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Il meccanismo di pre-pack nella Proposta di Direttiva 2022/0408 del Parlamento europeo e del Consiglio*


Giunti alla conclusione del presente contributo, vale la pena riservare alcune considerazioni di sistema in ordine all’impatto che, sul versante del diritto del lavoro, potrà avere l’introduzione del meccanismo di pre-pack nell’ordinamento domestico. 

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Già nella Relazione accompagnatoria alla Proposta di Direttiva originaria è esplicitato che il contenuto di quest’ultima è coerente con la Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, stabilimenti o parti di questi [76]. 

In particolare, l’art. 20, par. 2, della Proposta in esame, nella versione attuale, stabilisce che restano impregiudicate la Direttiva del 2001 e le norme attuative nazionali e prosegue, nel secondo periodo, stabilendo che quando la fase di liquidazione si svolge nell’ambito di procedimenti contraddistinti dalla cessazione dell’attività economica e dalla conseguente perdita da parte del debitore della titolarità dei beni aziendali che vengono ceduti allo scopo di soddisfare il ceto creditorio, la medesima – ai fini dell’art. 5, par. 1, della Direttiva 2001/23/CE del Consiglio – va considerata come una procedura fallimentare o una qualsiasi altra procedura concorsuale analoga avviata con l’obiettivo della dismissione del patrimonio del soggetto passivo sotto la supervisione di un’autorità pubblica competente. 

La prima conseguenza della statuizione in commento è che diviene del tutto irrilevante, con riguardo alle tutele giuslavoristiche e alle relative eccezioni, che il percorso di vendita sia stato avviato nella fase preparatoria piuttosto che in quella liquidatoria, poiché l’attuazione della soluzione di pre-pack è comunque riservata a quest’ultima e collocata in un ambito procedurale con finalità diverse dal mero risanamento. 

A tal proposito, giova rammentare che l’art. 5, par. 1, della predetta Direttiva del 2001 prescrive che, salvo diversa disposizione degli Stati membri, gli artt. 3 e 4 sul mantenimento dei diritti dei lavoratori, in ipotesi di vicenda circolatoria dell’azienda o di un suo ramo, non si applichino se il cedente è sottoposto a liquidazione giudiziale o a una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della alienazione dei suoi beni e che si svolge sotto il controllo di un’autorità pubblica competente o del curatore autorizzato da quest’ultima [77]. Infatti, mentre i suddetti artt. 3 e 4 stabiliscono che i diritti e gli obblighi risultanti per il cedente da un contratto o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di quest’ultimo, trasmessi al cessionario, e che detta vicenda circolatoria – irrilevante se di uno stabilimento o di una parte di questo – non è di per sé motivo di licenziamento a opera del venditore o dell’acquirente, il successivo art. 5 si occupa della deroga alla suddetta regola in ipotesi di procedura fallimentare o analoga di insolvenza avente finalità liquidatoria del patrimonio del debitore e non di mero risanamento [78]. In altri termini e in definitiva, nel rispetto della Direttiva 2001/23/CE i licenziamenti sono da ritenersi illegittimi allorquando attuati da un soggetto sottoposto a procedura di risanamento e invero leciti – con conseguente sacrificabilità dei livelli occupazionali – qualora la circolazione del complesso produttivo avvenga nell’ambito di un percorso procedurale dai connotati liquidatori. 

Ciò è peraltro in linea con la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa Heiploeg [79], che, come noto, è stata resa in un caso relativo a un pre-pack aperto in Olanda e ha enucleato due principi di assoluto rilievo in materia. 

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Il primo concerne il fatto che l’art. 5, par. 1, della Direttiva 2001/23 va interpretato nel senso che il presupposto da esso previsto – secondo il quale gli artt. 3 e 4 di tale Direttiva non si applicano alla vicenda circolatoria di un’impresa nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso – è soddisfatto anche qualora il trasferimento sia stato predisposto anteriormente all’apertura del procedimento diretto alla cessione dei beni del cedente, a condizione che venga realizzato nel corso di detto fallimento nell’ambito di una procedura di pre-pack disciplinata da disposizioni legislative e regolamentari avente l’obiettivo principale di consentire un soddisfacimento al meglio dell’insieme dei creditori, mantenendo, per quanto possibile, l’occupazione. Così facendo, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha finito per riconoscere natura liquidatoria al pre-pack, ponendo al centro degli interessi – al pari di tutte le procedure concorsuali aventi scopo di dismissione degli asset – la tutela del ceto creditorio, cercando al contempo di salvaguardare, per quanto possibile, i rapporti di lavoro dipendente. 

