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Tunisia, esperto contabile a Nova: “Banche bloccate tra credito all’economia e Stato”


Lo sciopero di 48 ore in Tunisia della Federazione generale delle banche e degli istituti finanziari, affiliata al sindacato Unione generale tunisina del lavoro (Ugtt), ha paralizzato il settore finanziario del Paese. Lo ha detto ad “Agenzia Nova” Maher Gaida, dottore commercialista e docente universitario, nonché esperto contabile e fondatore della società “ABC – Audit e business consulting”, che assiste oltre cinquanta multinazionali attive in Tunisia. “Al centro della mobilitazione ci sono le negoziazioni salariali e l’attuazione degli aumenti previsti dalla Legge di bilancio, in particolare dall’articolo 15 della Legge di Finanza 2026”, ha spiegato Gaida. Secondo quanto denunciato dal sindacato tunisino, la parte datoriale rappresentata dal Consiglio bancario e finanziario (Cbf) starebbe rallentando l’attuazione degli aumenti, o manifestando divergenze sull’interpretazione delle convenzioni collettive già negoziate, soprattutto nel quadro delle trattative triennali precedenti. Il Cbf ha condannato lo sciopero, organizzato per le giornate di ieri e di oggi, definendolo “ingiustificato e inaccettabile” e “privo di fondamento sociale o economico”, ribadendo al contempo il proprio impegno ad applicare gli aumenti non appena sarà pubblicato il decreto attuativo previsto con la promulgazione della Legge di bilancio 2026 il prossimo gennaio.

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“Il comparto – ha affermato Gaida – è regolato da convenzioni collettive molto strutturate, che prevedono negoziazioni triennali e aumenti salariali programmati. Era già stato stabilito che, per il triennio 2025-2027, sarebbero stati applicati adeguamenti retributivi come nei cicli precedenti”. Tuttavia, ha precisato l’esperto, “il governo è intervenuto introducendo l’articolo 15 della Legge di Finanza 2026, che prevede aumenti per gli anni 2026, 2027 e 2028 determinati direttamente dall’esecutivo, senza specificare né i limiti né le modalità di applicazione”. I sindacati “sostengono che la negoziazione deve avvenire tra i rappresentanti dei datori di lavoro del sistema bancario e finanziario e le organizzazioni sindacali, come è sempre avvenuto”, ha aggiunto Gaida. Il Consiglio bancario e finanziario (Cbf), da parte sua, “ritiene che, poiché gli aumenti sono già previsti dal 2026, è opportuno attendere per decidere in merito”, ha evidenziato l’esperto, aggiungendo che i contabili “ribattono che l’aumento per il 2025 era già stato concordato ma non è mai stato applicato, e che il governo si è di fatto intromesso in una trattativa che avrebbe dovuto restare bilaterale”. Tutto ciò ha generato una “situazione di stallo” poiché i datori di lavoro si trovano “sotto pressione”.

Da un lato, ha precisato Gaida, “le leggi chiedono alle banche di sostenere l’economia reale e di assumere un ruolo sociale più forte; dall’altro, preferiscono attendere di conoscere i nuovi parametri per poter agire di conseguenza”. Di fatto, per la prima volta, “le negoziazioni triennali si trovano bloccate, non tanto dal governo direttamente, quanto dal patronato, che giustifica la sua posizione con l’interferenza governativa”, ha puntualizzato il fondatore della società “ABC – Audit e Business Consulting”, ricordando che il “Cbf in Tunisia rappresenta il sindacato dei datori di lavoro del settore bancario, contrapposto all’Ugtt, storicamente molto potente ma oggi indebolito da alcune vicende giudiziarie che coinvolgono parte della sua dirigenza”. Secondo il Cbf, le motivazioni addotte dai sindacati – ossia la percezione di un dialogo sociale interrotto, il ritardo nell’attuazione degli impegni salariali e la perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione – non giustificherebbero lo sciopero. Il Consiglio bancario e finanziario ritiene che la mobilitazione sindacale abbia una dimensione politica: una dimostrazione di forza dell’Ugtt volta ad affermare la propria influenza e a esercitare pressione in un contesto socio-politico teso, più che una rivendicazione economica immediata.

