L’INCHIESTA – Ammonta a più di 25 miliardi di euro, il doppio rispetto a un decennio fa, il volume d’affari delle agromafie in Italia: è il dato allarmante emerso dall’ottavo rapporto sul tema elaborato dall’istituto di ricerca Eurispes, insieme a Coldiretti e alla fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura. I risultati sono stati presentati a metà maggio. E, nel capitolo dedicato al caporalato nel Nord Italia, un approfondimento è dedicato alle Langhe, dove è radicato il fenomeno del contoterzismo tramite le cosiddette cooperative senza terra, «false, in quanto enti creati con l’intento di produrre profitti illeciti, assicurandosi appalti di lavoro che poi gestiscono in modo autonomo, mettendo in campo strategie di abbattimento dei costi». Una realtà che Gazzetta d’Alba descrive da anni e che, di recente, ha trovato riscontro anche in inchieste giudiziarie.
Il made in Italy
Ma andiamo per ordine, a partire dal concetto stesso di agromafia. Se da un lato si fa riferimento a organizzazioni ben note e radicate, dall’altro lato si tratta di soggetti transnazionali che da tempo stanno espandendo la loro rete, come dalla Cina. Lo sfruttamento lavorativo è solo un volto del fenomeno, che si manifesta anche nell’appropriazione illecita di fondi pubblici, nell’usura, nella falsificazione di prodotti e in altri reati.
Il comparto agroalimentare, uno dei fiori all’occhiello del made in Italy, è una gallina dalle uova d’oro. Secondo le stime più aggiornate dell’Istat (Istituto nazionale di statistica), le esportazioni nel 2024 hanno raggiunto il valore di 69 miliardi di euro, con un incremento dell’87% rispetto al 2015. E più una filiera è ricca, più risulta appetibile per le organizzazioni di stampo mafioso.
Il Cuneese
Il rapporto di Eurispes, su quest’ultimo punto, è chiaro, attraverso l’elaborazione dell’indice di permeabilità all’agromafia (Ipa). A partire dalle specificità socioeconomiche dei singoli territori, si valuta la vulnerabilità delle province rispetto al fenomeno delle agromafie, a prescindere dal livello con cui il fenomeno a oggi si manifesta. Cuneo, come Asti e Alessandria, si pone su un livello di permeabilità medio-alta, con un indice di 20,10. È un dato che non stupisce Valentina Sandroni, coreferente di Libera Piemonte. Avvocata albese, ha difeso alcuni lavoratori nell’ambito di quello che è stato ribattezzato “processo Momo”, il primo procedimento in Italia in cui è stata applicata la normativa sul caporalato: «Siamo abituati, per la nostra area, a soffermarci sul tema dello sfruttamento lavorativo, di cui oggi si parla di più rispetto ad alcuni anni fa. Ma la provincia di Cuneo, come si sa bene, presenta un livello di fragilità elevato rispetto a questi specifici fenomeni criminali. La ricchezza del comparto e le caratteristiche delle aziende sono tra gli elementi determinanti presi in considerazione dai ricercatori», spiega l’avvocata.
Le colline del vino
Le Langhe si collocano nel quadro del Nord Italia, dove i nuovi caporali sono i soggetti (a loro volta spesso stranieri) che avviano cooperative senza terra. Sono loro a fornire alle imprese agricole manodopera. Come si legge tra le pagine, «alcune di queste imprese sono configurabili come vere e proprie associazioni a delinquere che si occupano del reclutamento, affiancati da commercialisti o consulenti del lavoro italiani, che svolgono tutte le pratiche burocratiche in modo da aggirare le norme oggi in vigore».
Riprende Valentina Sandroni: «È molto importante quanto viene precisato sulla responsabilità delle imprese agricole, i destinatari finali della manodopera. Sono loro ad acquisire un tipo di lavoro che non offre garanzie. E, seppure a volte non sappiano neppure delle condizioni in cui versa chi raccoglie i loro grappoli, sono parte della questione». A sancire la loro responsabilità è la normativa del 2016: «Sebbene fino a oggi in sede giudiziaria questo aspetto non sia stato ancora espresso a pieno, la legge parla chiaro. Per questo, rivolgersi a realtà dai tratti poco chiari, per tagliare i costi e per alleggerire le incombenze burocratiche, è un rischio da non sottovalutare». Sandroni conclude: «Non da ultimo, c’è il ruolo di tutti noi, i consumatori: scegliere da filiere etiche è un atto importante».
Francesca Pinaffo
I Comuni di Langhe e Roero fanno squadra
È passato quasi un anno da quando, ad Alba, sindacati, associazioni e cittadini scendevano in piazza contro il caporalato. Era metà luglio e, qualche giorno prima, le immagini di alcuni migrati malmenati tra le colline di Mango avevano fatto il giro del mondo. L’estate è il periodo in cui riparte il lavoro stagionale, con il presumibile arrivo di migliaia di persone, in gran parte migranti.
Torna così il problema della casa, dal momento che il dormitorio della Caritas non può rispondere a tutte le esigenze, e del bisogno di creare una rete a tutela della legalità. Ne abbiamo parlato con Donatella Croce, assessora ai servizi sociali albese.
È vero che è stato attivato un tavolo apposito per gestire la situazione?
«L’iniziativa parte da un laboratorio promosso da Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) lo scorso aprile, sulla base del Piano locale multisettoriale (Plm), strumento che attua a livello territoriale il Piano nazionale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura. Si tratta di un documento che i Comuni, divisi per aree, sono invitati a redigere in modo condiviso. Vicino a noi, è già avvenuto nel Saluzzese. Il secondo incontro del tavolo si è svolto giovedì 5 giugno. Hanno partecipato 41 Comuni».
Che cosa è emerso?
«A seguito di questo momento formativo, è nata la proposta – condivisa con il Comune di Bra – di convocare tutti gli enti locali dell’area per affrontare insieme le principali problematiche legate al lavoro stagionale: formazione, abitazione, mobilità e contrasto allo sfruttamento. Non partiamo da zero: da anni operano enti del terzo settore impegnati in progettualità rilevanti (tra cui l’impresa Weco, con il progetto di Accademia della vigna), e risulta già attivo un tavolo di lavoro, avviato anche grazie al progetto Common Ground, finanziato dalla Regione e partecipato da Comune, Consorzio socioassistenziale, Centro per l’impiego, cooperative sociali, Caritas, Frati minori Onlus, sindacati e altri attori».
Quali sono gli obiettivi?
«Coinvolgere il maggior numero possibile di Comuni, per progettare un intervento di area che sviluppi passi concreti, come la ricerca di soluzioni abitative diffuse, anche al fine di evitare concentrazioni eccessive, in particolare nell’Albese. Siamo fiduciosi che questa tematica molto sentita possa diventare un’opportunità per rafforzare la collaborazione, valorizzando la capacità di accoglienza verso lavoratori stagionali che rappresentano una risorsa preziosa per la filiera vitivinicola».
Maria Delfino
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