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Dalla Cisgiordania a Gaza: non c’è più tempo


Il governo israeliano ha annunciato la creazione di 22 nuove colonie nella Cisgiordania occupata, compresa la legalizzazione di insediamenti già costruiti. Lo hanno reso noto il ministro della Difesa, Israel Katz, e quello delle Finanze Bezalel Smotrich, capofila del movimento dei coloni, dopo una votazione segreta del gabinetto di sicurezza. “Tutte le nuove comunità vengono istituite con una visione strategica a lungo termine, volta a rafforzare il controllo israeliano sul territorio, impedire la creazione di uno Stato palestinese e garantire riserve di sviluppo per gli insediamenti nei prossimi decenni”, si legge nella dichiarazione dell’esecutivo. Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), ha definito l’annuncio una “pericolosa escalation e una sfida alla legittimità e al diritto internazionale”. Secondo l’organizzazione non governativa israeliana Peace Now si tratterà della più vasta operazione di annessione di territori occupati degli ultimi decenni e comprenderà aree che si estendono nel profondo della Cisgiordania, in cui finora gli israeliani non avevano osato creare insediamenti per motivi di sicurezza. Peace Now ha criticato duramente il governo per aver preso una decisione del genere nel bel mezzo di una guerra. “Il governo sta chiarendo – ancora una volta e senza remore – che preferisce approfondire l’occupazione e promuovere l’annessione di fatto piuttosto che perseguire la pace” denuncia l’organizzazione, e aggiunge: “Il governo israeliano non finge più: l’annessione dei Territori Occupati e l’espansione degli insediamenti sono il suo obiettivo principale”.

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Cisgiordania: obiettivo annessione?

L’espansione delle colonie in Cisgiordania, che l’organizzazione per i diritti umani B’tselem definisce “un furto di terra palestinese” è aumentata notevolmente da quando il Primo Ministro Benjamin Netanyahu è tornato al potere a fine del 2022, a capo della coalizione di governo più a destra nella storia di Israele, all’interno della quale figurano partiti apertamente schierati a favore dei coloni. Da mesi, l’esercito israeliano conduce massicce operazioni in Cisgiordania schierando carri armati per la prima volta da decenni ed effettuando diversi raid e arresti. A febbraio, Katz ha ordinato all’esercito di “prepararsi a una presenza prolungata” sul territorio. E ieri Smotrich si è detto compiaciuto dei nuovi insediamenti, chiarendo che “il passo successivo è la sovranità”, aggiungendo che “non stiamo prendendo una terra straniera, ma l’eredità dei nostri antenati”. Tutte le colonie e gli insediamenti in Cisgiordania, come a Gerusalemme Est e sulle alture del Golan siriano, sono illegali secondo il diritto internazionale. Elisha Ben Kimon, giornalista israeliano che da anni segue la questione, ha dichiarato alla Bbc che il 70-80% dei ministri vorrebbe dichiarare l’annessione formale della Cisgiordania: “Penso che Israele sia a un passo dal dichiarare quest’area territorio israeliano. Credono che questo periodo non tornerà mai più, che questa sia un’opportunità irripetibile e non vogliono lasciarsela sfuggire”.

Gaza: una pace che non c’è?

L’annuncio – oltre a rappresentare l’ennesima doccia gelata per la soluzione dei due stati invocata da più parti per porre fine al conflitto israelo-palestinese – cade in un momento critico della guerra in corso a Gaza. Israele ha accettato una proposta di cessate il fuoco presentata dall’inviato americano Witkoff che prevede una tregua di 60 giorni e il rilascio di oltre 1200 palestinesi detenuti, in cambio della liberazione di 10 ostaggi vivi e delle salme di 18 ostaggi deceduti. La proposta, che apre all’ipotesi di una proroga accompagnata da negoziati, tuttavia, non prevede un cessate il fuoco definitivo, che Hamas ha più volte chiarito essere una condizione imprescindibile per ogni accordo. Inoltre, il disegno di Witkoff non prevede nemmeno un ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia né la ripresa della distribuzione di aiuti umanitari attraverso le Nazioni Unite, dopo i gravi incidenti di due giorni fa. Il movimento armato palestinese ha definito l’offerta “deludente” e, anche se non ha ancora ufficialmente declinato, sono poche le speranze che lo faccia. Bassem Naim, un alto funzionario di Hamas, ha chiarito infatti che la proposta “non risponde a nessuna delle richieste del nostro popolo, prima tra tutte quella di porre fine alla guerra e alla carestia”.

Palestina: scontro Macron-Netanyahu?

E mentre sulla striscia i Gaza proseguono i bombardamenti, si alza anche il tono dello scontro diplomatico tra Israele e la Francia. Durante una visita di Stato a Singapore, il presidente Emmanuel Macron ha affermato che i paesi europei dovrebbero “indurire la loro posizione” nei confronti di Israele, se questi continuerà a “non rispondere in modo adeguato alla situazione umanitaria” a Gaza. Ciò significava abbandonare il presupposto che i diritti umani fossero rispettati e, ha aggiunto, “applicare sanzioni”. Secondo Macron, abbandonare la Striscia di Gaza devastata dalla guerra al suo destino e dare “carta bianca” a Israele “ucciderebbe la credibilità dell’Occidente agli occhi del mondo” e riconoscere uno stato palestinese è ormai “un dovere morale e una necessità politica”. Le sue parole hanno provocato la furiosa reazione di Netanyahu, che ha accusato il presidente francese di portare avanti “una crociata contro lo Stato ebraico”. In una lunga dichiarazione, il premier israeliano ha affermato che “non esiste alcun blocco umanitario” e che “Israele sta facilitando l’ingresso di aiuti a Gaza” ma che “invece di esercitare pressioni sui terroristi jihadisti, Macron vuole ricompensarli con uno Stato palestinese”. Il riferimento non è casuale. Difatti lo scontro tra Parigi e Tel Aviv si inserisce nella scia di tensioni in vista della conferenza di alto livello sulla soluzione dei due Stati, che Francia e Arabia Saudita ospiteranno alle Nazioni Unite il 17 giugno a New York. In quell’occasione – secondo varie fonti diplomatiche – Parigi dovrebbe lanciare un’iniziativa per il riconoscimento internazionale dello Stato di Palestina.



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