Una panoramica sulla “salute” del sistema bancario nel Paese nordafricano è stata recentemente presentata dall’agenzia statunitense Fitch Ratings, secondo cui le banche tunisine continuano a operare in un contesto economico complesso, segnato da inflazione elevata, crescita debole e tassi d’interesse alti. La crescita del credito, pari allo 0,6 per cento nei primi cinque mesi del 2025, riflette una domanda di finanziamento moderata e un forte assorbimento di risorse da parte dello Stato, che limita l’accesso al credito per famiglie e imprese. Nonostante la revisione al rialzo del rating tunisino a “B-” con prospettiva stabile (settembre 2025), Fitch ritiene improbabile un miglioramento significativo delle condizioni operative del settore bancario. Il tasso dei crediti deteriorati (Npl) è salito al 14,7 per cento a fine marzo 2025, il livello più alto dal 2021 (quando era al 13,1 per cento). Tuttavia, la maggior parte delle “sofferenze” deriva da periodi precedenti, suggerendo un possibile miglioramento nel medio-lungo termine. La redditività rimane inoltre contenuta, con un Roe medio del 10,6 per cento tra il 2022 e il primo trimestre 2025. Nel primo semestre 2025, gli utili netti delle dieci principali banche sono aumentati del 13 per cento su base annua, ma la crescita è stata frenata da un aumento del 21 per cento del costo del rischio e da una crescita dell’8 per cento delle spese operative.

Le condizioni di liquidità, secondo Fitch, restano complessivamente solide: i depositi dei clienti sono cresciuti del 3 per cento nei primi cinque mesi del 2025 (contro il 10 per cento nel 2024), mentre i prestiti sono aumentati solo dello 0,6 per cento. Il rifinanziamento presso la Banca centrale di Tunisia (Bct) rappresentava il 5 per cento del passivo complessivo del settore a fine maggio 2025. Maher Gaida ha sottolineato a “Nova” che “il governo tunisino mantiene una relazione piuttosto tesa con le agenzie di rating, che il presidente Kais Saied considera poco oggettive”. Il capo dello Stato, ha aggiunto l’esperto, “sostiene che la Tunisia è uno Stato sovrano e che deve essere libera di decidere la propria politica economica”. Le pressioni esercitate da istituzioni come il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale – che chiedono la riduzione dei sussidi, il contenimento dei salari e la privatizzazione di alcune imprese pubbliche – “sono in contrasto con la visione del governo tunisino, che ritiene tali misure dannose per la coesione sociale”, ha spiegato Gaida. Negli ultimi anni la Tunisia ha comunque mostrato segni di resilienza. “La crescita economica è intorno al 2,2 per cento, superiore a quella media dell’Unione europea, e l’inflazione è scesa dal 10-11 per cento al 5,5 per cento. Il dinaro tunisino si è mantenuto stabile sia rispetto al dollaro (circa tre dinari per un dollaro) sia all’euro (tra 3,4 e 3,5 dinari), un risultato notevole se paragonato, ad esempio, alla forte svalutazione della lira turca”, ha evidenziato l’esperto contabile.

Il debito pubblico tunisino si attesta intorno all’83-84 per cento del Prodotto interno lordo, pari a circa 130 miliardi di dinari (circa 38 miliardi di euro al cambio attuale). “Sebbene elevato, resta inferiore a quello di Paesi come Italia o Francia, e la Tunisia continua a rispettare puntualmente le proprie scadenze di pagamento, arrivando in alcuni casi ad anticipare i rimborsi dei crediti esteri”, ha osservato Gaida, sottolineando come ciò “contribuisce a mantenere un certo livello di fiducia internazionale”. L’esperto contabile ha ricordato che Fitch cita tra i rischi la riduzione della liquidità delle banche. “In effetti, il governo, per ridurre la dipendenza dai prestiti esterni, ha chiesto alle banche nazionali e alle imprese locali di finanziare il debito interno. Ciò ha provocato una contrazione dei fondi disponibili per il credito all’economia reale, orientando invece gran parte della liquidità verso il finanziamento del bilancio statale”, ha spiegato Gaida, aggiungendo che questa situazione “crea inevitabilmente tensioni nei bilanci bancari: circa il 20 per cento degli attivi delle banche tunisine è oggi esposto verso lo Stato. Se quest’ultimo dovesse incontrare difficoltà di pagamento, l’impatto sul sistema finanziario sarebbe significativo”.

