Investi nel futuro

scopri le aste immobiliari

 

Le preoccupazioni di Egitto e Giordania per i piani israeliani in Palestina


Dopo gli eventi del 7 ottobre 2023, l’approccio di Israele nei confronti della Striscia di Gaza e della Cisgiordania ha subito una trasformazione profonda. Quella che per decenni era stata una strategia di gestione del conflitto si è trasformata in una politica molto più aggressiva, volta a spostare con la forza la popolazione palestinese e a sradicarla dalle proprie terre. Giordania ed Egitto – due paesi che condividono confini diretti con la Cisgiordania e con Gaza – percepiscono questi sviluppi come gravi minacce alla propria sicurezza nazionale e alla stabilità interna e si trovano quindi in una posizione diplomatica delicata: da un lato devono opporsi con fermezza a politiche che considerano minacce esistenziali, dall’altro devono evitare uno scontro diretto con la nuova amministrazione Trump, principale alleato di Israele.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Dal contenimento al trasferimento forzato: una nuova strategia israeliana

Dall’occupazione dei Territori Palestinesi (inclusa Gerusalemme Est) nel 1967, Israele aveva adottato una politica che mirava essenzialmente alla gestione del conflitto e al controllo della popolazione palestinese. Un approccio basatosi su strumenti repressivi – come arresti, demolizioni di case e operazioni militari – ma anche su forme indirette di controllo, come la cooperazione con l’Autorità Palestinese e l’offerta di opportunità economiche, per vincolare la popolazione agli interessi israeliani e scoraggiare qualsiasi forma di resistenza. Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, però, Israele ha mutato radicalmente rotta, passando a una politica di vera e propria pulizia etnica nei confronti dei palestinesi. Nella Striscia di Gaza, la guerra in corso – che ha già causato oltre 50.000 morti – ha provocato una crisi umanitaria, sociale ed economica senza precedenti. La distruzione sistematica delle infrastrutture essenziali per la vita quotidiana mira a rendere Gaza invivibile e a spingere la popolazione a lasciare il territorio attraverso un trasferimento forzato.

Il governo israeliano sin dall’inizio del conflitto è stato esplicito circa il raggiungimento dell’obiettivo della pulizia etnica. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ribadito la volontà di espellere i palestinesi da Gaza, riaffermandolo anche durante il suo ultimo incontro con il presidente Donald Trump, nell’aprile scorso. A marzo, il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato una proposta del ministro della Difesa Israel Katz per promuovere il “trasferimento volontario” dei palestinesi, con tanto di creazione di un’agenzia governativa dedicata.

In Cisgiordania, Israele ha aumentato l’uso della forza militare contro i palestinesi, espandendo gli insediamenti, incrementando la sorveglianza, permettendo crescenti attacchi da parte dei coloni, sfollando già oltre 40.000 i palestinesi dal nord della Cisgiordania, e continuando a rivendicare l’annessione della Cisgiordania. La strategia principale dietro questa politica è il cosiddetto “Piano Decisivo”, promosso dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich dal 2017, che mira per l’appunto all’annessione della Cisgiordania allo stato ebraico, offrendo ai palestinesi tre opzioni: rinunciare alle proprie aspirazioni politiche e accettare uno status subordinato; emigrare con l’assistenza israeliana, oppure, in caso di resistenza, affrontare la repressione militare.

Perché Egitto e Giordania vedono le politiche israeliane come minacce esistenziali

