La “erre” arrotata, in effetti, c’è. Ma la storia e l’aneddotica di Giuseppe Di Carlo, da molti conosciuto come “il francese” per via dell’infanzia in Corsica, è italianissima: si è sviluppata fra Motta Montecorvino (le origini paterne), Lucera e Foggia, tirando su palazzi, ricoprendo incarichi apicali ai vertici di Confindustria Foggia e, oggi, della Camera di Commercio. Eppure, ancora oggi, “Pino” non disdegna il gusto del buon vivere e qualche goliardata con gli amici di sempre. Così, a 63 anni, Giuseppe Di Carlo rientra nella ristretta schiera di quell’imprenditoria di successo che, dopo aver costruito le proprie fondamenta nel settore edilizio, ha saputo diversificare i settori d’interesse, puntando con decisione sul turismo, sull’alberghiero e sulle energie rinnovabili: i comparti attualmente più dinamici dell’economia foggiana.
L’edilizia resta la matrice da cui tutto ha avuto origine, mentre il turismo è l’espressione di una passione che, nel mondo dell’impresa, si chiama “diversificazione”. Anche in virtù di questi punti di riferimento, Giuseppe Di Carlo è sempre stato considerato il punto di congiunzione più concreto tra le varie, e a volte un po’ litigiose, anime dell’imprenditoria locale, che hanno trovato nella sua presidenza un punto d’incontro ideale, come avvenne oltre un decennio fa con la guida di Confindustria e, più di recente, al vertice della Camera di Commercio di Foggia: compendio conclusivo (ma non definitivo) di un percorso lungo circa quarant’anni, cominciato nell’impresa di famiglia e proseguito con un impegno via via sempre più attivo nell’associazionismo imprenditoriale, che ha portato Di Carlo ai vertici di Ance e Cassa Edile (2004-2008), di Confindustria Foggia (2014-2020), fino all’approdo in Confcommercio, trampolino di lancio per l’elezione alla guida degli imprenditori foggiani nell’emiciclo camerale, il 6 giugno 2024.
Di Carlo, da Lucera alla Corsica e ritorno. Il boom del mattone comincia negli anni Sessanta, ma in terra straniera. Come nasce questa storia?
«Nasce semplicemente grazie a mio padre, che da lavoratore emigrato decise di tornare a casa. Era il 1967, avevo sei anni e i miei avrebbero dovuto iscrivermi alla prima elementare in una scuola francese. Decidemmo così di rientrare: l’alternativa sarebbe stata restare in Corsica a vita. Ma avevamo nostalgia del nostro Paese, e poi a Lucera la mia famiglia possedeva un suolo su cui mio padre intendeva investire. Rientrammo con l’obiettivo di costruire un edificio su quel terreno. Su quel primo cantiere lavorava tutta la famiglia: mio padre, mio zio, mio nonno, c’era anche un operaio, e mia nonna che stava sempre lì, dato che la sua casa era adiacente alla costruzione. Cominciammo con questa squadra».
Decisiva fu l’esperienza francese che diede la spinta all’impresa familiare?
«Certamente. Mio padre emigrò in Corsica nel 1957, faceva il muratore e, a quel tempo, in tutta Europa c’era grande richiesta di manodopera. Fu un’esperienza decisiva per la storia della nostra famiglia: ci siamo formati secondo i ritmi di un’epoca segnata dal boom economico. Per noi fu importante metterci in movimento seguendo quella scia di progresso».
Parliamo di tempi forse irripetibili: l’edilizia tirava e l’Italia riempiva le fabbriche di operai. Lei era un bambino: che ricordi conserva di quel periodo?
«Negli anni Sessanta seguivo mio padre sui cantieri con i calzoni corti. Tuttavia, per la nostra famiglia, quello non fu il vero boom: dove non si riusciva a coprire le spese dei cantieri, bisognava ricorrere alle cambiali. Il vento cambiò davvero per l’edilizia locale negli anni Ottanta, quando il livello di benessere delle famiglie si diffuse maggiormente e la gente cominciò a investire i propri risparmi per garantirsi un tetto sicuro sopra la testa. Quello fu un periodo di grandi trasformazioni per le nostre città, un’epoca durata oltre vent’anni, fino ai primi Duemila».
