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Meloni vuole andare su Marte con gli americani. Ma in Italia c’è un progetto già pronto


Dopo il bilaterale di Washington, la Nasa e l’Asi coopereranno per la conquista del pianeta rosso, con Elon Musk parte in causa. Ma tra Cagliari, Napoli e Bologna c’è un progetto italiano per arrivare su Marte che rischia di fallire per assenza di fondi. Ospite di Donald Trump, la premier Giorgia Meloni ha annunciato che uno degli ambiti in cui si intensificherà la cooperazione tra Italia e Stati Uniti è lo spazio. E ha citato in particolare “la missione su Marte”, come il terreno di incontro tra i due Paesi. A Washington la presidente del consiglio ha incontrato anche l’amico Elon Musk, che di recente ha annunciato di puntare con ogni sforzo al pianeta rosso. “La nostra priorità è portare l’umanità su Marte”, ha detto.

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Giacomo Cao condivide con il fondatore di Space X lo spirito da pioniere. E’ stato uno dei tanti che la notte del 21 luglio 1969 (‘avevo nove anni, ma lo ricordo come fosse ora’), rimase in piedi per seguire Armstrong e Aldrin mettere piede sulla Luna, nella celebre telecronaca dell’allunaggio fatta da Tito Stagno. Quell’esperienza ha segnato la sua storia professionale. Dopo gli studi tra l’Italia e gli Stati Uniti e un periodo di ricerca negli States, è tornato in Italia e ora, ingegnere e docente all’Università di Cagliari, guida un gruppo di ricercatori con l’obiettivo di piantare la bandiera tricolore sul pianeta rosso. “Ma ben venga una collaborazione con gli americani”, dice a proposito dell’accordo tra Meloni e Trump. “Anche se noi in Italia non siamo lontani dall’obiettivo: se il 1 gennaio del 2026 ci danno le risorse che mancano, al più tardi nel 2033 faremo il lancio. Perché Elon Musk ha ragione: per Marte, com’è stato per la Luna, chi arriva primo fa bingo”.

Un passo indietro. Qualche numero per capire cosa s’intende per ‘space economy’. Secondo i dati del ministero dello Sviluppo è uno dei settori in più forte e costante crescita. Lo spazio dà lavoro a 300 imprese, con circa 8mila addetti. E convoglia ingenti finanziamenti: fino al 2027 si stimano 7,3 miliardi di fondi pubblici nazionali ed europei: di questi 3,1 miliardi di euro sono stati forniti dall’Esa, l’agenzia spaziale europea, a dicembre del 2022. L’Italia è il secondo contributore, a pari merito con la Francia e solo dietro alla Germania. Altri 2,3 miliardi di euro sono destinati al budget dell’Asi, l’Agenzia spaziale italiana. Infine 1,9 miliardi di euro sono disponibili tra fondi Pnrr – che in questo settore non segna ritardi – e stanziamenti da parte delle amministrazioni nazionali. L’Italia vanta un’eccellenza sull’intera filiera, nel settore dei lanciatori (con Avio e il vettore Vega), nel segmento in orbita (Leonardo, Thales/Alenia Spazio) e nel segmento terrestre, con Telespazio e le imprese specializzate in tecnologie strategiche per l’Osservazione della Terra e telerilevamento.

Non stupisce dunque che la presidente del consiglio e il presidente americano si siano accordati per intensificare la cooperazione sullo spazio in generale e su Marte in particolare, che a sentire Elon Musk, ma non solo lui, è la nuova frontiera dell’umanità. Secondo l’accordo siglato alla Casa Bianca da Meloni e Trump, l’Italia collaborerà a “due missioni su Marte” organizzate dalla Nasa con la partnership dell’Asi “nel 2026 e nel 2028” e a una “nell’esplorazione della superficie lunare con le future missioni Artemis”. Una delle due missioni su Marte è la riedizione di ExoMars, la missione dal costo di 1 miliardo e 300 milioni che l’Italia sostiene al 40 per cento, e che si è interrotta con la guerra in Ucraina. Grazie alla cooperazione tra Asi e Nasa dovrebbe ripartire nel 2028 con l’obiettivo di portare sul suolo di Marte un mezzo meccanico su cui è montato un trapano di costruzione italiana. L’altra missione, prevista per il 2026, è a guida americana e prevede la collaborazione dell’Agenzia spaziale italiana. L’Asi lavora con la Nasa anche alla mappatura delle riserve di ghiaccio su Marte.