Egitto e Giordania, confinanti rispettivamente con Gaza e la Cisgiordania, hanno più volte espresso la propria opposizione alle politiche israeliane di espulsione e annessione. Già nel 2023, poche settimane dopo l’inizio della guerra, la Giordania ha richiamato il proprio ambasciatore in Israele e nel settembre 2024, il ministro degli Esteri giordano ha dichiarato che qualsiasi tentativo di trasferire forzatamente i palestinesi in Giordania violerebbe il trattato di pace con Israele e sarebbe considerato “una dichiarazione di guerra”. Allo stesso modo, l’Egitto ha respinto i tentativi israeliani di espandere la zona cuscinetto a Gaza e ha informato gli Stati Uniti che i piani di annessione e trasferimento forzato metterebbero a rischio il trattato di pace del 1979 e le relazioni diplomatiche bilaterali. Pertanto, mentre il Re di Giordania ha incontrato il presidente Trump nel mese di febbraio, dopo che quest’ultimo aveva invocato lo spostamento forzato dei palestinesi, il presidente al-Sisi ha invece rinviato la sua visita, poiché l’ipotesi dello sfollamento era ancora sul tavolo. Si è concentrato piuttosto sul guidare gli sforzi regionali per elaborare un piano arabo di ricostruzione della Striscia di Gaza, che non prevedesse la rimozione dei palestinesi dalle loro terre. In effetti, entrambi i paesi percepiscono le attuali politiche israeliane nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania come una grave minaccia per la propria sicurezza nazionale, per diverse ragioni.

L’Egitto ha due principali motivi di preoccupazione. Il primo riguarda la sicurezza: avendo passato la scorsa decade a combattere i militanti islamisti nel Sinai, le autorità egiziane temono che un afflusso di rifugiati da Gaza possa favorire l’infiltrazione di combattenti di Hamas, che utilizzerebbero poi il territorio egiziano per attacchi contro Israele. Questo scenario potrebbe innescare reazioni militari israeliane nel Sinai o addirittura la presenza di forze internazionali sul suolo egiziano, compromettendone la sovranità nazionale. Il secondo motivo riguarda l’opinione pubblica: la popolazione egiziana è fortemente solidale con i palestinesi e contraria a qualsiasi azione che possa sembrare un aiuto allo spostamento forzato della popolazione.

Aste immobiliari

l’occasione giusta per il tuo investimento.

 

Anche la Giordania considera le politiche israeliane – in particolare l’annessione della Cisgiordania – una minaccia diretta alla propria stabilità per tre motivazioni principali.  La prima riguarda il fatto che la Giordania ha assorbito molteplici ondate di rifugiati palestinesi dal 1948 e attualmente ospita centinaia di migliaia di rifugiati siriani, iracheni e yemeniti. Un ulteriore spostamento di palestinesi verso la Giordania comporterebbe quindi una pressione insostenibile – sia dal punto di vista economico che della sicurezza – per un paese che già soffre di scarsità d’acqua, elevati tassi di disoccupazione giovanile e un notevole debito pubblico. Il paese, infatti, non dispone delle infrastrutture né delle risorse necessarie per sostenere una nuova migrazione di massa, che potrebbe potenzialmente destabilizzarlo. La seconda preoccupazione per la Giordania riguarda il delicato equilibrio demografico e l’identità nazionale. Qualsiasi spostamento su larga scala di palestinesi metterebbe seriamente in discussione la già complessa composizione demografica del paese, in cui una parte significativa della popolazione è di origine palestinese. Un tale cambiamento potrebbe minare l’identità nazionale giordana, mettendo a rischio la stabilità della monarchia hashemita e alimentando, al contempo, la controversa narrazione della destra israeliana che considera la Giordania come una possibile patria alternativa per i palestinesi. La terza preoccupazione, come nel caso dell’Egitto, riguarda l’opinione pubblica: la popolazione giordana ha espresso una forte opposizione allo sfollamento dei palestinesi e un ampio sostegno alla posizione del proprio governo contro questa ipotesi. Ciò si è accompagnato a una crescente pressione interna sul governo giordano affinché faccia di più per aiutare i palestinesi, come dimostrano, ad esempio, le ondate di proteste di massa scoppiate in tutto il paese dopo l’inizio della guerra.

Un delicato equilibrio diplomatico

Sia Egitto che Giordania si trovano quindi a dover mantenere un equilibrio diplomatico complesso. Da una parte, devono opporsi con fermezza alle politiche israeliane di spostamento forzato e annessione. Dall’altra, sono consapevoli della necessità strategica di preservare buoni rapporti con Washington ed evitare scontri diretti con l’amministrazione Trump. I due paesi stanno cercando di coordinarsi per promuovere un piano arabo per Gaza e allo stesso tempo sensibilizzare la comunità internazionale sui pericoli regionali derivanti dallo spostamento forzato della popolazione palestinese.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Opportunità unica

partecipa alle aste immobiliari.