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Le banche tunisine restano tuttavia “tra le più redditizie al mondo”. Secondo l’esperto, “la loro solidità e capacità di generare profitti elevati rappresentano un elemento di stabilità. È per questo che, pur riconoscendo alcune criticità, Fitch non esprime un giudizio eccessivamente negativo sul sistema bancario tunisino, che mostra ancora margini di resilienza e un profilo di rischio contenuto rispetto al contesto regionale”. Per finanziare l’economia locale, ha continuato Maher Gaida, “il governo tunisino ha deciso di ricorrere al sostegno della Banca centrale, che gli concederà prestiti da rimborsare in 15 anni, con tre anni di sospensione del pagamento degli interessi”. Secondo quanto spiegato dall’esperto contabile, si tratta di “una politica agevolata che la Banca centrale accorda allo Stato: da un lato è una misura positiva, ma dall’altro può avere effetti problematici”. “È positiva – ha evidenziato Gaida – perché consente al governo di utilizzare risorse interne per finanziare l’economia nazionale, riducendo la dipendenza dai creditori esteri. Tuttavia, presenta anche un rischio: quello di compromettere l’indipendenza della Bct, facilitando l’accesso diretto del governo al suo finanziamento. Questa tendenza, se prolungata, può diventare pericolosa, perché genera pressioni inflazionistiche e mina la stabilità monetaria”.

Vale la pena ricordare che nel 2024 il Parlamento tunisino ha autorizzato un prestito della Bct allo Stato per 7 miliardi di dinari (circa 2 miliardi di euro) per il 2025 e il progetto di Bilancio per il 2026 prevede che possa concedere fino a 11 miliardi di dinari (3,23 miliardi di euro) di finanziamento diretto allo Stato, fondamentalmente per ripagare i debiti contratti dallo Stato tunisino dai governi che si sono susseguiti dopo la cosiddetta rivoluzione dei gelsomini del 2011. Sebbene la Bct abbia già concesso finanziamenti allo Stato e l’inflazione sia diminuita, secondo Gaida “il rischio oggi non riguarda tanto l’aumento dei prezzi, quanto la carenza di liquidità”. L’esperto ha sottolineato che “quando la Banca centrale finanzia in modo massiccio lo Stato, di fatto drena risorse dal sistema bancario e dalle grandi imprese locali, e questo provoca una riduzione della liquidità disponibile nell’economia reale. In termini semplici, è come se il sangue che dovrebbe circolare in tutto il corpo economico venisse concentrato nella testa, e il resto dell’organismo rischia quindi di soffrire”. In altre parole, le banche tunisine si trovano con meno disponibilità di contante per sostenere le imprese e i cittadini, e questo può portare a un rallentamento dell’attività economica generale, anche se formalmente i conti pubblici sembrano in equilibrio. Il presidente della Repubblica, Kais Saied, ha recentemente sottolineato che le banche devono “contribuire agli investimenti, semplificare le transazioni per i cittadini” e, soprattutto, “allinearsi alla politica dello Stato”, visto come “unica entità” che riflette la volontà del popolo tunisino, ossia il vero “sovrano”. Come parte di queste direttive, le banche sono state sollecitate a finanziare progetti per giovani senza garanzie a sostegno dell’autoimprenditorialità.

“Le banche in Tunisia registrano profitti enormi, parliamo di 1,2-1,3 miliardi di dinari, quindi è logico che una parte, diciamo 150 milioni, venga destinata al finanziamento dei giovani e delle imprese che non possono fornire ipoteche, anche perché i tassi d’interesse sono molto alti. Questo è un aspetto sociale notevole”, ha osservato Gaida, sostenendo tuttavia che fino ad ora ben poco è stato fatto dagli istituti di credito, “probabilmente perché mancano ancora i decreti applicativi che dovrebbero precisare le modalità di attuazione”. Secondo il commercialista, dopo la rivoluzione in Tunisia, le banche nazionali “hanno tratto vantaggio della situazione, soprattutto finanziando lo Stato e traendone profitti”. “Prestare denaro allo Stato è molto meno rischioso che concedere crediti ai clienti: il rischio è solo quello sovrano. Quando invece si finanzia un’impresa o un privato, si aggiunge anche il rischio di insolvenza del cliente. È chiaro quindi che per anni è stato più comodo prestare allo Stato che all’economia reale”, ha evidenziato Gaida, secondo cui “le banche hanno anche guadagnato molto acquistando titoli del Tesoro, con tassi d’interesse anche del 9 per cento su cinque anni, finanziandosi magari al 7 per cento e incassando la differenza”. Tutto ciò ha permesso loro di realizzare “margini enormi”, e ora lo Stato “chiede loro di restituire qualcosa, contribuendo allo sviluppo economico del Paese”, ha spiegato l’esperto contabile.