Un processo che ha potuto gestire in prima persona.
«Entrai proprio in quella fase, con ruoli operativi nell’impresa di famiglia. Ricordo che, grazie ai buoni affari che si facevano con il mattone, riuscimmo a migliorare anche le dinamiche del rapporto con il mondo del credito, che negli anni precedenti si era rivelato piuttosto complicato. Furono gli anni in cui le famiglie cominciavano ad aspirare a un tenore di vita diverso, più evoluto, e il fattore casa non poteva essere escluso da questo cambiamento. Proprio in virtù di questi nuovi bisogni riuscimmo ad allacciare rapporti più proficui con le banche del territorio».
Lei è stato presidente degli edili di Ance-Confindustria e di Confindustria Foggia. Quando sedeva ai tavoli negoziali, sottolineava la necessità di abbandonare la logica dell’edilizia abitativa in periferia per puntare sul recupero e la riqualificazione dei centri storici. Lo pensa ancora?
«Assolutamente sì. Non si può continuare a consumare suolo in periferia quando c’è un patrimonio pubblico e privato nei centri storici da riqualificare. La città di Foggia sconta un’anomalia storica: proprio a causa di questa politica, si è molto estesa oltre la sua originaria superficie urbana e rispetto alla sua stessa densità abitativa. Questo ha comportato per il Comune costi di gestione più elevati, in termini di viabilità e servizi pubblici, rispetto ad altre città. Abbiamo strade larghe, belle piazze. Ma ora è tempo di fermarsi. Prima o poi bisognerà mettere mano al recupero dello spazio urbano. Mi rendo conto che non sarà facile: servirebbero molti fondi pubblici, e non è semplice trovarli. Ma bisognerà andare in questa direzione».
“Non si può continuare a consumare suolo in periferia quando nei centri storici c’è un patrimonio da riqualificare”
Secondo lei, qual è lo stato di salute dell’edilizia, considerato che più di un foggiano su due ha una casa di proprietà? Sarebbe disposto, con la sua azienda, a dare il buon esempio smettendo di costruire case per occuparsi di opere pubbliche?
«Con l’edilizia si lavora sul mercato a 360 gradi: è impossibile occuparsi solo di settori specifici. Negli ultimi tempi, l’edilizia abitativa ha conosciuto un’altra impennata grazie al Superbonus. Ma va detto anche che il comparto privato è di nuovo in difficoltà, a causa dell’aumento dei costi delle materie prime, mentre i prezzi degli appartamenti non crescono in linea con l’andamento del mercato. A Foggia, fatta eccezione per alcune zone, come del resto anche in provincia, si segnala una crescita delle compravendite. Tuttavia, vanno più forte i lavori pubblici, grazie ai copiosi finanziamenti promossi dai vari programmi comunitari e dalle misure statali. In questo contesto vedo margini di crescita molto interessanti per il settore edile. Il piano per le Opere pubbliche varato dal Comune di Foggia è una manna dal cielo per una ripresa più decisa dell’imprenditoria delle costruzioni».
Come definirebbe oggi la sua impresa: ancora orientata sull’edilizia, oppure lanciata verso nuovi orizzonti come il turismo? L’investimento di Vigna Nocelli, il grand hotel sulla Foggia-Lucera, ha rappresentato una svolta per i suoi affari? E con quali ricadute sull’economia locale?
