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L’economia italiana tra dazi USA e nuovi orizzonti strategici	| BusinessCommunity.it


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Daviddi (EY): la nostra analisi evidenzia come le aziende italiane stiano già adottando misure per mitigare l’impatto delle nuove regole tariffarie e per diversificare i propri mercati


L’attenzione di imprese e istituzioni è oggi catalizzata dal modo in cui gestire le nuove regole tariffarie imposte negli USA. Questa incertezza si riflette anche sugli investimenti in tecnologia. In Italia, il 40% degli intervistati sta riconsiderando l’intensità degli investimenti in tecnologie AI. Questo dato è decisamente superiore al 25% registrato a livello globale e deriva soprattutto dalle incertezze legate alle aspettative di ritorno sull’investimento.


Marco Daviddi, Managing Partner di EY-Parthenon in Italia, osserva: “Nonostante il momento di incertezza che caratterizza i mercati nazionali e internazionali, la nostra analisi evidenzia come le aziende italiane stiano già adottando misure per mitigare l’impatto delle nuove regole tariffarie e per diversificare i propri mercati”. Poi aggiunge che “Se è opportuno concentrarsi sul breve periodo, soprattutto per la riorganizzazione dei mercati di riferimento, la struttura delle catene di fornitura e le relazioni con i propri consumatori e utenti, è fondamentale non trascurare altre questioni strategiche, che richiedono capacità di intervento e azioni decise. Tra queste vi sono, in particolare, il contenimento dei consumi energetici, lo sviluppo di politiche sostenibili, le trasformazioni dei modelli operativi e di business indotte dall’impatto dell’intelligenza artificiale”.

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M&A e Private Equity: aspettative moderatamente ottimistiche 

Passando al fronte delle operazioni straordinarie, il mercato M&A (Mergers and Acquisitions) e del Private Equity (PE) presenta una pipeline solida, con aspettative moderatamente ottimiste per il 2025. Eppure, i primi quattro mesi dell’anno sono stati sottotono.



Nel periodo gennaio-aprile 2025, in Italia sono state annunciate 390 acquisizioni. Il loro valore complessivo, laddove reso noto, si attesta attorno ai 9 miliardi di euro. Questi numeri indicano una diminuzione del 16% nel numero di transazioni rispetto allo stesso intervallo del 2024. La riduzione è stata ancora più drastica sul fronte del volume totale, con un calo di circa il 70%. Questa contrazione è dovuta principalmente alla dimensione media ridotta delle operazioni e alla drastica diminuzione dei cosiddetti megadeal, ovvero le transazioni superiori al miliardo di euro. I settori che hanno mostrato maggiore dinamismo in termini di numero di operazioni annunciate sono stati: – il comparto industriale (24%); – i beni di consumo (17%); – il settore tecnologico (11%).


Daviddi prosegue la sua analisi: “Nonostante un inizio d’anno difficile in ambito M&A, si stanno gettando le basi per operazioni capaci di ridisegnare alcuni settori chiave come quello finanziario, del fashion & luxury e industriale”. Sottolinea come “La liquidità nel sistema rimane elevata e i fondi di Private Equity giocheranno un ruolo significativo”. Affrontare le sfide attuali richiede alle aziende italiane un incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo, impianti, macchinari e formazione del personale. Aprire il capitale a investitori finanziari o intraprendere processi di consolidamento rappresentano opzioni concrete per superare gli ostacoli e cogliere le opportunità emergenti. Secondo le rilevazioni, il 46% dei CEO italiani ha in programma operazioni di M&A, una percentuale che sale al 57% a livello mondiale, con l’obiettivo di aumentare la massa critica e perseguire sinergie ed efficienze. Le aziende italiane stanno anche intensificando gli investimenti su target estere. Qui, sebbene il numero di operazioni da inizio anno sia stabile, con poco meno di 100 deal, il volume di investimento è raddoppiato a circa 10 miliardi di euro, grazie ad alcune operazioni di dimensione rilevante. Per il 68% degli intervistati, comunque, Joint Venture e alleanze strategiche appaiono l’opzione principale per condividere investimenti e affrontare la rivoluzione tecnologica in corso.



