La quinta edizione della Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia, curata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), offre una fotografia del sistema scientifico nazionale, con particolare attenzione alle risorse mobilitate dal PNRR. Per il settore dell’innovazione nel campo delle scienze della vita, i dati rivelano un’iniezione di risorse senza precedenti e risultati promettenti in termini di inclusione, ma anche persistenti debolezze strutturali che mettono in discussione la sostenibilità futura di questi progressi.
In base ai dati del rapporto, potremmo descrivere la situazione attuale come un orto rigoglioso (la ricerca pubblica), che ha ricevuto un’irrigazione abbondante (i fondi PNRR) per crescere e prosperare. Tuttavia, se mancano i canali che portano l’acqua alle radici giuste e le vie per raccogliere e distribuire i frutti (cioè politiche industriali e continuità di finanziamento), il rischio è che, una volta prosciugata la fonte, ciò che oggi fiorisce appassisca o venga trapiantato altrove. Vediamo perché.
L’impatto del PNRR sul settore salute
A cinque anni dall’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), la relazione del CNR analizza progressi, criticità e prospettive del sistema nazionale di ricerca e innovazione, visto come leva possibile non solo per la competitività economica, ma anche per la coesione sociale, la sostenibilità ambientale e il posizionamento dell’Italia nel contesto europeo e globale.
Il PNRR (in particolare la Missione 4, Componente 2, denominata “Dalla ricerca all’impresa”) ha allocato complessivamente 8,5 miliardi di euro per rafforzare il trasferimento tecnologico e coprire l’intera filiera dell’innovazione, dalla ricerca di base a quella industriale. Di questi, 4,6 miliardi sono dedicati alla creazione di partenariati estesi tra università, centri di ricerca e aziende per il finanziamento di progetti di ricerca di base; centri nazionali quali “campioni nazionali di R&S” su alcune tecnologie abilitanti; ed ecosistemi dell’innovazione orientati alla ricerca industriale.
Il settore “Salute” è stato identificato come una delle priorità tematiche per questi finanziamenti, in linea con gli obiettivi di Horizon Europe (insieme a clima e transizione digitale) e ha visto sei iniziative sistemiche: un centro nazionale, un ecosistema e quattro partenariati estesi.
A questo cluster sono stati assegnati oltre 900 milioni di euro in finanziamenti, pari al 19,3% delle risorse totali concesse ai cluster. I finanziamenti per la salute mostrano una netta predominanza della ricerca fondamentale (69,7% della spesa), seguita dalla ricerca industriale (17,9%). Inoltre, questo settore registra la quota più alta di spesa per materiali e attrezzature (28,3%), un dato che riflette la forte necessità di infrastrutture fisiche. Nel complesso, il cluster “Salute” ha attivato 68 bandi a cascata, distribuendo 137,7 milioni di euro.
Equilibrio di genere nelle scienze della vita
Per quanto riguarda l’impatto degli investimenti PNRR sulla parità di genere nel campo della ricerca, le donne raggiungono il 46,8% dei nuovi reclutamenti.
In particolare, il cluster salute si distingue per l’alta presenza di donne tra i nuovi assunti: il 61% del personale neo-reclutato e il 52,1% di tutto il personale coinvolto.
Agli antipodi il cluster digitale, industria e aerospazio (legato a studi ingegneristici o fisici, di tradizionale predominanza maschile) dove si registra solo una percentuale del 37,7% di neoassunte sul totale e del 33,7% di personale femminile coinvolto.
Questa tendenza è confermata anche nell’analisi dei Progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (PRIN) gestiti dal ministero dell’Università e della Ricerca (MUR). Il settore Life Science ha mostrato l’evoluzione più marcata in termini di leadership femminile: la percentuale di donne Principal Investigator (PI) è passata dal 30% nel 2017 al 43% nel 2022, raggiungendo il 50% nei bandi PNRR 2022.
Dato, si legge nel rapporto, che indica una piena parità nelle ultime tornate, segnalando una forte presenza femminile tra le figure di leader dei progetti in ambito life science.
L’eccellenza scientifica
Sebbene le scienze della vita in Italia dimostrino una forte capacità di competere, come evidenziato dai bandi dell’European Research Council, permangono delle aree di criticità. La partecipazione italiana ai bandi ERC (che finanziano la ricerca individuale di frontiera, valutata sull’eccellenza scientifica) è solida, ma nel 2024, il macro-dominio scienze della vita risultava il meno rappresentato tra i tre macro-domini ERC in Italia, superato dalle scienze fisiche/ingegneria e dalle scienze umane/sociali.