«La svolta c’è stata. Il settore turistico è adesso una componente importante dei miei investimenti. Resto attento alle varie opportunità che si presentano, nei settori più diversi. Mi riferisco a segmenti tipici dell’economia del territorio, come gli investimenti in agricoltura collegata all’agroindustria, nella produzione di energia rinnovabile, nell’economia circolare. Abbiamo attuato diverse forme di diversificazione, limitatamente alle potenzialità economiche del nostro territorio. Ma quella di Vigna Nocelli è senz’altro la più evidente. È stata una scommessa importante immaginare di realizzare un resort ai piedi dei Monti Dauni. Quando aprimmo, nel 2009, non potevamo prevedere l’evoluzione che un grande albergo come questo avrebbe avuto, per giunta in un’area piuttosto povera di servizi e infrastrutture. È stato un investimento significativo, affiancato dalle risorse pubbliche disponibili ottenute tramite il patto territoriale “Prospettive Subappennino”. È stata una sfida. Forse l’abbiamo vinta. Ma non è ancora finita: stiamo lavorando affinché il turismo di qualità si accorga delle bellezze storico-paesaggistiche di quest’area a nord della Puglia, un po’ come è successo nel Salento e, più tardi, nel Barese. Pensiamo di avere tutte le carte in regola per riuscirci anche noi. Arriveremo un po’ dopo di loro, ma ce la faremo, se ci impegneremo a fondo. Nulla arriva per caso».
Come nasce il progetto Vigna Nocelli, un vecchio rudere – seppur di pregio – abbandonato al suo destino e situato a metà strada tra Foggia e Lucera? All’epoca questo tratto della Statale 17 non aveva nemmeno le quattro corsie di oggi.
«L’edificio era un’antica stazione di posta, di proprietà del barone Nocelli, un latifondista da cui prende il nome tutta l’area circostante. Notavo questa costruzione nobiliare immersa nella campagna, e in un certo senso mi incuriosiva. La facciata – lasciata intatta nella sua architettura – presenta uno stile vagamente arabo-gotico, che non passava inosservato. Così ci venne l’idea di farne qualcosa. Eravamo ai primi anni Duemila: dopo aver acquistato l’area, cominciammo a immaginare cosa potesse nascere oltre l’albergo. È nato così il progetto che oggi vediamo, con due piscine e ampi spazi in grado di ospitare qualsiasi tipo di evento. Quest’anno abbiamo ospitato per il terzo anno consecutivo il National Billiard Challenge (8-17 febbraio 2025), con giocatori e accompagnatori provenienti da tutta Italia. Le sole aree del barone Nocelli non furono sufficienti: per realizzare tutto questo abbiamo acquisito anche terreni circostanti, fino a creare un resort con ampie sale per eventi e una struttura dotata di 65 camere, di cui dieci suite. Attualmente il resort si estende su una superficie di 11 ettari».
“La svolta c’è stata: il settore turistico è ormai una componente importante dei miei investimenti”
Grand hotel aperto tutto l’anno, proprio come il flusso dei turisti?
«Abbiamo turisti durante tutto l’anno, e ogni anno crescono un po’ di più. Finora ci siamo affidati ai grandi tour operator che canalizzano i flussi, ma da qualche tempo, con i nostri manager, stiamo cercando di intercettare un turismo diverso rispetto a quello veicolato dalle guide internazionali, un pubblico che potrebbe apprezzare un tipo di vacanza come quella che offriamo. La gente viene, si rilassa, mangia bene, si dedica alla Spa e può impiegare il tempo libero per visitare i beni culturali che ci circondano. Siamo a venti minuti dai principali centri di rilevanza artistico-culturale della Daunia e dal mare di Manfredonia, in una posizione direi davvero strategica, a metà strada tra Foggia e Lucera. Ospitiamo gli equipaggi della compagnia Lumiwings, e nel fine settimana registriamo presenze di turismo del benessere che ormai ci sceglie in modo esclusivo. Complessivamente riusciamo a ottenere un tasso di occupazione alberghiera medio del 50%. Il nostro obiettivo è offrire un prodotto valido sia in termini qualitativi che quantitativi».
Il territorio, però, non sembra seguire questa tendenza. Sono frequenti gli incidenti di percorso: turisti che non riescono a visitare chiese e musei a Lucera e dintorni, indicazioni assenti per raggiungere i Grifoni ad Ascoli Satriano, strade spesso dissestate. Come si affronta tutto ciò?
«È un problema di organizzazione. Da un lato, i comuni faticano a reperire le risorse per tenere aperti i musei; dall’altro, c’è poca disponibilità da parte dei dipendenti comunali a garantire l’apertura dei siti, come il castello di Lucera, la domenica mattina. È un tema che dovrà essere affrontato seriamente. Se Lucera vuole davvero essere la capitale della cultura pugliese nel 2025, serve una riflessione senza paraocchi. Se la cultura deve essere fruibile, lo deve essere per tutti, anche con orari prestabiliti, purché siano comunicati chiaramente ai potenziali visitatori».
