chaos analizza proprio il periodo che va dalla firma dell’Accordo di Parigi a oggi. E i dati sono terrificanti. Probabilmente quello peggiore non è l’incredibile cifra di 7.900 miliardi di dollari assicurati alle imprese fossili nell’ultimo decennio. È la continua crescita. Nel 2024 i finanziamenti sono stati superiori di 162 miliardi di dollari rispetto al 2023.

Come dire che, se con l’Accordo di Parigi la comunità internazionale ha finalmente preso coscienza dell’urgenza di agire contro i cambiamenti climatici, la finanza ha proseguito imperterrita nella direzione diametralmente opposta. Ma forse c’è persino di peggio. I finanziamenti arrivano sempre più copiosi per qualsiasi impresa, regione o attività. Nessuna esclusione, nessun limite. Non esiste azienda abbastanza insostenibile, ecosistema abbastanza delicato o in pericolo (dalle regioni artiche alle foreste pluviali) o tecnologia abbastanza sporca (dal carbone alle sabbie bituminose) per non essere inondata di miliardi da questo sistema finanziario. 

Una finanza fuori controllo, ostile al clima

È ora di affermare senza mezzi termini che questa finanza è probabilmente irriformabile e irredimibile. Per alcuni anni le banche hanno fatto a gara per presentarsi come “sostenibili”, “responsabili”, “green” e chi più ne ha più ne metta. Alla Cop di Glasgow, nel 2021, era nata un’alleanza per le zero emissioni nette che vedeva la partecipazione di quasi tutti i più grandi gruppi finanziari del pianeta. Un’alleanza presentata in pompa magna, come una svolta storica e definitiva nell’impegno contro i cambiamenti climatici. 

Solo pochi anni dopo, il vento è completamente cambiato. Da un lato dell’Atlantico l’elezione di Trump. Dall’altro la nuova Commissione von der Leyen in Europa che passa dalla sostenibilità alla competitività. La finanza salta sul carro e conferma come il presunto impegno per il clima fosse solo una gigantesca quanto scandalosa operazione di greenwashing. Le diverse alleanze di banche, assicurazioni o altre imprese finanziarie per le zero emissioni registrano defezioni in serie, rivedono al ribasso i propri obiettivi, arrivano persino a cancellare ogni riferimento alle zero emissioni nette, ovvero alla loro stessa ragione di esistere.  

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La finanza dovrebbe guidare la transizione, ma non lo fa

La finanza dovrebbe essere uno strumento al servizio dell’economia e dell’insieme della società. Dovrebbe dare il proprio contributo nel risolvere le sfide che dobbiamo affrontare. E quella dei cambiamenti climatici è la più urgente e la più difficile. La comunità scientifica ricorda come servirebbero investimenti enormi tanto per la mitigazione quanto per l’adattamento, e più in generale per una riconversione dell’insieme del sistema produttivo. E di conseguenza come la finanza dovrebbe avere un ruolo centrale in questo percorso.  

Ma questo significherebbe investimenti e una visione di lungo periodo. Una cosa semplicemente inconcepibile per un sistema finanziario strutturalmente centrato sulla massimizzazione del profitto nel minore tempo possibile. L’ultimo rapporto Banking on Climate Chaos ha definitivamente sancito, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che non ci si può affidare unicamente a logiche volontarie e alla “responsabilità” degli stessi attori finanziari per cambiare rotta. La finanza oggi è uno, se non il principale problema. Non possiamo aspettarci che diventi parte della soluzione. 

Solo regole vincolanti possono fermare la finanza fossile

Per questo, oltre al necessario impegno dal basso sull’uso dei nostri soldi, servono regole chiare e vincolanti. Se la finanza ragiona solo in termini di profitti, servono normative per rendere rapidamente e progressivamente più costosi e meno convenienti i finanziamenti alle fossili. Iniziando da subito a riconoscere e internalizzare il rischio ambientale di ogni euro che va alle fossili e, in maniera speculare, a favorire gli investimenti di lungo periodo nell’efficienza energetica e nella transizione. Ci sono movimenti in questa direzione. Un esempio è la proposta di un Trattato per un’uscita dalle fonti fossili, il Fossil Fuel Non Proliferation Treaty. Alcune banche, tra le quali Banca Etica, hanno aderito

Se la finanza etica era nata anche con l’obiettivo di ispirare e contaminare il sistema finanziario, oggi dobbiamo prendere atto del fatto che questa spinta non è sufficiente. La finanza etica non rappresenta più unicamente un esempio, ma prima ancora una sfida per la finanza tradizionale. Mostra concretamente che si può operare in maniera radicalmente diversa. E traccia una strada che la gran parte della finanza ha dimostrato di non volere seguire. Servono normative vincolanti per costringere l’insieme del sistema finanziario a operare non contro, ma a favore dell’ambiente e della società. Finché abbiamo ancora una finestra di tempo per agire. 

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