Il secondo principio puntualizza che all’art. 5, par. 1, della Direttiva 2001/23 va attribuito il significato per cui il presupposto da esso previsto opera anche laddove il trasferimento di tutto o parte del complesso produttivo sia stato predisposto, nell’ambito di una procedura di pre-pack preliminare alla dichiarazione di fallimento, da un curatore appositamente nominato, sottoposto, a sua volta, al controllo di un giudice delegato designato, sebbene detto accordo traslativo sia stato concluso dopo la pronuncia di apertura del fallimento diretto alla liquidazione dei beni del cedente. 

Stando pertanto a quanto contenuto nell’art. 20, par. 2, della Proposta in ipotesi di pre-pack e tenendo conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia non dovrebbero trovare applicazione né l’obbligatoria successione del cessionario nei debiti di lavoro ai sensi dell’art. 3 della Direttiva 2001/23/CE, né l’impedimento a motivo di licenziamento di cui all’art. 4, salvo che gli Stati membri dispongano diversamente, al pari di quanto prevede l’art. 5 di quest’ultima direttiva, essendo ciascun Paese libero di stabilire specifiche garanzie a tutela dell’occupazione [80]. 

Sennonché rispetto a tale direzione parrebbe, invero, divergere il Considerando 22 bis dell’attuale versione della Proposta stessa. Nonostante esso enunci che l’obiettivo del pre-pack sia quello di consentire, nell’interesse dei creditori e nell’ambito della procedura concorsuale, una liquidazione dei beni del debitore tramite il trasferimento di tutta o parte dell’impresa come entità funzionante al fine di soddisfare, nella misura più ampia possibile, le pretese di tutti i creditori, il medesimo prevede altresì che il meccanismo in esame possa nondimeno contribuire alla salvaguardia dell’occupazione, con ciò allontanando lo spettro di un sacrificio importante in termini di diritto dei lavoratori dipendenti alla conservazione del posto di lavoro.
Del pari, anche l’art. 68-ter della Proposta stessa, nell’indicare che gli Stati membri provvedono affinché il titolo IV lasci impregiudicati i diritti collettivi dei lavoratori sanciti dalla normativa unionale e nazionale, sembrerebbe in realtà in contrasto con i principi contenuti nell’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE a cui rimanda l’art. 20, par. 2, della Proposta di Direttiva medesima. 

Non solo. Che la salvaguardia dei lavoratori dipendenti vada per di più realizzata a prescindere dalla possibile deroga da parte degli Stati membri del principio contenuto nell’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE pare in realtà evincersi, ripercorrendo quanto ricordato nel paragrafo 6 che precede dal disposto dell’art. 28 della Proposta in oggetto che sancisce, per i crediti dei lavoratori dipendenti, l’applicabilità della regola – contenuta nel nostro ordinamento all’art. 2112 c.c. – secondo cui restano fermi gli obblighi del cedente che derivano dai rapporti di lavoro dipendente interessati dalla vicenda circolatoria dell’azienda. 

In considerazione di ciò non poche sono le ripercussioni che, nel caso di recepimento, la Proposta di Direttiva finirebbe per comportare nell’ordinamento domestico, che da tempo, infatti, ha preferito introdurre specifiche garanzie a tutela del lavoro subordinato, anche in ipotesi di procedure liquidatorie, avvalendosi proprio della espressa previsione contenuta nell’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE volta a consentire di estendere le prerogative di cui ai precedenti artt. 3 e 4 a siffatte procedure non conservative; tutele che corrispondono, quanto al diritto nazionale, alla disciplina rinvenibile nell’art. 2112 c.c. 