È ipotizzabile, secondo lei, un consorzio tra imprese virtuose del territorio per organizzare questi servizi, sottraendoli ai comuni?
«Nel momento in cui i numeri cresceranno, anche grazie allo sviluppo dell’aeroporto di Foggia, sarà inevitabile occuparsi di questi aspetti. Bisognerà creare un sistema di collaborazione, un modello che in parte abbiamo già inaugurato all’inizio di febbraio, in occasione della prova del Campionato nazionale di biliardo, con oltre mille partecipanti. I nostri ospiti hanno trovato posto solo in minima parte nel nostro albergo: molti sono stati distribuiti nelle strutture ricettive del territorio».
Ritiene che l’aeroporto di Foggia sia già in grado di portare benefici reali in termini di arrivi turistici?
«Non credo, almeno non ancora. Se consideriamo le famiglie di residenti al Nord che utilizzano l’aereo per tornare a salutare i parenti in provincia, una parte di quel flusso è certamente sostenuta dai voli. Ma ci vorrebbe ben altro. A mio avviso, l’aeroporto potrebbe cominciare presto a raccontare un’altra storia. Il 25 maggio partirà il primo volo Foggia-Monaco di Baviera, con due collegamenti settimanali. È una tratta che potrebbe riportare in Capitanata – e in particolare sul Gargano – quei turisti tedeschi che hanno sempre amato questi luoghi. Con la costruzione della caserma dei vigili del fuoco all’interno dello scalo, l’aeroporto subirà un salto di qualità: verranno meno i limiti attuali imposti dalle norme antincendio, che oggi non consentono più di cento passeggeri sui voli di linea. Credo che nel biennio 2026-2027, con l’ampliamento dell’aerostazione, dei piazzali e l’entrata in funzione della caserma, anche Foggia potrà finalmente avviare un vero processo di rilancio dello scalo, come è accaduto a Bari e Brindisi. La Puglia è diventata turistica grazie ai voli: sono le compagnie low-cost a indirizzare i passeggeri verso le strutture. È un momento favorevole per tutto il sistema».
Anche la Camera di Commercio ha contribuito con un sostanzioso finanziamento a sostenere le spese del Foggia-Monaco.
«Abbiamo erogato 100mila euro. Nessuna Camera di Commercio, in altre zone del Paese, ha fatto uno sforzo simile. Non sarà una cifra enorme, ma rappresenta chiaramente il segnale di un impegno concreto e di una condizione territoriale che, a mio avviso, è stata apprezzata. Con Aeroporti di Puglia c’è un rapporto ormai consolidato, che va ben oltre il profilo istituzionale. È una scommessa che AdP ha fatto su Foggia e che sta onorando. Oggi la società degli aeroporti pugliesi ha raggiunto un valore strategico in cui anche lo scalo dauno entra a pieno titolo. Con il presidente di AdP, Antonio Vasile, c’è stata intesa su tutta la linea: siamo fermamente intenzionati a proseguire in questa direzione».
“Con l’aeroporto di Foggia e l’arrivo dei voli per Monaco possiamo iniziare a raccontare un’altra storia”
La Lumiwings, piccola e coriacea compagnia greca, sta per completare il terzo anno di operatività a Foggia. Come giudica questa esperienza?
«Piloti e hostess dormono da noi. Li incontro quasi ogni giorno, ho con loro un rapporto diretto. Sono molto contenti dell’andamento del progetto su Foggia. Hanno partecipato a un bando regionale, e la Regione ha individuato il profilo più adatto per affrontare un’impresa così complessa: una compagnia piccola, ben organizzata, in grado di dedicarsi con impegno totale. La verità è che loro sono entusiasti di quanto sta accadendo. All’inizio non era affatto scontato: anche la compagnia ha investito capitali propri in questa operazione. Oggi i numeri sono molto incoraggianti. Parliamo di un potenziale di un milione di passeggeri, se tutto dovesse andare per il verso giusto. E la piccola Lumiwings si trova al centro di questo progetto, con la gestione esclusiva di un piccolo aeroporto tutto per sé, da cui si parte in pochi minuti, e dove il passeggero è coccolato a bordo. Viaggiamo quasi in business class, al prezzo di un biglietto ferroviario».
