Con profonda commozione apriamo il numero di maggio con il contributo sulle risorse per la cultura che il prof. Marco Causi aveva chiuso proprio in questi giorni per Letture Lente. Economista, deputato per due legislature, più volte Assessore al Comune di Roma, Presidente dell’Associazione Economia della Cultura, si è sempre impegnato sui temi della finanza pubblica e nella definizione di politiche per la valorizzazione dei settori culturali e creativi più efficaci e giuste. Con gratitudine e affetto lo ricordiamo, stringendoci alla famiglia.
L’emergenza pandemica ha fatto crescere la spesa pubblica statale per la cultura: fra 2020 e 2022 il bilancio del Ministero della Cultura (tab. 1) è stato trainato dagli interventi di sostegno ai lavoratori dello spettacolo e ai luoghi di cultura colpiti dal lockdown, nonché dai contributi alle produzioni cine-audiovisive [1]. Va ricordato che le risorse del Ministero erano già cresciute prima della pandemia grazie a un importante aumento della spesa in conto capitale per tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, la quale dopo essere scesa al lumicino storico di 152 mln nel 2015 è salita a circa 850 nel 2019.
La stabilizzazione delle risorse del MiC, cominciata nel 2023, avviene su livelli che, in quota sul Pil, sono analoghi a quelli del 2019. La spesa pubblica locale per la cultura ha una storia diversa: dopo una forte contrazione nella prima metà degli anni ’10 è rimasta più o meno stabile.
Tab. 1 – Spesa pubblica per la cultura in Italia 2010-2023 | ||||
Ministero della Cultura
Fonti: RGS, MiC |
Amministrazioni locali
Fonte: Eurostat |
|||
milioni di euro | quota % su Pil | milioni di euro | quota % su Pil | |
2010 | 1.796 | 0,11% | 3.706 | 0,23% |
2015 | 1.686 | 0,10% | 3.143 | 0,19% |
2019 | 2.846 | 0,16% | 2.990 | 0,17% |
2020 | 4.762 | 0,29% | 2.686 | 0,16% |
2021 | 4.061 | 0,22% | 2.969 | 0,16% |
2022 | 4.338 | 0,22% | 3.080 | 0,15% |
2023 | 3.576 | 0,17% | n.d | n.d. |
PNRR E FONTI FINANZIARIE NON ORDINARIE
Oltre l’emergenza, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha fornito nuove risorse al settore culturale, collocate in una cornice programmatica di medio periodo. Si tratta di 4,3 miliardi, di cui risultano spesi a metà del 2024 il 9% (350 milioni) e impegnati (con procedure di gara espletate) il 92% [2].
Il PNRR si è aggiunto alle tradizionali fonti finanziarie non ordinarie utilizzate in Italia dal settore culturale. Se ci concentriamo sul patrimonio culturale si tratta soprattutto di quattro canali: a) politiche di sviluppo e coesione (cofinanziate dai Fondi strutturali dell’Unione Europea), che attivano investimenti di circa 550 milioni l’anno in prevalenza basati su contributi pubblici [3]; b) Fondazioni di origine bancaria, che erogano circa 250 milioni l’anno [4]; c) sponsorizzazioni, che – considerando sia il regime generale sia quello specifico dedicato ai beni culturali – generano un flusso di circa 130 milioni l’anno [5]; d) erogazioni liberali, da cui derivano risorse di circa 120 milioni l’anno tramite l’Art bonus [6].
Quale scenario si prospetta una volta concluso il PNRR? La spesa pubblica ordinaria si evolverà nel quadro delle nuove regole fiscali europee le quali – pur essendo più “leggere” del vecchio patto di stabilità e crescita – ne determinano una crescita media annua dell’1,6% fra 2025 e 2029 [7]. Ulteriori risorse per i beni culturali vanno cercate guardando ai consumi privati e ad altre forme di provvista finanziaria la cui origine è legata ad appropriate strategie di partenariato nonché ad alcuni canali non ordinari sia di spesa privata che di spesa pubblica.
SPESA NEI LUOGHI DI CULTURA
Osserviamo la struttura finanziaria dei luoghi di cultura aperti al pubblico (musei, gallerie, aree e parchi archeologici, monumenti: d’ora in poi per semplicità parleremo di “musei”) in alcuni paesi (tab. 2) [8]. Nei musei di grande dimensione l’apporto della spesa privata ai ricavi è importante e supera – nei musei statali autonomi italiani è poco più bassa – quello della spesa pubblica.
