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Pacifista? Politico? E se Messina stesse facendo solo il banchiere?


Dove vuole arrivare Carlo Messina? Se lo domandano in molti osservatori, finanziari e non solo. Il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo inanella infatti successi uno dietro l’altro: l’ultimo aver chiuso il 2024 con un utile storico, che ha reso raggianti le fondazioni azioniste, cui fa staccare cedole ricche e dà strumenti per rafforzare i patrimoni e aumentare le erogazioni alle società civili dei territori su cui insistono.

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Una banca che ha saputo tenere insieme performance economico-finanziarie facendo bene il mestiere del credito, cioè erogando molti finanziamenti alle imprese, profit e non (con la Direzione Impact), e alle famiglie, ma una banca che è stata protagonista di un piano di interventi sociali, articolato negli anni, degno di una posta di legge di bilancio: 1,5 miliardi.

Banchiere dell’anno 2024

Una capacità di governo che non è sfuggita a un gruppo di giornalisti economico-finanziari tedeschi, riuniti nell’associazione “The Group of 20+1” che, l’altro ieri, ha nominato Messina “Banchiere dell’anno 2024”.

Oggi intervistato dal direttore de La Stampa, Andrea Malaguti, Messina non si è impaludato nel banchiere in grisaglie – non lo ha mai fatto – ed è andato dritto su alcuni temi politici, come la più parte dei politici non riesce ormai a far più.

Nella foto di Francesca Lucidi, tre delle 80 donne immigrate che partecipano al progetto “In altre parole”, di inclusione attraverso l’apprendimento dell’italiano, finanziato da Intesa Sanpaolo a Tor Pignattara, Roma

Ha esternato le sue preoccupazioni sui conflitti in corso, come quello ucraino, che gli dà lo spunto per esprimere qualche riserva sul fatto che, in Europa, l’unico dibattito che sembri tenere sia quello su Rearm. Ha detto Messina che lo preoccupano «i giovani, la povertà. Argomenti che dovrebbero essere centrali sia per i governi europei, sia per le grandi aziende. Temi che toccano tutti noi e che richiedono un impegno collettivo. Lavoriamo per dare un’altra agenda alle priorità politiche. Non possiamo avere come unico tema di dibattito pubblico l’incremento degli investimenti nella Difesa».

E alla domanda-risposta di Malaguti, «più facile dirlo da Milano che da Helsinki», il consigliere non s’è nascosto dietro un dito: «Capisco il problema visto da Helsinki, con centinaia di chilometri di confine con la Russia», ha detto, «come Europa dobbiamo porci il tema di un sistema di difesa integrato da rafforzare, dobbiamo tenere conto del minor impegno militare annunciato dagli Stati Uniti nei confronti della Nato. Ma allo stesso tempo l’Europa deve darsi un grande piano di investimenti comuni nel campo della tecnologia, dell’energia, delle infrastrutture. Solo così potrà assicurarsi un ruolo nelle sfide del mondo globale».

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Malaguti non è riuscito a celare un certo stupore, tanto da sottolineare che quella risposta avrebbe fatto dell’intervistato «l’idolo dei pacifisti». Il direttore de La Stampa avrebbe dovuto aggiungere anche che Messina si candidava a diventare anche «l’idolo dei sindacalisti», per come ha commentato la proposta della ministra del Lavoro, Marina Calderone, di legare di più i salari alla produttività: il ceo di Intesa è stato, anche qui, tranchant: «I livelli retributivi», ha detto, «dovrebbero aumentare quando le aziende fanno più utili. Oggi anche chi guadagna 2mila euro al mese fa parte di quei working poor che non sono in grado di assorbire un imprevisto in casa. In Intesa Sanpaolo abbiamo alzato gli stipendi per oltre 400 euro al mese, sulla base del principio “se facciamo più utili è giusto ridistribuirli alle persone che lavorano in banca”». Bacchettando cioè quelle imprese, anche bancarie, che questa possibile correlazione, fra utili e salari, non la vedono o non la vogliono vedere. Imprese a cui aveva già detto, lo ripetiamo, che avrebbero dovuto preoccuparsi (anche) di fenomeni come giovani e povertà.

L’impegno su diseguaglianze e povertà

Risposte che non stupiscono quanto sono abituati a raccontare i programmi della prima banca italiana sulla lotta alle diseguaglianze, alle povertà educative, al sostegno ai Neet, insieme, come ha ricordato lo stesso Messina, a due delle fondazioni azioniste, Cariplo e Compagnia di San Paolo, e alle altre. L’aver rilanciato in una conversazione di questo livello e subito dopo un riconoscimento internazionale così importante quei temi, dimostra che appunto la vocazione sociale della prima banca italiana non è marketing buonista, progettato distogliere l’attenzione da una stagione straordinaria di utili, ma un certo modo di concepire il credito e la sua funzione nella società. Una visione che è certamente tributaria della storia di Intesa Sanpaolo, dei cromosomi delle fondazioni che l’hanno generata e del carattere degli uomini che di questa generazione sono stati i protagonisti.

Non solo, anche stavolta, Messina s’è preso la libertà, oggi sempre più rara, della coerenza, quando ha annunciato un piano di finanziamenti importante – 10 miliardi di credito agevolato – per le aziende che assumano donne e giovani.

Domande oziose

Quindi la domanda che, anche stavolta, è risuonata negli ambienti finanziari e in quelli politici, e cioè su dove voglia mai arrivare il “numero 1” di Intesa, rischia di diventare oziosa.

Perché non pensare che questo signore stia, né e più né meno, facendo il banchiere e che tutto il nostro stupore sia semplicemente figlio di una lunghissima stagione, tutta tardo-novecentesca, in cui le banche erano esclusivamente i salotti buoni dove si diceva “sì” o “no” a questa o quella scalata, a questa o quella fusione?

Perché non pensare che cioè ci sia vita, che ci sia pensiero, che ci sia – perché no? – politica, anche al di fuori del Risiko bancario?

Nella foto di Roberto Monaldo per LaPresse, il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, all’uscita di Banca d’Italia, il 30 maggio scorso, dopo aver ascoltato la Relazione annuale del governatore Panetta.

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