In generale, l’analisi dei dati sui finanziamenti ERC ottenuti da ricercatrici e ricercatori italiani tra il 2014 e il 2024 offre un quadro del sistema nazionale della ricerca segnato da disuguaglianze territoriali e istituzionali. A livello internazionale, poi, emerge che l’Italia è tra i paesi europei con la maggiore capacità di attrarre finanziamenti ERC, soprattutto nelle fasi iniziali di carriera (starting e consolidator grant). Tuttavia, ci sono ancora criticità strutturali che limitano il pieno sfruttamento di questo potenziale: la precarietà delle carriere accademiche, la scarsa attrattività delle istituzioni per ricercatori e ricercatrici straniere e un supporto amministrativo e progettuale spesso insufficiente rispetto ai concorrenti europei.
Il divario brevettuale
Un elemento di preoccupazione riguarda la capacità dell’Italia di convertire questa eccellenza accademica in innovazione industriale. Considerando i brevetti, quali indicatori per mappare e misurare le prestazioni tecnologiche e comprendere dove si sta inventando e innovando, gli Stati Uniti restano il primo paese per numero assoluto di brevetti, ma è l’Asia – trainata dalla Cina – il continente che ha registrato l’aumento più significativo.
Il settore delle scienze della vita mostra un andamento eterogeneo: la tecnologia medica è in crescita costante e repentina, mentre il numero di brevetti nell’ambito delle biotecnologie e dei prodotti farmaceutici cresce, ma meno della media delle altre classi.
L’analisi dei brevetti depositati all’Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti (USPTO) nel periodo 2002-2022, indica che l’Italia è ancora fortemente specializzata in settori manifatturieri maturi, risultando in ritardo nelle tecnologie emergenti ad alta intensità di conoscenza, come biotech, digitale e IA.
«Tra le lezioni che possiamo sicuramente trarre dalla relazione spicca la necessità di aumentare l’integrazione tra ricerca e politiche pubbliche, anche al fine di sostenere e velocizzare l’innovazione e il trasferimento tecnologico» osserva Andrea Lenzi, presidente del CNR. L’analisi condotta, infatti, «evidenzia come il sistema universitario italiano continui a soffrire di vincoli demografici, finanziari e organizzativi che ne riducono la capacità di attrazione e di innovazione» puntualizza Salvatore Capasso, direttore del Dipartimento Scienze Umane e Sociali e Patrimonio Culturale del CNR.
La sfida della sostenibilità post-PNRR
Il report sottolinea che il successo degli investimenti PNRR non è garantito a lungo termine. Gran parte delle assunzioni di oltre 12mila nuovi ricercatori e ricercatrici sono a tempo determinato, e non sono state ancora previste misure strutturali per assicurarne la continuità occupazionale dopo la conclusione del PNRR nel 2026.
È fondamentale evitare che il capitale umano altamente qualificato, formato grazie ai fondi europei, sia costretto a cercare opportunità altrove. E, sebbene sia stato istituito un nuovo Fondo per sostenere Centri Nazionali e Partenariati in ambito sanitario e assistenziale per il biennio 2027-2028, è necessaria una strategia nazionale di lungo periodo che integri la ricerca pubblica con le politiche industriali.
L’istituzione del Fondo e un altro bando MUR per il sostegno di iniziative di rafforzamento delle filiere strategiche e per la messa in rete di forme di aggregazione tra i soggetti della ricerca, sembrano essere misure orientate a consentire di consolidare nel lungo periodo gli investimenti introdotti con il PNRR e la sostenibilità economico-finanziaria di alcune delle iniziative avviate grazie al PNRR e al Piano Nazionale per gli investimenti complementari.
Tuttavia, la relazione del CNR evidenzia che, in assenza di una visione strategica fondata su una politica industriale che dia continuità agli stimoli della Missione 4 del PNRR, è lecito dubitare della capacità autonoma del sistema territoriale di ricerca e innovazione di rigenerare le condizioni per uno sviluppo continuativo.
L’Italia deve affrontare la doppia sfida di rafforzare la formazione post-laurea e la domanda di competenze altamente specializzate da parte dell’industria nazionale, e di trasformare i risultati della ricerca di base (predominante nel cluster Salute) in applicazioni e brevetti che contribuiscano a un efficiente sistema innovativo nazionale.
In sintesi, dunque, se grazie al PNRR l’Italia è in “partita”, la vera sfida inizia ora, per garantire che i progressi ottenuti, specialmente nel settore della salute, non si traducano in un costo, ma in un duraturo vantaggio competitivo.
E proprio con questa prospettiva la relazione del CNR deve essere letta, chiarisce Capasso: «non solo come un bilancio periodico dello stato della ricerca, ma come una vera e propria base di conoscenza a supporto delle decisioni pubbliche, uno strumento di trasparenza verso i cittadini e uno stimolo per una riflessione collettiva sul futuro della ricerca italiana, chiamata a essere motore di progresso, innovazione e democrazia. Analisi di questo tipo sono essenziali per rafforzare la capacità del paese di affrontare le sfide globali, per indirizzare in modo efficace le politiche della ricerca e per consolidare la centralità della scienza come bene comune».
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