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Paolo Streparava: «L’auto tedesca deve vincere la sfida con la Cina, solo così le nostre aziende torneranno a crescere»


di
Massimiliano Del Barba

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Il neo presidente di Confindustria Brescia sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici: «Ai sindacati dico che è il momento delle alleanze»

Paolo Streparava, lo scorso giovedì 12 giugno è stato ufficialmente eletto nuovo presidente di Confindustria Brescia con una maggioranza bulgara vicina al 99% delle preferenze. Come si sente?
«Devo ancora interiorizzare appieno l’avvenimento. Però diciamo che esser riusciti a riportare una unità di visione all’interno della nostra organizzazione dopo anni, diciamo così, dominati dalla dialettica è per un verso una grande soddisfazione e dall’altro punto di vista una altrettanto grande responsabilità».

Il suo discorso di insediamento ha avuto, in alcuni passaggi, i toni della discontinuità col passato…
«A partire dal video introduttivo che, grazie all’Ai, ha riunito tutti i past president dei 133 anni della nostra storia, la mia presidenza terrà in somma considerazione gli asset valoriali che ci hanno da sempre contraddistinto, a cominciare dalla centralità del territorio e dall’importanza dell’innovazione. Detto questo, più che di cambiamento preferisco parlare di miglioramento. Poi, certo, il mondo che abbiamo di fronte è un mondo completamente diverso da quello a cui eravamo abituati. Stiamo attraversando una congiuntura estremamente complessa con fronti aperti su più lati, quindi quello che secondo me è importante che Confindustria faccia sia a livello territoriale che a livello nazionale è di sapere trovare una sua nuova dimensione di erogatore di servizi a supporto dell’impresa. Il nostro lavoro sarà quello di accompagnare gli associati attraverso i cambiamenti, anche normativi, richiesti dal mercato e dall’Europa limitando il più possibile i danni».




















































Un ruolo consulenziale, dunque. E sul versante sindacale? Lo stesso vostro presidente nazionale, Emanuele Orsini, a Rapallo dai giovani di Confindustria si è augurato la ricostruzione di un rapporto più frequente e intenso con i rappresentanti dei lavoratori. Un rapporto che, anche a Brescia, rispetto ai momenti drammatici del Covid, sembra essersi sfilacciato.
«Quello del Covid è stato per le relazioni industriali un momento davvero straordinario: lì abbiamo lavorato insieme per garantire la sopravvivenza di imprese e occupazione e lo abbiamo fatto con successo. Devo inoltre ricordare l’enorme lavoro che è stato poi proseguito dal nostro vice presidente con la delega alle relazioni sindacali Roberto Zini. Ora però sul tavolo c’è il rinnovo del contratto dei metalmeccanici: io mi auguro si possa raggiungere fra le parti un accordo che scontenti tutti in egual misura (sorride, ndr). Poi, per il futuro, io spero in un avvicinamento perché per superare i momenti difficili serve lavorare insieme, in maniera coesa, pur ovviamente nel rispetto delle reciproche differenze».

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Più soldi in busta paga in cambio di maggior produttività, per dirla in maniera diretta?
«Sono anni che non cresciamo in produttività, eppure i contratti finora si sono adeguati all’aumento dell’inflazione. È chiaro, dunque, ci sia un problema di competitività che va risolto. Dobbiamo sperimentare e cercare insieme delle strade che ci permettano di mantenere la competitività. Il compromesso può esser trovato, e io sono fiducioso, sulle basi di una consapevolezza condivisa delle sfide che abbiamo di fronte e che insieme siamo chiamati a superare».

Lei parla della competitività di un sistema industriale, quello bresciano, oggi evidentemente sotto pressione per una serie di spinte esogene, prima fra tutte quella commerciale dell’auto elettrica cinese. Cosa rischia la filiera della componentistica italiana?
«Anzitutto vorrei sottolineare che, se c’è ancora qualcuno fra noi imprenditori che sta investendo in Italia, quando invece potrebbe farlo in Cina o in India, è perché Confindustria crede nelle potenzialità del nostro Paese. Per questo la richiesta che facciamo al governo, oltre al disaccoppiamento fra prezzo del gas e dell’elettricità per competere ad armi pari con i nostri vicini europei, è di metter mano al cuneo fiscale, abbassandolo come han fatto Francia e Germania: solo così possono ripartire i consumi e quindi la domanda di beni. Oggi la Cina è in sovrapproduzione con 27 milioni di vetture all’anno. In Italia se ne producono meno di 250 mila, quindi per la filiera della componentistica la strada è obbligata: l’export. E qui sta il punto: non sono convinto che si possa sostituire come cliente finale la Cina alla Germania e non sono sicuro i dazi all’importazione di auto cinesi in Europa sia la soluzione strutturale più adeguata. Quello che ci dobbiamo augurare è la ripresa del mercato dell’auto europea, tedesca in testa: io sono convinto della superiorità tecnologica e qualitativa dell’auto europea rispetto a quella statunitense e a quella asiatica».

Che fine ha fatto la Cittadella dell’Innovazione?
«Il bisogno che ha il nostro territorio è quello di trovare un posto, proprio una casa intendo, dove poter sperimentare le ultime tecnologie disponibili, a partire dalle intelligenze artificiali, e metterle a disposizione delle imprese. Quella casa sarà la Cittadella dell’Innovazione. ma potrà vedere la luce appena le varie parti coinvolte si accorderanno sulle finalità di questa operazione».

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16 giugno 2025 ( modifica il 16 giugno 2025 | 21:06)

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