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Opinioni | La crescita tra luci e ombre


Di luci sembrano essercene in questi ultimi mesi per l’Italia. Ci si mette in coda per acquistare titoli di Stato italiani. Le agenzie che misurano l’affidabilità nel restituire il debito modificano il loro giudizio e sono positivi sulla fase del Paese. Il numero di occupati non è mai stato così alto. Il dialogo è avviato tra imprese ed esecutivo, come dimostrato martedì all’assemblea di Confindustria. Il governo appare stabile e dalla leadership chiara.
Eppure c’è quella crescita che langue attorno allo 0,6 per cento, mentre i Paesi dell’euro fanno in media l’1,2 per cento. Il precedente governo (a guida Mario Draghi) aveva fatto in tempo a varare una sola legge di Bilancio. Questa maggioranza si appresta a comporre la sua quarta Finanziaria. Ma la svolta non si è sentita.
Di misure ne sono state varate. Tante fette della società hanno ricevuto sostegni, spesso sotto forma di bonus nonostante l’avversione della premier a queste forme di aiuti. Sinora una spesa complessiva di circa 100 miliardi mal contati. Una cifra di non poco conto per riavviare il Paese.

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Ma l’orientamento a sostenere le famiglie o singoli settori d’impresa non necessariamente si tramuta in un sostegno alla crescita generale. A determinare lo sviluppo sono due fattori: gli investimenti e i consumi. E in entrambi i casi alle luci si sostituiscono le ombre.
Il concetto ormai ripetuto troppe volte di un’Europa attaccata al green deal «ideologico» non sembra aver prodotto un altro green deal «non ideologico» ma denso di fatti. E se la Ue sta producendo modifiche e semplificazioni significative, si può dire lo stesso di un’Italia che pare sempre diffidente di quanto accade a Bruxelles?
Il Piano Transizione 5.0 che doveva sostenere il passaggio a forme di produzione più efficienti dal punto di vista energetico e incentrato sulle rinnovabili deve concludersi entro giugno del prossimo anno. Ma non procede certo a marce forzate. Dei 6,237 miliardi messi a disposizione del Pnrr, ne sono stati prenotati dalle aziende meno di un miliardo (966 milioni) e solo 51 milioni sono relativi a opere completate.




















































Pensare che siano le imprese a non richiedere quei soldi sarebbe bizzarro. Più facile credere che alle aziende siano stati prospettati tortuosi iter tali da far passare qualsiasi ambizione alla sostenibilità.
Le barriere burocratiche non sono solo in Europa come sottolineato dal rapporto Draghi, ma anche all’interno dei singoli Paesi, a cominciare dal nostro. La difesa di singole categorie professionali o di settore può diventare ostacolo per altri imprenditori, banalmente un freno all’intrapresa. E se sembra ci siano 15 miliardi disponibili di sostegno alle imprese si dovrebbe chiarire se e come facciano parte di quei 25 che si erano ventilati nel momento di maggiore crisi sul fronte dei dazi.
L’energia rimane uno dei fattori di minore competitività del nostro Paese. Famiglie e imprese la pagano molto di più di quanto avvenga dentro i confini dei nostri competitor europei. Già nello scorso Parlamento si parlava di riforma del sistema di formazione dei prezzi. Siamo ancora nella fase della discussione. E sarebbe uno sbaglio sprecare la finestra di dialogo che si è aperta tra chi produce energia e chi la consuma per arrivare a una composizione di interessi.

Non è facile muoversi in una situazione di così complessa geopolitica internazionale. E la politica estera torna al centro dell’attenzione. Ma proprio per questo andrebbero stabilite delle priorità. Priorità utili a quelle imprese che, come dice il ministro Giorgetti, fanno la politica industriale. La transizione digitale, che in tempi recenti aveva un ministro dedicato, lo è ancora? E quella ecologica, è stata definitivamente uccisa dall’ideologia avversa dimenticando il riscaldamento globale e la sfida della sostenibilità?
Siamo tutti preoccupati, e crediamo lo sia anche il governo, per la produzione industriale in discesa da oltre due anni. Ma c’è l’altro motore della crescita italiana che non gira. Si tratta dei consumi. Consumi interni, quelli che nel caso dell’America hanno fatto sempre da spinta allo sviluppo e che in società orientate all’export come quella italiana e in generale europea, sono stati sempre sottovalutati. Se non in qualche caso osteggiati.

Settimana prossima saranno diffusi dall’Istat gli ultimi dati sul commercio al dettaglio. Ma i più recenti ci raccontano di un’Italia che stringe la cinghia. Nel primo trimestre di quest’anno le vendite sono scese dello 0,2 per cento in valore e dello 0,5 per cento in volume rispetto agli ultimi tre mesi del 2024. Con un calo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso del 2,8 per cento in valore e del 4,2 per cento in volume. Cadono i beni alimentari del 4,2 per cento in valore e del 6,7 per cento in volume. Con persino le vendite on line in frenata. L’osservatorio Confimprese-Jakala, ieri ha poi confermato il rallentamento ad aprile con un meno 4,1 per cento.
Un problema sicuramente di salari ma anche di attitudine alla spesa. Il lieve incremento di questi ultimi mesi degli stipendi c’è da sperare indichi una tendenza. Che non basterà. Chi può risparmia. È vero, l’inflazione pare correre meno. Ma si dimentica che quella passata si è depositata sui listini e non è andata via.

La fiducia di famiglie e imprese è decisiva affinché si sia propensi a spendere e a investire. Ma ad aprile per entrambe le categorie essa era in diminuzione. Questa mattina l’Istat fornirà i nuovi dati. Andranno letti con accuratezza. Il governo che si avvia apparentemente senza scossoni ai tre anni di lavoro ha davanti a sé ancora un lungo lasso di tempo per poter agire.
Il Pnrr, con la sua dote per centinaia di miliardi e i suoi obiettivi di investimento e riforme, l’anno prossimo dovrà andare a compimento. Ritardi o meno, di sicuro ha contribuito a non far fermare il Paese. E a dargli un orizzonte. La politica con il voto si è ripresa un primato a lungo rincorso. Ma lavorare per il consenso non basta. Quello che si sta rischiando è mancare l’appuntamento con la crescita. Cosa che il Paese non si può permettere.

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28 maggio 2025



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