Tab. 2 – Struttura dei ricavi dei grandi musei (composizione %) | |||||
Stati Uniti | Regno Unito | Francia | Italia | ||
Musei statali autonomi | Fondazioni e consorzi museali pubblici | ||||
Biglietteria | 14,2% | 0,0% | 34,9% | 40,1% | 57,2% |
Fundraising (donazioni, sponsorizzazioni) | 38,2% | 23,5% | 4,9% | 0,9% | 10,6% |
Servizi commerciali e altre entrate | 26,5% | 34,6% | 14,8% | 3,4% | 12,7% |
Contributi pubblici | 6,7% | 41,9% | 45,3% | 55,6% | 19,5% |
Redditi da patrimonio | 14,4% | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 0,0% |
Totale ricavi | 100,0% | 100,0% | 100,0% | 100,0% | 100,0% |
Dal lato della domanda le notizie sono positive. Nei musei l’affluenza ha raggiunto e superato nel 2023 i massimi storici raggiunti prima della crisi pandemica (57,7 milioni nel 2023 contro 54,8 nel 2019 nei musei statali). Dalla spesa di consumo – la spesa del pubblico pagante – potranno emergere nuove risorse finanziarie. Quindi è cruciale che gli investimenti pubblici abbiano l’obiettivo di migliorare accoglienza, offerta di servizi, partecipazione, disponibilità a pagare dei visitatori.
A ben pensarci non sembra una scommessa azzardata: si tratta di continuare sulle direttrici tracciate nella seconda metà degli anni ’10 con la riforma dei musei statali. La letteratura, ormai vasta, che ne ha studiato l’impatto [9] mostra che nei musei statali con “autonomia speciale” i nuovi margini di autonomia finanziaria sono stati utilizzati per ampliare l’offerta di servizi (culturali e non culturali) nonché per coprire i costi di un significativo aumento degli ingressi sia paganti che gratuiti – questi ultimi aumentati più del doppio di quelli paganti – senza gravare sulla spesa pubblica corrente [10].
RICAVI TARIFFARI E NON TARIFFARI
L’obiettivo di aumentare la spesa del pubblico apre diversi temi di riflessione. Si vede bene dal benchmark internazionale che nei musei italiani l’apporto della biglietteria ai ricavi totali è più elevato rispetto agli altri paesi. Nei musei statali autonomi sono più bassi gli apporti di fundraising (donazioni, sponsorizzazioni) e servizi commerciali, i quali raggiungono invece nei musei pubblici organizzati in forma di fondazione o consorzio quote simili (e anche superiori) ai musei francesi.
Il ruolo prevalente della biglietteria è anche conseguenza di strategie di pricing abbastanza aggressive (tab. 3) – soprattutto fra 2017 e 2019, quando le tariffe dei musei statali sono cresciute molto al di sopra del tasso medio di inflazione dei prezzi, mentre fra 2020 e 2023 gli aumenti sono in linea con l’inflazione [11].
Emerge il tema dell’equilibrio fra uso della leva tariffaria e uso delle leve non tariffarie: offerta di servizi (culturali e non) a pagamento, prestiti, sistemi tariffari differenziati, strategie di membership, fundraising, intercettazione di specifici segmenti di domanda (per esempio: popolazione anziana, integrazione dei servizi di offerta culturale con il sistema dell’istruzione e con quello della salute, ecc.).
Tab. 3 – Tariffa media effettiva nei musei statali italiani (euro) | |||
2017 | 2023 | var. % | |
Musei con autonomia speciale | 9,2 | 13,1 | 42,3% |
Altri musei | 5,5 | 7,6 | 38,2% |
Totale musei statali | 8,1 | 11,4 | 40,7% |
È un tema collegato a diverse questioni. Le norme sulla gratuità si sono affastellate nel corso degli anni, forse meriterebbero una revisione e un coordinamento. Sul versante dei servizi commerciali i musei statali soffrono regole giuridico-amministrative che rendono onerosi e inefficienti i rapporti fra Stato e soggetti fornitori, una sofferenza a cui neppure l’”autonomia speciale” sembra riuscire a rimediare mentre ne sono relativamente liberi i musei pubblici gestiti in forma di fondazione o consorzio dove il contributo ai ricavi dei servizi commerciali è di quasi il 13%, e lo stesso avviene nei musei civici dove supera il 7% [12].
