In pensione il magistrato che ha guidato per 7 anni la procura: «Sempre più minori abbracciano l’estremismo, si sta studiando un sistema di deradicalizzazione»
«I grandi appalti sono sicuramente a rischio infiltrazioni mafiose, ma quello che oggi mi preoccupa di più è la fragilità delle banche dati delle imprese a causa degli attacchi informatici». Sandro Raimondi, procuratore di Trento fino a maggio, oggi in pensione, nella sua lunga esperienza, 44 anni in magistratura, di cui 29 come sostituto alla Procura di Milano e 7 a Trento, ha coordinato numerose indagini in materia di mafia e organizzazioni criminali, tra cui l’inchiesta «Perfido» che ha certificato l’infiltrazione di una locale della ‘ndrangheta in Trentino.
L’indagine ha “risvegliato” il Trentino, un territorio tutto sommato vergine, che forse non aveva ancora la percezione della minaccia delle mafie. L’ultima relazione della Dia lancia l’allarme per le grandi opere, bypass, Olimpiadi, tunnel di base. Sono in pericolo anche le piccole imprese?
«Il problema è globale. Abbiamo avuto la conferma di magistrati giudicanti della bontà delle impostazioni accusatorie date con l’inchiesta cosiddetta “Perfido”, gestita magistralmente dalla nella fase delle indagini dal carabinieri del Ros di Trento, poi ci sono altri soggetti attenzionati nel corso delle ultime operazioni, penso all’indagine “Pitagora”, ha evidenziato una sorta di cordata finanziaria che parte dalla Südtirol e finisce a Isola di Capo Rizzuto. Abbiamo lavorato di concerto con le Procure di Catanzaro e Reggio Calabria. Ovviamente dove ci sono grandi cantieri e grandi opere il problema della vigilanza è prioritario».
Il Trentino ha anticorpi sufficienti per contrastare gli appetiti delle mafie?
«Possiamo dire che ci sono delle sinergie ottimali in provincia di Trento e anche per alcuni aspetti della mia Procura, non solo con il commissariato del Governo di Trento, ma anche con quello di Bolzano, a partire da dicembre del 2016 con il protocollo fatto per la sicurezza e i sistemi tecnologici, rinnovato nel novembre 2022. C’è un osservatorio regionale istituito a giugno 2024 sulle periferie, proposto dal commissariato del governo di Trento, dove si analizzano le condizioni di vita delle zone più disagiate e si fa una valutazione per studiare gli interventi da adottare. È fondamentale e prodromico a evitare che vi siano appannaggi della criminalità organizzata nei confronti di chi non ha lavoro, vive in modo disagiato e non consono ai canoni normali di una società civile del 2025».
Grandi cantieri a parte, quali sono i settori più esposti? Il turismo e le piccole imprese?
«La crisi dell’imprenditoria e dell’industria incide molto, ma quello che oggi mi preoccupa di più è la fragilità delle banche dati delle imprese. Basta leggere il rapporto Clusit sugli attacchi informatici degli hacker. Ci sono miliardi di attacchi che colpiscono le imprese, piccole, medie e grandi. Questo è il passato prossimo del crimine informatico, dotato di professionisti di livello, al soldo, in grado di mettere in crisi il sistema di un’azienda sanitaria, una banca o un’impresa. È uno degli ambiti dove la tutela dovrà essere alzata».
L’indagine «Romeo» ha svelato presunti intrecci illeciti tra affari e politica in regione, non è stata contestata l’associazione mafiosa, ma il metodo mafioso. È comunque un campanello d’allarme?
«Vanno accertati di volta in volta. In Trentino ho trovato istituzioni pubbliche sane e capaci, penso al nostro sindaco e al presidente della Provincia che non sono stati neppure sfiorati dalle indagini “Romeo” e “Sciabolata”. Arrivando da realtà difficili come Brescia e Milano qui ho trovato istituzioni e cittadini molto attenti alle regole. È chiaro che il rischio c’è in tutti i settori. Ribadisco, secondo me oggi il settore più esposto è quello informatico a tutti i livelli, poi i grandi appalti sono sicuramente più a rischio e sono monitorati dalla cabina di regia istituita dal neo prefetto Giuseppe Petronzi che ha portato esperienza e capacità organizzative eccezionali».
Le recenti spaccate e l’escalation di furti, preoccupano molto i cittadini, si fa abbastanza per contrastarli?
«Credo che si stia lavorando bene, anche l’azione della polizia locale è efficace. Si può fare sempre di più, magari potenziando la videosorveglianza e la presenza di pattuglie. Ma questi sono meri consigli».
Parliamo di violenza di genera, è un fenomeno che nonostante gli sforzi non si riesce a debellare. Bisogna ripartire dalle scuole?
«Il Trentino nella lotta alla violenza di genere è all’avanguardia. C’è una convenzione, unica in Italia, tra la Procura di Trento e la Provincia— ho voluto coinvolgere anche la Procura di Rovereto — che permette di assistere subito la donna con psicologi disponibili h24 per 365 giorni. Abbiamo creato anche un ponte con le scuole attraverso la Procura dei minori rappresentata all’epoca dalla facente funzioni applicata Nadia La Femina. Non deve essere visto come un’ingerenza nella vita scolastica, ma un aiuto per contrastare quel bullismo che poi porta in molti casi alla violenza di genere».
Il problema dell’estremismo islamico e della radicalizzazione attraverso i social coinvolge sempre più minori. Quali misure avete adottato?
«Stiamo studiando con la Provincia, la Procura dei minori di Bolzano, un profiler e gli analisti dell’Aisi (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), un sistema di deradicalizzazione, ci sono sempre più minori che abbracciano l’ideologia del terrorismo, abbiamo avuto un caso a Merano di un minore che siamo riusciti a deradicalizzare. Ho anche un’altra idea, ma non so se verrà realizzata: coinvolgere le famiglie che hanno bambini dei 3 a 6 anni che spesso utilizzano i telefoni dei genitori per scaricare i filmati. Penso a un percorso di controcultura attraverso i social per insegnare ai bambini e ai genitori che non tutto ciò che c’è in rete è vero e fornire strumenti di difesa, ma anche di promozione sociale, del bello, del buono e del virtuoso».
Parliamo dell’omicidio di Mezzolombardo, avete fatto una scelta coraggiosa e ora Bojan Panic è tornato a scuola e si sta impegnando. È stata una decisione giusta.
«Assolutamente, la dottoressa Patrizia Foiera, che è stata nominata vicario e ora dirige magistralmente la Procura, ha fatto una scelta che ho condiviso. In questo caso non serviva una valutazione della pericolosità sociale perché era limitata e circoscritta all’interno di una famiglia resa violenta dal padre. L’avevo già fatto a Milano con un ragazzo che era stato violento con la mamma, decisi di non chiedere la custodia cautelare ha seguito un percorso e ora ha una famiglia e ha superato i suoi problemi».
Lei ha messo la toga nel 1981, come è cambiata la magistratura da allora? Ci sono state tante riforme, si sta tentando la strada della digitalizzazione, ma il sistema è ancora farraginoso.
«È cambiata la tecnologia, ma non il modo di formare i magistrati e i nuovi colleghi che ho visto personalmente sono preparati e motivati. È giusto velocizzare la giustizia attraverso l’informatica, ma siamo solo all’inizio. Le indagini oggi si fanno anche con gli algoritmi, ma non dimentichiamoci che esistono sempre i vecchi sbirri che conoscono l’uomo, il territorio e danno le risposte prima che venga posta la domanda».
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