Lo stress correlato da lavoro non è più un tema marginale, ma una sfida strategica che impatta direttamente sulla salute organizzativa, sulla performance e sulla reputazione aziendale. I dati più recenti indicano una diffusione crescente di sintomi legati allo stress e al malessere psicologico nei contesti professionali, in particolare tra i lavoratori giovani, le donne e nei settori ad alta pressione.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, lo stress lavoro correlato rappresenta uno dei principali rischi emergenti nel mondo del lavoro.
Che cosa è lo stress correlato da lavoro
Lo stress correlato da lavoro è una condizione psicofisica che si manifesta quando le richieste dell’ambiente professionale superano le capacità individuali di farvi fronte. Non si tratta solo di una sensazione passeggera di disagio, ma di un rischio concreto per la salute e la produttività. Può generare ansia, disturbi del sonno, calo motivazionale, riduzione delle performance e, nei casi più gravi, esiti patologici come burnout o depressione.
L’INAIL lo definisce come lo stato in cui “le persone percepiscono uno squilibrio tra le richieste ricevute e le risorse a disposizione per farvi fronte”, mentre il D.Lgs. 81/08 impone alle organizzazioni l’obbligo di valutarlo e gestirlo.
Tuttavia, lo stress lavoro correlato non è solo un problema normativo: è un indicatore chiave della salute organizzativa e della qualità delle relazioni professionali. Riconoscerlo, prevenirlo e affrontarlo in modo sistemico è oggi una responsabilità strategica per HR e top management.
Stress e malessere emotivo: il nuovo allarme tra i dipendenti italiani
Per il 49% dei dipendenti italiani lo stress correlato al lavoro mette a rischio la salute emotiva, mentre il 72% potrebbe valutare di lasciare l’azienda che non tutela il benessere mentale dei lavoratori.
Questi dati, tratti dall’ultimo report di Wellhub, piattaforma di servizi per il benessere olistico dei dipendenti, dal titolo “Lo stato dell’arte del wellbeing aziendale nel 2025”, testimoniano l’urgenza di cambiare approccio alla gestione del wellbeing.
Un’esigenza espressa anche da un’ampia maggioranza di professionisti: l’81% dei dipendenti italiani ritiene, infatti, che il proprio datore di lavoro abbia la responsabilità di tutelare l’equilibrio psicologico dei lavoratori attraverso politiche aziendali e strumenti per il benessere organizzativo.
Un dato che trova conferma anche nel secondo report “Mens sana in corporate sana” di Serenis, centro medico per il benessere fisico e mentale, che rivela che il 64,9% delle persone attribuisce un’importanza elevata (voto 9 o 10) al benessere mentale sul lavoro.
Felicità al lavoro? Solo per il 5% degli italiani
In base ai dati diffusi dalla società di ricerche di mercato BVA Doxa, solo il 9% degli italiani vive in modo positivo il suo lavoro considerando le tre dimensioni del benessere: fisico, psicologico e relazionale.
Solo il 5% oggi è “felice” al lavoro e un dipendente su tre si è assentato almeno una volta nell’ultimo anno per motivi di stress correlato da lavoro o ansia, ma solo un’azienda su due offre servizi a supporto.
Infelicità e malessere portano molti a cambiare lavoro: il 42% degli italiani l’ha fatto recentemente o ha intenzione di farlo a breve e nel 2024 per la prima volta il motivo principale è la ricerca di “benessere fisico e mentale” (36%), ma crescono anche la ricerca di opportunità di carriera e di occupabilità nel medio-lungo termine.
Stress correlato da lavoro: i settori e i profili più esposti
Il report di Serenis rivela che il 49,4% degli intervistati vive una situazione di malessere di gravità crescente nella sfera professionale, mentre il 28,9% accusa lievi sintomi di ansia e stress, e solo il 21,7% mostra un buon livello di benessere emotivo.
E ancora: il malessere è più elevato per le donne giovani (20,4%), nella fascia di età 18-35. Degna di nota, inoltre, la maggior concentrazione di stress e burnout nei lavoratori dei settori marketing e comunicazione (21,9%), seguiti dai professionisti del settore ricerca e sviluppo (21,4%).
Buoni livelli di benessere psicologico, invece, vengono riportati da coloro che operano nella gestione del personale (18,6%), nella consulenza (18,8%) e nelle professioni dell’insegnamento ed educazione (18,8%).
Infine, chi lavora nelle aziende di piccole e medie dimensioni – da 50 a 250 addetti – esprime un malessere più marcato (20,6%).
Un approccio olistico per ridisegnare le best practice
Oggi i dipendenti premiano le imprese che hanno davvero a cuore il loro benessere, che non rappresenta solo un aspetto strettamente legato alla salute, ma una leva chiave per l’engagement, la retention e la performance.
Ecco perché occorre un approccio integrato al benessere in azienda, per creare un ambiente di lavoro più sano e sostenibile per tutti. E la soluzione è nell’adozione di un approccio a 360 gradi che porti a ridisegnare le best practice d’impresa per prevenire e mitigare il rischio di stress e di burnout attivando dinamiche relazionali e processi virtuosi: dal supporto psicologico accessibile, ai check-in periodici con i dipendenti fino al lavoro flessibile e ai Think Tank.
Meno stress correlato da lavoro, più benessere psicologico, meno turnover
A essere certa che questa sia la via da intraprendere è la stragrande maggioranza degli HR (94%), che ribadisce che la cultura del benessere riduce il turnover, migliorando competitività e sostenibilità.
Un’organizzazione che investe in programmi di wellbeing ha anche un vantaggio competitivo nel recruiting, riuscendo ad attrarre professionisti altamente qualificati. E non è un caso che il 52% dei dipendenti italiani che hanno aderito a dei programmi di benessere si dichiari soddisfatto della propria azienda, rispetto al 25% dei dipendenti di aziende che non offrono questo tipo di benefit.
Le “Best Practice” per il benessere mentale
Per rispondere alle esigenze dei Direttori HR, sempre più consapevoli di questi aspetti, ma non sempre in grado di disporre di risorse e strumenti adeguati a mettere in campo sostanziali cambiamenti nelle pratiche aziendali, Wellhub ha collaborato con Serenis, per mettere insieme dati, strategie e spunti pratici e suggerire alcune “Best Practice” che possono attivare in azienda un circolo virtuoso, contribuendo a realizzare un modello organizzativo per il benessere olistico dei dipendenti.
Fra le azioni concrete che i direttori HR possono mettere in campo per il benessere olistico ci sono la formazione per la gestione dello stress e per una miglior resilienza ed il supporto psicologico accessibile, che per nove lavoratori su dieci rappresenta l’attività più efficace per il benessere mentale dei dipendenti (Fonte: Serenis).
E ancora:
- il lavoro flessibile per migliorare l’equilibrio tra vita personale e professionale;
- la gestione sostenibile del carico di lavoro per evitare i sovraccarichi – che interessano con regolarità più di un lavoratore su quattro in base ai dati Serenis – grazie a obiettivi e scadenze realistici;
- i check-in periodici con i dipendenti per monitorare lo stress e raccogliere feedback. Fra i principali fattori di stress anche il fatto di lavorare da soli per il 61,6% dei rispondenti alla survey di Serenis.
- i “Think Tank” di ascolto e confronto, ovvero momenti di incontro e confronto per incentivare il mentoring, il dialogo HR-dipendenti, gruppi di supporto tra pari e momenti di condivisione informale.
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