«Sono solo un quarto del Garante per la protezione dei dati personali». Con questa battuta Guido Scorza ha aperto il suo intervento all’AI Week, chiarendo sin da subito il tono del suo discorso: diretto, personale, provocatorio. Le opinioni espresse, specifica, non rappresentano ufficialmente l’Autorità, ma sono frutto di una riflessione libera, anche “politicamente scorretta”. Ed è proprio questa libertà che gli permette, dice, di affrontare senza filtri uno dei temi più spinosi del dibattito contemporaneo: il rapporto tra privacy e intelligenza artificiale.
«Il matrimonio tra privacy e intelligenza artificiale s’ha da fare» – afferma con fermezza il membro dell’Autorità per le Comunicazioni – «e lo dico senza alcuna esitazione». Non è un’utopia, né un compromesso al ribasso, ma una necessità. Il punto non è se debba avvenire, ma come farlo durare nel tempo. La vera questione è definire le condizioni per rendere questo connubio non solo possibile, ma sostenibile, equo, duraturo.
Due diritti fondamentali, nessuno dei due assoluto
Il punto di partenza, per Scorza, è riconoscere che il diritto all’innovazione e il diritto alla privacy sono entrambi fondamentali. Il primo è una proiezione del diritto a fare impresa, il secondo è riconosciuto chiaramente come diritto costituzionale. Ma nessuno dei due è assoluto: «Non sono diritti tiranni», precisa. Ed è proprio questa natura che impone la necessità di un bilanciamento.
Il principio guida è chiaro, persino semplice nella formulazione: ogni diritto può essere compresso solo nella misura minima necessaria a garantire la sopravvivenza dell’altro. Un algoritmo di equilibrio apparentemente lineare, ma che nella pratica si rivela complicato da applicare. L’obiettivo è evitare che cittadini e imprese siano costretti a scegliere tra due diritti fondamentali. È questo l’orizzonte a cui tendere: una coesistenza armonica e dinamica, non una competizione.
Innovazione non è progresso tecnologico per pochi
C’è però, avverte Scorza, un altro equivoco da sciogliere: quello che confonde l’innovazione con il mero progresso tecnologico. «Tra progresso tecnologico e innovazione c’è una differenza», dice, e per spiegarla chiama in causa un’autorità insospettabile: Henry Ford. Secondo l’industriale americano, c’è vero progresso solo quando i benefici della tecnologia sono accessibili a tutti. «E qui abbiamo un problema», denuncia Scorza. Oggi i vantaggi si concentrano nelle mani di pochi: non di un oligopolio tecnologico, ma di un potere tecnopolitico, che domina non solo i mercati ma anche le sfere del sapere e del comportamento umano.
Questo scenario è, a suo avviso, molto lontano da quello delineato da Ford. E alimenta una narrazione pericolosa secondo cui la regolamentazione – e in particolare la protezione dei dati – sarebbe un freno per l’innovazione. «È semplicemente falso», incalza Scorza. «È un modo di fare politica, un modo di fare impresa, ma non è la verità». La verità, piuttosto, è che la mancanza di regole è molto più pericolosa del loro eccesso.
Regole: strumenti per costruire, non ostacoli da rimuovere
A sostegno di questa tesi, Scorza cita un’altra figura di riferimento: Albert Einstein. «Il progresso tecnologico è come un’ascia nelle mani di un criminale patologico», scriveva il fisico. Ed è proprio qui il cuore della questione: la tecnologia, se non governata, può diventare uno strumento distruttivo. Sono le regole – e solo le regole – a poter trasformare quell’ascia in un martello, a renderla capace di costruire invece che ferire.
La protezione dei dati personali, quindi, non è un intralcio. È una garanzia, una forma di potere nelle mani dei cittadini. È uno dei pochi strumenti che possiamo usare per indirizzare l’innovazione verso obiettivi condivisi, socialmente sostenibili. Ed è anche uno strumento per contrastare la concentrazione del potere informativo nelle mani di pochi attori globali.
Il potere dell’informazione e la fragilità dell’individuo
«Chi ci conosce meglio, sa come prenderci». Da questa constatazione semplice e profonda, Scorza sviluppa una delle parti più intense del suo intervento. Il possesso di informazioni personali non è neutro: chi sa tutto di noi ha il potere di influenzare le nostre scelte, di manipolare i nostri desideri, di condizionare i nostri comportamenti. Oggi, a conoscerci meglio non sono più le persone care, ma le piattaforme, le aziende, i grandi signori dei dati.
Questa asimmetria informativa crea una vulnerabilità strutturale: «Siamo più fragili davanti a chi sa tutto di noi», osserva. Ecco perché la privacy è fondamentale: significa mantenere il controllo delle proprie informazioni, e dunque della propria libertà di scelta. È l’unico modo per garantire il diritto all’autodeterminazione, per decidere in autonomia cosa leggere, cosa acquistare, dove andare, cosa studiare, chi votare.
L’urgenza del tempo: perché non possiamo più aspettare
Il tempo, secondo Scorza, è la risorsa più scarsa. Ripercorre alcune tappe dell’adozione tecnologica: ci sono voluti 62 anni perché 50 milioni di persone guidassero un’auto, 60 anni per il telefono fisso, 14 per il computer. Poi Internet, il cellulare, infine ChatGPT, che in appena due mesi ha raggiunto 100 milioni di utenti. Un’accelerazione impressionante, che rende inadeguati gli strumenti normativi del passato.
«Il tempo delle leggi da 100 pagine è finito», dichiara. Serve un nuovo modo di scrivere le regole, capace di stare al passo con la velocità dell’innovazione. Non ammetterlo – aggiunge – è ipocrita. Ma anche riconoscere questa difficoltà non giustifica chi prova ad aggirare le regole appellandosi al “tecnologicamente impossibile”.
Nessuna innovazione può sovrascrivere la democrazia
Il passaggio più forte arriva verso la fine: «Nessuno può venire qui a dire: siccome rispettare quella regola è tecnologicamente impossibile, allora io non la rispetto». Se una norma ostacola l’innovazione, va cambiata. Ma va cambiata prima, democraticamente, attraverso il Parlamento. Lasciare che sia l’industria tecnologica a decidere quali regole seguire, significa cedere al potere dell’“algocrazia”.
Scorza è netto: la democrazia viene prima dell’innovazione. Le regole devono precedere la sperimentazione tecnologica, non inseguirla. E se il sistema è imperfetto – come lo è – bisogna migliorarlo, non bypassarlo. Altrimenti, si rischia che la tecnica si impadronisca del potere, estromettendo i cittadini da ogni possibilità di controllo.
Conclusione: governare prima che sia troppo tardi
«Dobbiamo fare i conti con l’imperfezione del sistema, ma non possiamo rinunciare al governo dell’innovazione». È questo il messaggio finale di Guido Scorza. L’innovazione va incoraggiata, ma solo se è inclusiva, sostenibile, democratica. Per farlo, servono regole nuove, rapide, efficaci. Ma soprattutto, serve il coraggio di difendere i diritti fondamentali – anche quando sembrano scomodi.
In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale evolve a una velocità senza precedenti, l’unica vera sfida è non farsi travolgere. Il matrimonio tra privacy e AI è possibile. Ma va costruito con lucidità, responsabilità e, soprattutto, in tempi brevi.
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