Amministrazione giudiziaria per la «Valentino Bags Lab srl» controllata dal brand di lusso. Il titolare asiatico di uno dei subappalti: «L’azienda non autorizza, ma lo sa e chiude un occhio»
Armani, Dior, Alviero Martini, e adesso le borse di pelle di Valentino: oggi ad essere messa per un anno in amministrazione giudiziaria dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano, con la nomina di un professionista incaricato di aiutare gli organi societari a bonificare la filiera di subappalti in opifici cinesi al cui termine la Procura ha rilevato lo sfruttamento dei lavoratori, è la la «Valentino Bags Lab srl», azienda di borse in pelle e articoli da viaggio controllata dalla «Valentino spa», cioè dalla casa di moda da oltre 1 miliardo e mezzo di fatturato nel mondo fondata nel 1960 dallo stilista Valentino Garavani e dal 2012 appartenente a un fondo della famiglia reale del Qatar, «Mayhoola for Investments».
Le ispezioni dei carabinieri
Oggi alla (non indagata) «Valentino Bags lab srl» (100 dipendenti, 23 milioni di euro di produzione annuale, sede industriale nell’hinterland milanese a Rosate in viale delle Industrie) viene rimproverato di aver colposamente agevolato almeno due opifici cinesi indiziati del reato di caporalato e dediti a pesante sfruttamenti dei lavoratori secondo gli accertamenti dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro del Comando di Milano. «Valentino Bags Lab srl» esternalizzava una larga fetta della propria produzione a società (come la «Pelletteria Elisabetta Yang» a Opera o la «Bags Milano srl» a Trezzano sul Naviglio) che a loro volta affidavano il lavoro ad altri opifici come la «A&N Borse Milano srl», dove le ispezioni nel 2024 dei carabinieri hanno trovato operai cinesi e filippini privi di permesso di soggiorno in Italia; lavoratori senza contratto; macchinari elettrici con i dispositivi di sicurezza «rimossi per accelerare la resa produttiva a scapito della sicurezza delle mani rispetto agli ingranaggi»; prodotti chimici infiammabili ammassati senza custodia adeguata, camerate dormitorio/cucina «degradate e insalubri» ricavate con abusivi tramezzi in cartongesso; bagni «in condizioni igieniche che rasentano il minimo etico»; picchi di consumi energetici attestanti «ritmi sicuramente non convenzionali» e lavorazioni ininterrotte di notte o nei festivi; evasione di imposte e contributi, omissione di visite mediche e formazione professionale; paghe a cottimo di «3 euro e mezzo a pezzo per il taglio di pelle, e 7 euro a pezzo per la tingitura ». Alla committente «Valentino Bags lab» è contestato non di aver organizzato questa filiera, ma, sotto il profilo della colpa annidata in «modelli organizzativi inadeguati» e «controlli carenti», di averla agevolata attraverso il «non aver verificato la reale capacità imprenditoriale delle società subappaltatrici», e il «non aver nel corso degli anni eseguito efficaci ispezioni o audit per appurare in concreto le effettive condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro», tutto per «abbattere i costi e massimizzare i profitti attraverso l’elusione delle norme giuslavoristiche».
La consapevolezza sulle 4.000 borse al mese
La tollerante consapevolezza del brand di moda committente come primo livello, rispetto al terzo livello di subappaltatori finali dediti al caporalato, è ricavata dal pm Paolo Storari anche da alcune dichiarazioni dell’amministratore unico Hu Xiaoan della «Bags Milano srl», secondo livello che da «Valentino Bags Lab» si vedeva commissionare 4.000 borse al mese a costi di produzione tra i 35 e i 75 euro a borsa: marchio di lusso sapeva che le borse venivano fatte in realtà dalla «A&N Borse srl» sfruttatrice degli operai, alla quale la «Bags Milano srl» consegnava solo il semilavorato di pelle senza il marchio Valentino? «“Valentino Bags” non le autorizza anche se ne è a conoscenza perché io lo comunico, diciamo che chiudono un occhio visto il tanto lavoro (…). Anche per questo “Valentino Bags lab” mi permette di portarli, perché non c’è il marchio».
I precedenti Armani e Dior. E il protocollo inefficace
Le giudici di prevenzione Rispoli-Spagnuolo Vigorita-Canepari constatano peraltro che i precedenti «provvedimenti del Tribunale concernenti altri brand di moda (Armani, Dior, Alviero Martini), tutti conclusi positivamente con la revoca della misura, hanno avuto una certa risonanza mediatica e, nonostante ciò, “Valentino Bags lab srl” ha continuato ad operare con fornitori che sfruttano i lavoratori e che utilizzano manodopera in violazione delle norme di sicurezza». Forse anche per questo il pm accenna a un dubbio venutogli dopo che dai giornali «si è venuti a conoscenza della bozza del protocollo di intesa per la legalità dei contratti di appalto nelle filiere produttive della moda», che dovrebbe essere firmato a fine mese: «Il protocollo redatto in sede collettiva al massimo livello contrattuale – paventa la Procura -, sebbene mosso dal dichiarato intento di porre le basi per il superamento del diffuso fenomeno deviante, pare essere destinato ad essere a sua volta in concreto disapplicato in assenza di modifiche sostanziali alle politiche di impresa adottate dai protagonisti del settore», e cioè di cambiamenti «diretti a contemperare il soddisfacimento delle regole dell’efficienza e del risultato con l’effettiva applicazione delle norme inderogabili di carattere giuslavoristico poste a tutela dei lavoratori».
Valentino S.p.A. ha commentato come segue: «Negli ultimi anni, Valentino ha costantemente intensificato il proprio programma di valutazione dei suoi fornitori. Questo include audit condotti da enti certificati considerando l’intero processo produttivo, con l’obiettivo di garantire una filiera completamente trasparente e in linea con i più alti standard di qualificazione dei fornitori. Tale processo ha avuto un impatto positivo sull’intera supply chain e, in alcuni casi, ha portato alla cessazione dei rapporti con fornitori che non rispettavano gli standard etici di Valentino. Al fine di comprendere pienamente le circostanze che hanno portato ai provvedimenti adottati dalla magistratura in questo caso specifico, Valentino collaborerà con le autorità competenti»
lferrarella@corriere.it
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