Secondo lei, i tempi sono maturi per una seconda compagnia su Foggia?
«Una seconda Lumiwings non avrebbe senso. Avrebbe invece senso portare a Foggia una compagnia low-cost, ma ciò sarà possibile solo quando nello scalo saranno operativi i vigili del fuoco. I tempi potrebbero essere brevi: con i finanziamenti ottenuti – 25 milioni – verrà costruito un capannone a bordo pista e il problema sarà risolto. Sul lato est dello scalo, dove oggi si trova il vecchio villaggio azzurro, sorgerà invece il dipartimento della Protezione civile. Sarebbe bello già oggi poter vedere in che termini questi spazi verranno trasformati: ho chiesto ad Aeroporti di Puglia di mostrare alla città un rendering degli interventi previsti».
A giugno sarà trascorso un anno dalla sua elezione alla guida della Camera di Commercio. L’autonomia foggiana è salva: la cosiddetta “cura dimagrante” degli enti camerali ha portato solo a risparmi sul personale o anche a innovazioni organizzative e gestionali?
«Le Camere di Commercio oggi hanno un assetto definitivo a livello nazionale: da 106 enti siamo scesi a 60. Foggia ha conservato la sua autonomia, con le sue 84mila imprese iscritte nel Registro camerale. In Puglia oggi ci sono quattro Camere: Bari-Bat, Lecce, Brindisi-Taranto e appunto Foggia. Quando partecipiamo alle riunioni di Unioncamere, non siamo più considerati i fanalini di coda. Abbiamo messo in sicurezza i conti e migliorato la gestione dei servizi alle imprese».
Qual è l’obiettivo del processo sulle Denominazioni Comunali (De.Co.) per la valorizzazione e tutela delle produzioni locali?
«Significa attribuire alle nostre produzioni tipiche un marchio di origine, preservandone qualità e autenticità contro il rischio di falsificazioni. Vogliamo tutelare le eccellenze della Capitanata, ma anche le tradizioni che le accompagnano».
È previsto un processo di qualificazione e certificazione per questi prodotti? E riguarda solo l’agroalimentare o anche usanze e rituali locali?
«La delega è in capo ai Comuni, ma la Camera di Commercio assisterà gli enti in questo percorso. Possiamo valorizzare un piatto tipico come il pancotto, ma anche un evento legato alla tradizione territoriale. L’obiettivo è promuovere tutto ciò che rappresenta identità locale».
Quindi anche la corsa dei buoi di Chieuti o la sagra del maiale di Faeto? Non temete reazioni dagli animalisti?
«Abbiamo rispetto per gli animali. La nostra iniziativa prevede, innanzitutto, il rispetto di tutte le specie. Non potremmo mai assegnare una De.Co. a una corrida. Ma se una manifestazione ha un valore culturale, e si svolge nel rispetto delle regole e del benessere animale, è giusto prenderla in considerazione».
Da storico iscritto di Confindustria, passato attraverso tutte le cariche elettive, come commenta il nuovo corso con l’elezione di Potito Salatto alla presidenza?
«Prima di rispondere, vorrei fare una premessa: in Camera di Commercio sono stato eletto in quanto iscritto alla Confcommercio di Foggia, a cui mi onoro di aderire dal 2009, da quando cioè abbiamo aperto l’azienda Vigna Nocelli. Sono stato coinvolto in Confcommercio dal presidente Antonio Metauro, mio caro amico, e mi sono avvalso dei consigli di Damiano Gelsomino, l’ex presidente, che ringrazio per avermi lasciato una Camera in ordine, anche dal punto di vista economico.
Ciò non toglie che, dal 1988 al 2014, abbia sempre ricoperto un ruolo in Confindustria, su invito di Eliseo Zanasi. Oggi l’associazione degli industriali è profondamente cambiata. Io ho vissuto i tempi di Fantini, Casillo, Scarcia, imprenditori molto importanti, negli anni in cui il Foggia di Zeman dominava la scena. Un’epoca diversa».