A tal proposito, nel solco della suddetta facoltà riservata dall’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE agli Stati membri, il legislatore italiano è intervenuto – in forza dell’art. 368 CCII – sul disposto dell’art. 47 L. n. 428/1990, modificandolo al fine di ribadire, tra l’altro, che nell’ambito delle procedure liquidatorie l’art. 2112 c.c. può essere derogato solo a determinate condizioni. 

Più precisamente, il comma 5 dell’art. 47 L. n. 428/1990 stabilisce che, qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata l’apertura della liquidazione giudiziale o l’accesso al concordato preventivo liquidatorio, ovvero l’emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario. Tuttavia, in una simile circostanza, nel corso delle consultazioni disciplinate dai precedenti commi della disposizione in esame, possono comunque stipularsi, con finalità di salvaguardia dell’occupazione, contratti collettivi ai sensi dell’art. 51 D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, in deroga all’art. 2112, commi 1, 3 e 4, c.c. Quest’ultima eccezione è stata in effetti introdotta per favorire il mantenimento, anche parziale, dei livelli occupazionali, i quali, se non vi fosse stato il trasferimento, sarebbero risultati notevolmente penalizzati dal licenziamento. 

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Peraltro, con particolare riguardo alla liquidazione giudiziale, poiché l’art. 189, comma 1, CCII, dispone che i rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa sono sospesi fino a quando il curatore, previa autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi [81], ovvero il recesso, è alquanto verosimile che, in ipotesi di pre-pack, il curatore finirà per subentrare in tali rapporti ai fini del trasferimento dell’azienda o del ramo di cui essi facciano parte se rientrano nel perimetro oggetto dell’accordo tra il debitore e l’offerente che ha innescato il meccanismo, applicandosi alla relativa vicenda circolatoria dell’azienda l’art. 191 CCII che rinvia, a propria volta, alle disposizioni di cui all’art. 47 L. n. 428/1990. 

Diversamente, fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro subordinato, il comma 4 bis dell’art. 47 L. n. 428/1990 statuisce che, nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo, nel corso delle consultazioni previste dai precedenti commi, con finalità di protezione dell’occupazione, l’art. 2112 c.c. opera, per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo, da concludersi altresì attraverso i contratti collettivi di cui all’art. 51 D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, se il trasferimento riguarda aziende sottoposte a una procedura concordataria in continuità indiretta e, pertanto, con finalità di risanamento. 

In definitiva, mentre il comma 5 dell’art. 47 L. n. 428/1990 recepisce quell’eccezione che l’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE riserva agli Stati membri al fine di applicare, quantomeno in parte, l’art. 2112 c.c. anche ai trasferimenti nell’ambito delle procedure concorsuali liquidatorie, il precedente art. 4 bis dell’art. 47 L. n. 428/1990, in linea con le tutele giuslavoristiche approntate dagli artt. 3 e 4 della Direttiva 2001/23/CE, si estende a quelle ristrutturatorie e di risanamento. 

Sennonché, vero è che, in ipotesi di adozione della Proposta di Direttiva, sarebbe difficilmente concepibile che per una medesima fase – quella liquidatoria di pre-pack – i rapporti di lavoro finissero per essere trattati differentemente a seconda che la stessa abbia realizzazione all’interno della liquidazione giudiziale oppure di altra procedura liquidatoria, a cui corrisponde il disposto del comma 5 del medesimo art. 47 L. n. 428/1990, ovvero del concordato preventivo in continuità aziendale indiretta, per il quale rileva il comma 4 bis dell’art. 47 L. n. 428/1990. 

Ciò renderà, pertanto, pressoché necessario dare corso a una doverosa rivisitazione sistematica dei precetti contenuti in tale ultimo articolo – verosimilmente qualificando alla stregua di una procedura liquidatoria altresì il concordato preventivo in continuità aziendale indiretta, così risolvendo del pari i problemi di coordinamento già evidenziati nel paragrafo 7 che precede – allo scopo di attuare il dovuto coordinamento tra le varie disposizioni domestiche nel rispetto delle Direttive unionali. 



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