Cosa prevedono i quesiti del referendum sul lavoro e come si schierano i partiti
Anche a leggerlo tutto, e con molta calma, il primo quesito che l’elettore troverà sulla scheda, quella verde (immagine in alto), non aiuta certo a chiarire le idee. «Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018»… e giù una cascata di riferimenti normativi. Niente panico. Senza avventurarci in dibattiti sull’utilità o meno di quesiti scritti così, meglio arrivare subito al dunque: ecco per cosa voteremo ai referendum dell’8 e 9 giugno. Prima di vedere i quesiti, però, due precisazioni, necessarie per quanto possano sembrare ovvie.
Il quorum
1. Si tratta di referendum abrogativi, chiedono cioè di cancellare una norma: questo avviene con il sì; con il no resta la legge così com’è.
2. Per queste consultazioni è previsto un quorum: se non partecipa al voto almeno la metà più uno degli aventi diritto, il referendum non è valido e non importa se abbia vinto il sì o il no.
Seggi aperti domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 dalle ore 7 alle 15. Al seggio, ricordate la tessera elettorale e un documento di identità.
E adesso, i quesiti.
I licenziamenti illegittimi
Il primo, scheda verde, riguarda il Jobs act, riforma sul lavoro del governo Renzi, e chiede che sia cancellato il «contratto a tutele crescenti». Di che si tratta?
Nelle imprese con più di 15 dipendenti, prima del 2015, in caso di licenziamenti illegittimi, cioè senza giusta causa, era previsto il reintegro sul posto di lavoro: l’azienda poteva essere obbligata a riprendere il lavoratore allontanato ingiustamente, se a dirlo era un giudice, in base al famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nella versione però, è bene sottolineare, già «depotenziata», mitigata dalla riforma Fornero.
Il Jobs act ha mandato in soffitta l’obbligo di reintegro in diversi casi di licenziamento senza giusta causa. E lo ha sostituito – questo vale solo per gli assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 – con un indennizzo economico, che varia da 6 a 36 mensilità in base agli anni di servizio: due mensilità per ogni anno trascorso in azienda, per questo si parla di «tutele crescenti».
APPROFONDISCI CON IL PODCAST
In alcuni casi, come i licenziamenti discriminatori o alcuni tipi di licenziamenti disciplinari ingiustificati, il reintegro è ancora previsto. Anche perché sono intervenute, intanto, alcune sentenze della Corte costituzionale a difesa del diritto a riavere il posto di lavoro.
Per sintetizzare:
Se vince il sì e il referendum raggiunge il quorum si cancella il contratto a tutele crescenti e si torna all’articolo 18, con il reintegro sul posto di lavoro, come modificato però, attenzione, dalla riforma Fornero, che aveva già introdotto, in alcuni casi, un’indennità economica al posto della tutela «piena» (in altri casi no: nei licenziamenti collettivi con criteri di scelta scorretti, ad esempio, la legge Fornero predispone il reintegro e la normativa attuale l’indennizzo).
Se vince il No o se il referendum non raggiunge il quorum resta in vigore il contratto a tutele crescenti, così com’è oggi.
Le ragioni del sì Dare agli assunti dopo il 7 marzo 2015, oltre 3,5 milioni di lavoratori, le stesse tutele dei più «anziani»: per la Cgil, con il Jobs act sono «penalizzati da una legge che impedisce il reintegro anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto».
Le ragioni del no Il Jobs act ha reso più flessibile il mercato del lavoro, troppo rigido per le imprese con l’articolo 18, dando le giuste tutele. In alcuni casi l’indennizzo economico previsto dalla legge Fornero è inferiore nel massimo (24 mesi anziché 36) rispetto al contratto a tutele crescenti.
A favore: Pd, M5S, Avs
Contrari: FdI, FI, Lega, Noi moderati, Iv, Azione, +Eu
Tetto alle indennità di licenziamento
Il secondo quesito – scheda arancione – riguarda i lavoratori delle piccole imprese, quelle fino a 15 dipendenti, e chiede di cancellare il tetto massimo per le indennità in caso di licenziamento: oggi infatti è previsto che un lavoratore licenziato ingiustamente, cioè dopo che un giudice ha ritenuto l’allontanamento illegittimo, può ottenere al massimo 6 mensilità di risarcimento.
Se vince il Sì, con quorum, il tetto viene cancellato e sarà il giudice a determinare il risarcimento senza alcun limite.
Se vince il no o manca il quorum il tetto resta.
Le ragioni del sì I circa 3 milioni e 700 mila dipendenti delle piccole imprese, secondo i calcoli della Cgil, avrebbero più tutele: cancellando il limite massimo, sarà il giudice a determinare il giusto risarcimento.
Le ragioni del no L’assenza di limiti scoraggerebbe nuove assunzioni, aumentando il rischio per gli imprenditori.
A favore: Pd, M5S, Avs
Contrari: FdI, FI, Lega, Noi moderati, Iv, Azione, +Eu
Contratti a termine
Il terzo quesito è sui contratti a termine. Scheda grigia. I contratti a termine oggi possono essere instaurati fino a 12 mesi senza causali, ovvero senza l’obbligo, da parte dell’azienda, di indicare alcuna ragione specifica che giustifichi il lavoro temporaneo. L’obbligo di indicare una causale, come la sostituzione di una collega in maternità o lo sviluppo di un nuovo prodotto (i casi, per le diverse categorie, sono previsti nei contratti collettivi), era stato eliminato nel 2015 con il Jobs act.
Se vince il sì, con quorum: anche per i contratti entro i 12 mesi servirà la causale
Se vince il no o manca il quorum: resta tutto com’è
Le ragioni del sì I promotori puntano a limitare il ricorso ai contratti a termine per ridurre quella che la Cgil definisce «la piaga del precariato»: in Italia, calcola il sindacato, circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato.
Le ragioni del no L’assenza di causali toglierebbe alle aziende la possibilità di adattarsi a improvvise esigenze di mercato e aumenterebbe il contenzioso. Citando gli ultimi dati Istat: nel IV trimestre 2024 rispetto al 2023 sono aumentati i dipendenti a tempo indeterminato (+3%) e diminuiti quelli a termine (-10%).
A favore: Pd, M5S, Avs
Contrari: FdI, FI, Lega, Noi moderati, Iv, Azione, +Eu
Sicurezza negli appalti
L’ultimo quesito in materia di lavoro, scheda rossa, riguarda la sicurezza, in alcuni casi particolari, quelli di appalto o subappalto. Chiede di cancellare le norme che impediscono in caso di infortunio per rischio specifico negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa committente.
Se vince il sì: l’impresa committente sarà responsabile in solido con l’appaltatore o il subappaltatore per tutti i danni subiti dal lavoratore nei quali questo non risulti indennizzato dall’Inail.
Se vince il no o manca il quorum: resta tutto com’è.
Le ragioni del sì La responsabilità solidale renderebbe l’impresa che affida un lavoro più attenta alle esigenze della sicurezza. Evitando, magari, scelte al massimo ribasso.
Le ragioni del no La responsabilità che si chiede di estendere all’impresa committente riguarda i rischi specifici, aspetto che esula dalle sue competenze tecniche.
A favore: Pd, M5S, Avs, +Eu
Contrari: FdI, FI, Lega, Noi moderati, Azione
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link