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Avanti con gli azeri per l’ex Ilva, anche adattando il piano. Confindustria: “Perdere Taranto sarebbe una pazzia”


“Taranto può essere protagonista della nuova rivoluzione industriale italiana”. Con questa promessa il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha aperto questa mattina il tavolo operativo sul futuro dell’ex Ilva. All’incontro hanno partecipato rappresentanti del governo, delle istituzioni locali, delle associazioni imprenditoriali e di diverse aziende interessate a investire nell’area. Urso ha comunicato ai presenti di aver presentato il piano di decarbonizzazione dell’impianto siderurgico tarantino, che sarà alla base del nuovo progetto industriale da negoziare con gli azeri di Baku Steel. “Possiamo realizzare un modello europeo per la produzione di acciaio green, un polo d’eccellenza industriale all’avanguardia nella transizione ecologica”, ha detto il ministro. Dopo l’incendio che ha colpito l’altoforno 1, ha assicurato il ministro, le trattative per la vendita dell’ex Ilva alla cordata azera “continuano”, anche se sarà necessario rivedere il piano industriale. A preoccupare in questo momento è soprattutto la ridotta operatività degli stabilimenti, che costringerà a dimezzare l’occupazione fino al ripristino della piena capacità produttiva. “Dobbiamo partire dal presupposto che con metà produzione c’è metà occupazione per un lungo periodo transitorio”, ha affermato Urso, annunciando l’intenzione di convocare un tavolo con le imprese dell’indotto.

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Il piano di decarbonizzazione per Taranto, ha spiegato Urso, si inserisce in un più ampio processo di riconversione dell’industria siderurgica nazionale che coinvolge altri siti strategici. “Giovedì ci sarà la riunione conclusiva per la definizione dell’accordo di programma tra il Mimit e Metinvest-Danieli”, ha annunciato il ministro, riferendosi al progetto di rilancio del polo siderurgico di Piombino, su cui già ad aprile è stato firmato un accordo di sviluppo con Jindal. Allo stesso modo, Urso si è detto ottimista sul fronte di Terni, dove “entro il mese chiuderemo l’accordo di programma”. “Anche a Taranto possiamo riuscirci”, ha assicurato. In questo caso, il progetto prevede la sostituzione degli altoforni dell’ex Ilva con forni elettrici, che saranno inizialmente alimentati a gas. “Si parte dal gas e quindi dalla nave rigassificatrice, che dovrà essere ancorata al porto di Taranto”, ha spiegato il ministro, delineando il primo passaggio della traiettoria verso una siderurgia completamente sostenibile. Grazie al lavoro che si sta portando avanti a Taranto, Piombino e Terni, secondo Urso, l’Italia potrà diventare “il paese più avanzato in Europa sulla produzione di acciaio green”.

Meno chiare sono invece le prospettive occupazionali per i lavoratori delle Acciaierie. Subito dopo l’incendio dell’altoforno 1, l’azienda ha chiesto l’autorizzazione per la messa in sicurezza urgente dell’impianto, ma il via libera è arrivato troppo tardi per evitarne la compromissione. La produzione, di conseguenza, non potrà tornare a pieno regime nel breve termine e oltre 4 mila lavoratori saranno collocati in cassa integrazione straordinaria. Per affrontare la questione, il governo incontrerà i sindacati questo mercoledì a Palazzo Chigi. “Con l’estrema franchezza che è dovuta, ci confronteremo su come alleviare le conseguenze su coloro che lavorano all’interno del sito siderurgico e su come preparare gli strumenti perché in tempo congruo si creino altre occasioni di lavoro”, ha spiegato Urso. Il tema è stato affrontato anche nel corso del tavolo al Mimit, dove sono stati presentati quindici progetti industriali per il futuro di Taranto: dalla fabbrica di carpenteria metallica di Webuild ai cantieri navali per yacht di lusso dei Cantieri di Puglia, fino alla produzione di dirigibili commerciali da parte di Green Tech Aerospace e alla cantierizzazione di impianti eolici offshore di Toto Holding-Renexia. Da previsioni, queste iniziative potrebbero dare impiego a oltre 5 mila persone.

Da Confindustria è però arrivato l’appello a non perdere il focus sull’ex Ilva, in modo che torni a produrre a pieno regime ed essere competitiva con gli altri Paesi. “Perdere una filiera così importante e acquistare l’acciaio in altri continenti è una pazzia”, ha dichiarato Emanuele Orsini, presidente degli industriali, che ha ribadito come l’Italia non possa rinunciare a un’industria strategica, anche per garantire le materie prime necessarie alle tante aziende che utilizzano acciaio, a partire da Fincantieri. Di tutt’altro tenore è la posizione del movimento “Giustizia per Taranto”, che ha inviato una lettera a tutte le aziende interessate all’acquisizione dell’ex Ilva – gli azeri di Baku Steel, i cinesi di Baosteel e gli indiani di Jindal – chiedendo loro di fare un passo indietro. Secondo gli attivisti, “gli impianti sono vecchi, fatiscenti e pericolosi” e rappresentano un rischio per la salute di chi lavora e di chi vive attorno alla fabbrica. “Taranto non vuole più questo impianto e chiunque lo acquisisca non sarà il benvenuto”.

Sul piano politico, l’ultima voce a intervenire sul futuro dello stabilimento siderurgico di Taranto è stata quella dell’ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando (Partito Democratico), che ha rilanciato l’ipotesi di un intervento diretto dello Stato nelle Acciaierie. “Nazionalizzare è l’unico modo per restituire una forza nelle trattative con i privati ed evitare lo spezzatino, che ci farebbe perdere il ciclo integrato di produzione”, ha detto l’esponente dem in un’intervista al Secolo XIX, ritenendo che ogni trattativa partirebbe ora da una condizione di debolezza per il governo. Una posizione simile era stata espressa nei giorni scorsi anche dal segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che aveva invocato “l’intervento diretto dello Stato”. “Questa storia va avanti dal 2012 e da allora diciamo che un’attività straordinaria come quella ha bisogno di un intervento pubblico”, ha puntualizzato Landini. Il governo, finora, si è sempre detto contrario alla statalizzazione dell’ex Ilva. Tuttavia, nei mesi scorsi il ministro Urso aveva aperto alla possibilità di “una partecipazione largamente minoritaria dello Stato che possa accompagnare questo processo di rilancio produttivo”, precisando però che questo avverrebbe solo “se gli attori dovessero chiederlo”.



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