L’attività dei fondi di Private Equity ha risentito in modo significativo del clima di scarsa fiducia nel mercato e dell’attesa di un’ulteriore riduzione dei tassi di interesse. Ciononostante, la pipeline di potenziali operazioni M&A in Italia è robusta, in particolare per le grandi operazioni di consolidamento nel settore bancario e assicurativo. Nei primi quattro mesi dell’anno, il Private Equity e i fondi infrastrutturali hanno continuato a sostenere il mercato M&A italiano, con 150 operazioni di buy-out su target italiane. Il loro valore aggregato, ove disponibile, è stato di circa 4,5 miliardi di euro, in calo rispetto alle 208 operazioni per 10,1 miliardi nello stesso periodo del 2024. I fondi continuano a rappresentare una quota rilevante tra gli acquirenti nelle operazioni annunciate, arrivando al 39%. Inoltre, una percentuale significativa di investimenti è stata realizzata tramite le portfolio companies, le cosiddette add-on, sottolineando il loro ruolo fondamentale nei processi di trasformazione aziendale.



Il settore dei consumi e del retail, che include beni di largo consumo, retail e fashion & luxury, costituisce una colonna portante dell’economia italiana. Negli ultimi anni, eventi come la pandemia di Covid-19 e l’inflazione elevata hanno profondamente modificato i comportamenti dei consumatori e aumentato le tensioni lungo le filiere produttive e distributive.
Nel breve termine, il comparto grocery non dovrebbe subire contraccolpi significativi dai nuovi dazi. Ci si attende, però, una forte attenzione ai prezzi al consumo per evitare un calo della domanda e per rafforzare la fidelizzazione dei clienti. Nel settore retail non-food, si delinea un processo di consolidamento su pochi attori per ogni verticale e un’accelerazione delle transazioni online. Per il settore italiano del fashion & luxury, la sospensione temporanea dei dazi da parte della precedente amministrazione americana ha offerto un respiro momentaneo, ma le tensioni commerciali rappresentano eppure una fonte di preoccupazione costante.



Per i brand italiani esposti al mercato USA, il 2025 si prospetta come un anno cruciale per spingere la diversificazione geografica. Sarà essenziale comprendere l’elasticità al prezzo della propria base clienti e valutare quanto dell’incremento dei costi dovuto alle nuove tariffe potrà essere trasferito sulla filiera produttiva, già spesso sotto pressione, e quanto invece dovrà essere assorbito come riduzione della redditività. Molte aziende stanno analizzando la possibilità di trasferire o impiantare capacità produttiva direttamente negli Stati Uniti, sebbene questa opzione appaia molto complessa da realizzare nel breve termine.
In generale, la domanda mondiale subirà l’influenza delle politiche dell’amministrazione statunitense. I consumatori tenderanno a essere più cauti e selettivi, orientandosi verso acquisti mirati, ma con maggiore attenzione alla qualità, all’identità creativa e alla personalizzazione. Questo comportamento sta delineando un nuovo concetto di lusso: più consapevole, ricercato e orientato verso nuovi mercati e priorità.



Parallelamente, il settore della difesa europea sta attraversando una trasformazione profonda, offrendo all’Italia l’opportunità di posizionarsi come uno dei principali attori di riferimento. Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che chiede l’emissione di un Libro Bianco della Difesa, denominato Defence Readiness 2030. L’obiettivo è colmare le lacune nelle competenze, sostenere l’industria della difesa europea e rafforzare il mercato unico della difesa all’interno dell’UE.
Nonostante un dibattito politico acceso e posizioni ancora distanti sulle modalità per raggiungere gli obiettivi di difesa comune europea, l’incremento delle spese militari in Europa rappresenta una prospettiva di crescita significativa per l’Italia, che è il terzo produttore di tecnologia militare nel continente. Nondimeno, a livello nazionale persiste una sfida rilevante legata alla dimensione media delle aziende del settore. La filiera italiana conta infatti 4.000 imprese. Di queste, il 90% ha meno di 10 dipendenti e solo 21 superano i 200 milioni di euro di fatturato. Le aziende dovrebbero perciò orientarsi con decisione verso processi di aggregazione per essere in grado di supportare l’importante flusso di investimenti atteso. Il settore pubblico, in linea con quanto auspicato dalla risoluzione europea, dovrebbe facilitare tali processi di consolidamento attraverso interventi agevolativi e di supporto.

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