Poco se ne è parlato finora ma la dotazione per il digitale prevista dalla proposta della Commissione europea per Quadro finanziario pluriennale (QFP) 2028-2034, pubblicata lo scorso 16 luglio, è finalmente decente.
Non certo adeguata a consentire da sola al vecchio continente di competere con Stati Uniti e Cina ma d’altronde non lo si potrebbe pretendere con piccola dose di realismo da un budget che non va oltre l’1,26% del PIL europeo, di cui lo 0,11% già impegnato con la restituzione del debito comune derivante da Next Generation EU.
Ma una buona base che con un incremento proporzionale dei fondi pubblici nazionali e degli investitori privati potrebbe consentire finalmente quella accelerazione della sovranità tecnologica europea di cui negli ultimi sette anni si è molto dibattuta nei convegni ma che dalle parole non si è mai o quasi mai tradotta in fatti.
Come cambia la struttura del budget digitale nel QFP 2028-2034
Se nel suo ammontare totale di risorse mobilitate il Quadro finanziario pluriennale (QFR) 2028-2034 è di fatto in linea di continuità con i precedenti, con un incremento più di facciata che reale, la sua struttura si presenta molto diversa.
Le novità principali
Innanzitutto, i programmi passano da 52 a 16, seguendo una semplificazione consigliata anche dal Rapporto Draghi.
C’è poi la volontà di lasciare più risorse a disposizione in caso di emergenze o di cambio di priorità strategiche, evitando di pre-assegnare il 90% del budget in partenza di fronte a un modo che cambia velocemente (basta pensare alle crisi del Covid e della guerra russo-ucraina ma anche alle drastiche conseguenze determinate dalla rielezione di Trump).
Si è poi prevista la ristrutturazione e unificazione di capitoli di bilancio che da sempre hanno caratterizzato i budget UE, come i fondi all’agricoltura e alla coesione, in Piani nazionali e regionali di partenariato, ai quali attingere sulla base della realizzazione di programmi di investimenti e riforme, sul modello degli attuali PNRR.
Ed infatti le polemiche si sono concentrate su questo aspetto, oltre che sulle cifre complessive del bilancio proposto (troppo alte secondo alcuni, troppo basse secondo altri) e sulle modalità per finanziarlo, tra le quali strumenti aggiuntivi destinati a suscitare reazioni vivaci come una nuova imposta sulle società con ricavi oltre i 100 milioni di euro, immaginate come quelle che più di tutte riescono a estrarre benefici dal mercato unico grazie alle maggiori possibilità di commercio privo di dazi che offre, e un aumento delle accise sul tabacco.
A cambiare è stata anche la macro-struttura delle singole voci, quattro contro le sette del QFR attuale. La prima, anche per fondi allocati, è quella che comprende coesione e agricoltura con 1 miliardo e 62 milioni di euro a prezzi correnti (946 miliardi a prezzi 2025 depurati dall’inflazione attesa).
In realtà, ci sono anche altre voci che la compongono, con un ruolo crescente di quelle legate all’immigrazione e il pagamento del debito NGUE. Al secondo posto segue la competitività, prosperità e sicurezza con 590 miliardi di euro a prezzi correnti (522 a prezzi 2025), di cui magna pars è il tanto annunciato Fondo per la competitività europea, dotato di ben 450 miliardi di euro a prezzi correnti (equivalenti a 397 miliardi a prezzi 2025) e nel quale si colloca anche il capitolo digitale.
Connecting Europe Facility
Nella stessa macrovoce, in aggiunta al Fondo, trova spazio il programma Connecting Europe Facility (81 miliardi di euro a prezzi correnti, 72 miliardi a prezzi 2025), che finanzia le reti energetiche e di trasporto nonché, per quasi 16 miliardi di euro a prezzi costanti, la mobilità militare. Da qui scompaiono i fondi per le reti digitali, che si si sono viste assegnare nel QFP in corso 2,06 miliardi di euro.
Infine, alle rimanenti due macro-voci, Global Europe e Amministrazione, andrebbero secondo la proposta della Commissione rispettivamente 215 miliardi di euro (190 a prezzi 2025) e 118 miliardi di euro (104 a prezzi 2025).
I fondi destinati alla Leadership Digitale
La voce digitale compare esplicitamente solo come componente del Fondo europeo per la competitività, con il nome Digital Leadership.