Per anni, soprattutto nelle banche pubbliche, sono stati concessi crediti agevolati, spesso senza garanzie reali o con ipoteche dubbie. “Ma oggi questa prassi è finita. È un segnale forte: gli uomini d’affari protetti, quelli che agivano in modo poco trasparente, non sono più intoccabili. Certo, ce ne sono ancora, ma la situazione è molto diversa”, ha affermato Gaida, secondo cui “dopo la rivoluzione si è creato un legame malsano tra politica, finanza e affari. Era una relazione incestuosa che ora è stata in gran parte spezzata”. È anche per questo che, nonostante le difficoltà, “molti tunisini continuano ad appoggiare Kais Saied: vedono in lui qualcuno che combatte davvero questa gangrena”, ha osservato l’esperto, che ha comunque riconosciuto che “molti di quegli uomini d’affari davano lavoro a tante persone”. “Quando vengono arrestati o esclusi, i gruppi economici che dirigevano si disarticolano, creando disoccupazione e instabilità. Le banche hanno bloccato i crediti, molte imprese non riescono più a vendere o a rifinanziarsi, e diversi imprenditori stanno liquidando i propri beni per restare a galla. Questo ovviamente crea tensioni e limita la capacità del Paese di produrre ricchezza”, ha spiegato Gaida.

Passando alle riforme, il commercialista ha indicato che la Banca centrale ha lavorato “seriamente”. “Ha imposto alle banche l’adozione delle regole prudenziali di Basilea III e degli standard contabili internazionali Ifrs, che permettono una valutazione più accurata dei rischi. Tuttavia, non tutte le banche hanno ancora applicato completamente queste norme, e questo impedisce ai bilanci tunisini di essere letti con piena trasparenza a livello globale. Serve una direttiva chiara per imporre definitivamente l’adozione completa dell’Ifrs”, ha aggiunto. Inoltre, “è necessario limitare l’esposizione delle banche verso il debito sovrano: non dovrebbero poter destinare più del 25 per cento del loro portafoglio crediti allo Stato. Bisogna fissare anche un livello minimo di liquidità obbligatoria da destinare all’economia reale, per stimolare gli investimenti produttivi”, ha affermato l’esperto.

Sebbene il governo tunisino abbia aumentato i controlli fiscali, resta in primo piano il dossier dei fondi sottratti all’estero. Secondo Gaida “alcuni governi occidentali si nascondono dietro cavilli giuridici per non restituire i capitali trasferiti dai dittatori africani” e “ci sono miliardi di dollari bloccati in Svizzera, Francia, Dubai, Hong Kong”. L’esperto contabile ha evidenziato che governare un Paese dopo una rivoluzione “non è facile”, dato che “l’economia è stata messa in ginocchio e le istituzioni disorganizzate”. “Oggi, però, il governo tunisino ha posto fine al caos politico che non serviva al popolo, ma solo a certi interessi. Sta cercando di ristabilire gli equilibri macroeconomici e di rimettere il Paese sulla giusta strada”, ha affermato Gaida. Gli occidentali in passato hanno voluto far credere che in Tunisia ci fosse una “democrazia”, ma in realtà “era una democrazia del denaro e della corruzione, utile a loro, non al popolo tunisino”, ha aggiunto l’esperto contabile. “Ora, come nella storia romana, in certi momenti serve un potere forte per ristabilire l’ordine. Poi, gradualmente, si potrà tornare alla piena vita democratica. E, a mio avviso, è esattamente questa la strada che la Tunisia sta percorrendo”, ha concluso Gaida.

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