Va ricordato che il 40% di leva tariffaria nei musei statali autonomi, il dato che vediamo in tab. 2, è in realtà una media che nasce da una distribuzione molto asimmetrica fra i diversi musei. Solo cinque istituti sono al di sopra della media: per esempio nel Colosseo i ricavi tariffari raggiungono l’85% del totale dei ricavi, seguono Accademia di Firenze (74%), Pompei (63%), Uffizi (59%). Tutti gli altri musei autonomi sono sotto la media e in 17 di loro (su 28) i ricavi coperti dagli introiti tariffari non raggiungono il 20%. Ciò suggerisce un ripensamento del meccanismo di perequazione all’interno del sistema statale – oggi tutti i musei versano a un fondo comune il 20% dei ricavi tariffari – e l’adozione di regole più flessibili che aumentino il contributo dei grandi “attrattori” del turismo internazionale. L’analisi dei bilanci suggerisce altresì che non tutti i musei statali sono stati “pigri” sui ricavi non tariffari: esistono casi di “buone pratiche”, vanno cercate in linea generale lontano dall’asse dell’overtourism Venezia-Firenze-Roma-Pompei, nella più ampia armatura urbana del paese – per esempio a Torino, Genova, Parma, Urbino, ecc. [13].
FUNDRAISING E DONAZIONI
Le strategie di fundraising si stanno diffondendo nel sistema museale italiano, ma – come spesso avviene nel nostro paese – la loro presenza è a “macchia di leopardo”. C’è, ovviamente, una questione di squilibrio territoriale della base produttiva e del potenziale universo corporate di riferimento. Ma c’è anche una diversa proattività fra i vari segmenti del sistema museale pubblico: l’apporto del fundraising ai ricavi è parecchio più basso nei musei statali autonomi (0,9%) al confronto con fondazioni e consorzi museali pubblici (10,6%) e musei civici (7,1%) [14].
Sulle donazioni c’è un tema generale, diciamo di livello “macro”. Nonostante i miglioramenti di tecnica normativa (e tributaria) e nonostante la crescita nel tempo delle corrispondenti risorse i flussi appaiono ancora timidi e sottodimensionati sul lato imprese e persone giuridiche e ancora di più sul lato famiglie e persone fisiche (da cui ha avuto origine meno del 5% delle erogazioni Art Bonus nel decennio 2014-2024 [15]).
L’Italia resta lontana dalle cifre del corporate giving della Francia [16], dove la raccolta per il restauro di Notre-Dame ha rappresentato un caso di rilievo internazionale raggiungendo in meno di due anni una cifra superiore a quella necessaria con provenienza prevalente da imprese e fondazioni. Non credo che ciò dipenda dall’attrattività tributaria relativa fra i regimi vigenti nei due paesi, che per le imprese prevedono il 60% di detrazione d’imposta in Francia e il 65% di credito d’imposta in Italia [17].
L’impressione è che le istituzioni culturali italiane facciano fatica, in particolare nel comparto statale, a lavorare sul fronte delle donazioni, un lavoro che non si basa soltanto sul “chiedere” (soldi) ma anche sull’offrire spazi di partenariato attivo e sulla costruzione di adeguate azioni organizzative e progettuali rivolte a imprese, persone, comunità territoriali. Restano spazi non marginali per espandere il mecenatismo “comunitario”, non solo quello corporate. Il rafforzamento dei rapporti di prossimità e di comunità è una delle più importanti direttrici strategiche per i musei nell’attuale fase storica. Qui bisogna ricordare, fra l’altro, il tema della capacity building all’interno del settore, sul versante tecnologico e industriale così come su quello dei profili professionali.
DUE ULTERIORI STRATEGIE
Un tema non marginale riguarda l’equilibrio fra azione centrale e azione locale. Il dinamismo del MiC e la contemporanea crisi della finanza locale ha prodotto negli anni ’10 una riduzione del grado di decentramento della spesa pubblica per la cultura. Si tratta di un dato in netta controtendenza al confronto con gli altri paesi: il grado di decentramento (spesa locale su spesa totale) è sceso sotto il 50% mentre cresceva fino al 70% in Francia. Alla stratificazione dei sistemi di offerta culturale e alla loro peculiare diffusione in tutto il paese dovrebbe corrispondere una maggiore capacità di partenariato pubblico-pubblico (fra Stato ed enti locali) e non soltanto pubblico-privato.
C’è, infine, una potenziale fonte di finanziamento straordinario per patrimonio e produzione culturale su cui mettere in atto appropriate strategie con l’obiettivo di farla crescere, in modo da compensare almeno parzialmente la fine del PNRR. Non penso alle politiche di sviluppo e coesione, che abbiamo già ricordato e che resteranno nel tempo. Penso piuttosto a un canale già esistente, collegato alla partecipazione del Ministro della cultura al CIPESS, il comitato interministeriale da cui passano le decisioni di spesa per gli investimenti pubblici [18].