Sappiamo però per certo che i fondi di coesione avranno risorse dedicate alla trasformazione digitale così come il programma di ricerca Horizon Europe, in continuità con quello che già succede ora, e con ogni probabilità altri soldi potranno comparire altrove, ad esempio nel neocostituito Fondo per l’Innovazione che dovrebbe entrare a regime nel 2031 con fondi complessivi per oltre 40 miliardi di euro. Ma al momento, in mancanza di ulteriori dettagli, dobbiamo concentrarci su quanto sappiamo per certo e dunque sul budget dedicato alla Leadership Digitale, che dovrebbe contribuire a far recuperare all’UE il forte svantaggio competitivo accumulato.
In effetti, se consideriamo il QFP in corso, si tratta di cifre di tutto rilievo. Si passerebbe dagli attuali 10 miliardi circa, sommando i programmi Digital Europe e i fondi per il digitale di Connecting Europe Facility, a 55 miliardi (anche tenendo conto dell’inflazione, stiamo parlando di un aumento monstre del 468%). Di fatto, un incremento in linea con quello per difesa e spazio che riceverebbero 5 volte quanto percepiscono dall’attuale budget (circa 4,3 volte considerato l’aumento dei prezzi). Ma per quest’ultimo occorre ricordarsi che di fatto la difesa viene finanziata per la prima volta e dunque contribuisce di molto a far lievitare le spese della relativa voce a 130 miliardi di euro.
Guardando al profilo temporale, la spesa allocata in Digital Leadership risulta piuttosto stabile negli anni con un picco a prezzi costanti che dovrebbe essere raggiunto nel 2031 e poi mantenuto per gli anni a seguire pari a 7,3 miliardi di euro. Considerato che saranno almeno 4 le tecnologie digitali nelle quali si concentrerà la spesa (IA, quantum, cybersecurity e connettività su tutte) non stiamo parlando di cifre enormi. Va però considerato che storicamente la percentuale di investimenti pubblici coperti dal bilancio comunitario si è tenuta sempre sotto il 12-13% fino al Next Generation EU, quando è salita a circa il 20%. Dunque, in mancanza di debito comune, l’UE dimostra con questo budget di fare la sua parte o quantomeno di avvicinarvisi, confidando che i bilanci nazionali e gli investitori privati facciano le proprie mosse (che comunque il QFP proposto aiuta non poco, insieme ad altri strumenti che speriamo siano messi in campo, dalla semplificazione per startup e scaleup UE all’unificazione del mercato dei capitali).
QFP 2028-2034 e digitale: qualche timore da fugare
Con la scelta delle risorse da destinare al Fondo europeo per la competitività e, più nello specifico alla Leadership digitale, la Commissione ha fatto dunque la sua scelta di campo e di questo, visto che ci capita di criticarla spesso anche su queste colonne, gliene va dato atto.
Tuttavia, la partita si è appena aperta e durerà almeno due anni prima che si arrivi all’approvazione finale del QFP. La scorsa volta, l’accordo definitivo fu raggiunto in un vertice dei capi di stato e di governo svoltosi a metà dicembre del 2020, cioè due settimane prima che il nuovo bilancio entrasse in vigore. Il peso degli Stati membri farà certamente la differenza e, come già successo altre volte, è probabile che ci siano altre categorie ben più abili a fare lobbying di quelle che fanno capo all’innovazione e al digitale. Tra l’altro non mancano negli ultimi due negoziati tagli dell’ultimo minuto dei fondi destinati alle tecnologie.
Se la Commissione ha compiuto il suo dovere verso il settore, e probabilmente il Parlamento, che tuttavia conta di meno nella procedura di bilancio, la dovrebbe spalleggiare, spetta agli Stati membri fare la propria, ben due volte. Innanzitutto, prevedendo anch’essi risorse aggiuntive nelle proprie leggi di bilancio future (passo piuttosto critico per un Paese come l’Italia altamente indebitato e che al contempo perderà le risorse del PNRR, per oltre il 25% destinate alla transizione digitale).
Ma anche astenendosi dalla tentazione di sottrarre risorse al Fondo per la competitività europea e alla voce digitale ivi contenuta per accontentare lobby più agguerrite (ed elettoralmente più influenti). In poche parole, il futuro del Vecchio Continente dopo il 16 luglio è decisamente nelle mani delle capitali degli Stati membri. Tocca sperare (e fare attivamente in modo) che se ne rendano conto.
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