La “Small mission to Mars”, piccola missione verso Marte, è una via italiana a Marte che punta ad arrivare sul suolo del pianeta rosso, e non solo nell’atmosfera. Al progetto lavorano Giacomo Cao e i suoi collaboratori. Sono coinvolti tre Distretti aerospaziali, quello sardo, quello campano e quello emiliano, oltre a grandi, piccole e medie imprese, tra cui Avio, Telespazio, il Centro italiano di ricerche aerospaziali, l’Istituto nazionale di astrofisica, la società Ali, le università di Cagliari e la Federico II di Napoli. Cao oltre a guidare il Dass, il distretto aerospaziale della Sardegna, è a capo del Crs4, uno dei più importanti centri di ricerca italiani, fondato dal Nobel Carlo Rubbia.

Chiediamo a Cao di spiegare in cosa consiste la Small mission to Mars, con la premura di usare parole comprensibili ai più. “Ci serviremo del lanciatore Vega, il razzo vettore italiano, per trasportare in orbita marziana un modulo che ospita quattro payload, cioè quattro carichi utili”, spiega Cao che ricorda come il viaggio, con le tecnologie attuali, impieghi nove mesi. “Un primo carico – dice – verrà posto in orbita intorno a una delle lune di Marte, che si chiama Phobos. Altri tre carichi verranno fatti ‘ammartare’, trasferiti sulla superficie del pianeta rosso, attraverso una tecnologia di landing, di approdo, sviluppata dalla società campana Ali. Si tratta fondamentalmente di un paracadute speciale che consente di sopportare temperature estremamente elevate, tra i mille e i duemila gradi centigradi nella fase di ammartaggio”. Sul suolo di Marte è attualmente operativa la sonda americana Perseverance, dalla quale arrivano alla Nasa informazioni che sono essenziali per preparare future missioni.

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Ma torniamo al progetto italiano. “Una volta che la capsula avrà raggiunto il suolo marziano – aggiunge Cao – rilascerà tre carichi utili. Uno sviluppato dalla Federico II sarà sostanzialmente un drone, che volerà a quote prestabilite per testare l’attività di volo in quell’atmosfera e per mappare la superficie. Il secondo carico è realizzato dall’Istituto nazionale di astrofisica, ed è un analizzatore di polveri. Infine c’è un terzo carico utile che sfruttando il suolo marziano stesso proverà a costruire dei ‘mattoncini’, degli elementi strutturali, per varie potenziali applicazioni: ad esempio la realizzazione di schermi protettivi attraverso opportuni assemblaggi, ma anche per verificare se si può costruire con il suolo disponibile in situ. Questa tecnologia è proprietaria del distretto aerospaziale della Sardegna e secondo i nostri calcoli, un prototipo sarà realizzato e presentato alla stampa a ottobre prossimo”.

Anche se il progetto è in fase di realizzazione, se non verrà finanziato non potrà essere concluso. “Servono 300 milioni. Le attività sono di fatto già iniziate e non mi risulta che in Italia ci sia un livello di progettualità così onnicomprensivo, che va dal concepimento del lanciatore fino all’ammartaggio con i relativi carichi utili. L’intero piano è all’attenzione del Comint e dell’Asi, ma con un livello di finanziamento garantito dal ministero della Ricerca scientifica a favore del progetto ‘Space manifacturing in situ’ che non consente tuttavia il raggiungimento dell’obiettivo finale. Confidiamo nelle aperture che il governo ha voluto rappresentare a Washington. Se avessimo le risorse che ci servono a partire dal 2026, potremo lanciare nel 2033”.

Lo sbarco dell’uomo su Marte è un’ipotesi realistica? Elon Musk sostiene che l’umanità deve darsi un avamposto extra terrestre per salvare la specie da eventuali catastrofi. “Una considerazione che in prospettiva è condivisibile. Il problema principale – dice Cao – è che per il viaggio ci vogliono nove mesi. Poi c’è l’assenza di ossigeno. L’atmosfera marziana è composta quasi completamente da anidride carbonica. Noi stiamo studiando anche la trasformazione in ossigeno, con l’utilizzo di alcune specie di microalghe. Ma a parte la presenza dell’uomo su Marte, a mio modo di vedere c’è un altro tema. E cioè che quando si sviluppano tecnologie per ambienti estremi, ci possono essere infinite ricadute sul pianeta Terra. Faccio alcuni esempi: quando si è andati sulla Luna, si usarono per la prima volta tute ignifughe che poi trovarono applicazione fuori dalla ricerca spaziale. E ancora: le celle a combustibile, sono nate per le applicazioni dei viaggi lunari. Il banale joystick nasceva per consentire agli astronauti di manovrare il Lem nonostante i guanti. Una missione umana su Marte porterà a casa ulteriori verticalizzazioni. Musk ha ragione, chi arriva per primo fa bingo”.



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