Si tratta, si badi bene, di un elemento di governance del tutto eccezionale nel panorama internazionale: neppure in Francia, il paese storicamente front runner dell’azione culturale pubblica, il competente ministero è presente nel comitato di governo a cui partecipano i ministri “pesanti” sul fronte delle risorse (come infrastrutture, trasporti, lavori pubblici, ecc.). La partecipazione del MiC in questa sede va però organizzata e istruita, dotata di adeguate capacità progettuali sui vari dossier – dall’università alla ricerca scientifica e tecnologica, dalle infrastrutture al digitale, all’ambiente, ecc. – e la sua efficacia va misurata sulla qualità delle proposte piuttosto che sul maggiore o minore peso politico del ministro protempore.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Ministero della Cultura, Minicifre della cultura 2024, Roma, 2024.
[2] Ministero per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR, Quinta relazione sullo stato di attuazione del PNRR, Roma, luglio 2024.
[3] O. Cuccu e A. Misiani, “Il turismo nelle politiche di coesione comunitarie e nazionali”, in AA. VV., Rapporto sul turismo italiano, XXIV Edizione 2020/2021, CNR-IRIS, Rogiosi Editore, Napoli, 2022, pp. 495-508.
[4] ACRI, Fondazioni di origine bancaria, XXIX Rapporto annuale, Roma, 2023.
[5] STAGEUP, Indagine predittiva 2024, Bologna, 2024.
[6] Minicifre della cultura 2024, op. cit.
[7] Ministero dell’Economia e delle Finanze, Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029, Roma, 2024.
[8] Stati Uniti: insieme del non profit nel settore dei musei, anno 2015, fonte NEA; Regno Unito: musei nazionali, anno 2023, fonte DCMS; Francia: principali musei nazionali (sei musei, con 83% degli ingressi sul totale: Louvre, Orsay, Orangerie, Pompidou, Quai Branly, Versailles), anno 2023, fonte bilanci dei musei; Italia: 28 musei statali autonomi (con 97% degli ingressi sul totale dei 40 musei autonomi; il costo del personale è stimato ed è considerato alla stregua di un ricavo proveniente dallo Stato) e 4 Fondazioni/consorzi museali pubblici (MUVE, Museo Egizio, MAXXI, Residenze Sabaude), anno 2019, fonte E. Alessandrini e M. Causi, “Ricavi, costi e strategie dei musei statali autonomi”, Economia della Cultura, 2021, XXXI (2):395-420.
[9] Vedi per esempio L. Leva, V. Menicucci, G. Roma e D. Ruggeri, Innovazioni nella governance dei musei statali e gestione del patrimonio culturale: alcune evidenze da un’indagine della Banca d’Italia, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, 2019, n. 525; A. Baldini e M. Causi, “Admission fees and attendance in Italian national autonomous museums”, Economia della Cultura, 2022, XXXII(1):55-72; M.R. Alfano, A.L. Baraldi & C. Cantabene, “Eppur si muove: an evaluation of museum policy reform in Italy”, Journal of Cultural Economics, 2023, 47(1):97-131.
[10] Il costo del personale, che pesa per circa il 26% sul totale dei costi nei musei autonomi (virtualmente, poiché è pagato direttamente dal Ministero), non è aumentato e gli altri contributi pubblici correnti hanno un peso trascurabile, circa il 7% sul totale dei ricavi; vedi Alessandrini, op. cit.
[11] In tab. 3 la tariffa è quella media effettiva, ottenuta dividendo i ricavi da biglietteria con il numero di ingressi a pagamento.
[12] Per un confronto fra i dati della tab. 2 e alcuni sistemi di musei civici italiani vedi ACOS, Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma capitale, Relazione annuale 2020, Roma, 2021.
[13] Vedi Alessandrini, op. cit.
[14] Vedi nota [12].
[15] ALES, 10 anni di Art Bonus, Roma, novembre 2024.
[16] Circa 3 miliardi di euro l’anno, comprendendo arte, cultura e media (Ministère de la Culture, Chiffres Clés 2022, Paris, 2023).
[17] È vero che l’agevolazione italiana è da spalmare in tre anni, ma lo strumento – il credito d’imposta – la rende più velocemente fungibile per le imprese, utilizzabile non solo in occasione della dichiarazione annuale dei redditi ma per esempio sui versamenti mensili dell’IVA.
[18] Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile.
ABSTRACT
Public expenditure for culture and cultural heritage increased during the years of Covid emergency and was moreover sustained by the post Covid Recovery Plan (PNRR). In the near future it will be necessary substitute these resources with new resources. The article proposes possible strategies.
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