“Il Foggia di Zeman e Casillo era un modello: imprenditori uniti, una guida stimata, una visione condivisa. È quello che ci manca oggi”
La metafora calcistica non è casuale. Rispecchia i tempi che si vivono nei territori. Come vede oggi la situazione in provincia di Foggia?
«Oggi abbiamo imprenditori validi, anche molto giovani. Penso alle eccellenze nell’agroindustria, nell’economia circolare. Quello che però manca è la voglia di partecipazione: manca la disponibilità a sottrarre un po’ di tempo alle proprie aziende per dedicarsi a processi di rappresentanza collettiva. Vedo un po’ più di egoismo. Io sono cresciuto al fianco di grandi imprenditori che non si tiravano mai indietro.
Conosco giovani di valore che hanno investito nell’agricoltura e oggi hanno diversificato nell’energia. In questo settore ci sono imprenditori davvero importanti come Salandra, Mescia, Salvatori.
Mi piacerebbe che in Confindustria si ritrovasse il piacere dello stare insieme, del confronto, del dialogo. Ho chiesto a Antonio Vasile, presidente di Aeroporti di Puglia, di iscriversi anche a Confindustria Foggia, visto che già lo è a Bari e Brindisi. Mi ha risposto: “Lo faremo con piacere”.
Ai colleghi vorrei dire che, una volta arrivati a un certo livello, non conta più fare di più per sé stessi, ma fare qualcosa anche per gli altri e restituire al territorio ciò che si è riusciti a costruire».
Questa scarsa partecipazione si riflette anche nelle difficoltà nel trovare un nuovo management all’altezza per il Calcio Foggia dopo Canonico?
«Si parla tanto del “metodo Lecce”, ma il metodo è semplice: un gruppo di imprenditori che si è riconosciuto in una persona stimata – l’avvocato Sticchi Damiani – e gli ha affidato i propri capitali per far crescere la squadra, affiancato da un direttore sportivo competente.
Un modello già visto col Foggia di Zeman e Casillo. Peccato che, con l’arresto dell’imprenditore, quel progetto si sia interrotto, tra l’altro a seguito di accuse che non hanno mai portato a una condanna. Ricordo che quel Foggia aveva in Lega 54 miliardi di lire depositati.
Non può essere un progetto di uno o due persone. Servono almeno dieci imprenditori, con la forza di delegare la gestione a qualcuno. Secondo me, si può tornare a costruire qualcosa di simile».
Già dal prossimo campionato?
«Non saprei, non sono nella posizione per dirlo con certezza. È naturale che Canonico lasci: i cicli finiscono, prima o poi. È un aspetto che va valutato.
In ogni caso, credo sia giusto portare rispetto a un imprenditore che ha investito nel Foggia i capitali della sua azienda. Chi mette soldi propri merita rispetto. Il calcio è fatto di programmazione. A Cerignola, ad esempio, hanno costruito un progetto per gradi: meriterebbero la Serie B.
La gestione di Canonico, almeno negli ultimi tempi, è stata un’anomalia. Un imprenditore che investe e poi non va nemmeno allo stadio a vedere le partite: era un segnale chiaro, che parlava da sé».
Molti imprenditori intervistati da “La Daunia che va” hanno lamentato l’assenza del ruolo guida della città capoluogo. Dicono che sia fondamentale che Foggia torni a trainare lo sviluppo della provincia. Lei è d’accordo?
«La Camera di Commercio c’è, e tutte le 84mila partite Iva sono adeguatamente rappresentate. Abbiamo istituito la Borsa dell’Olio, stiamo lavorando sulle DOP agricole, abbiamo rafforzato il nostro impegno sull’aeroporto, e attivato sportelli camerali da remoto a Bovino e Vieste. Le associazioni d’impresa collaborano con la Camera, e il loro ruolo è cruciale.
Detto questo, riconosco che negli ultimi anni sia mancata la centralità del capoluogo. C’è stato un certo egoismo cittadino che stiamo cercando di smussare. Speriamo di riuscirci».
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