Le cooperative nel mondo godono di ottima salute e svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione di economie sostenibili, inclusive e resilienti: è quanto emerge dal 13° World Cooperative Monitor, presentato a Doha (Qatar) da International Cooperative Alliance (Ica) e realizzato in collaborazione con Euricse (Istituto europeo di ricerca sulle imprese cooperative sociali). Un’edizione speciale del Rapporto, presentata nell’ambito dell’Anno internazionale delle cooperative proclamato dalle Nazioni Unite.
Le cooperative nel mondo, un fatturato in crescita
A livello globale, il mondo delle cooperative e delle imprese mutualistiche è in crescita e si sta sempre più radicando e consolidando. Il rapporto prende in esame le Top 300 per fatturato e rapporto con il Pil pro capite, raccogliendo anche alcune storie d’impatto provenienti da diversi continenti e settori produttivi.

Bastano pochi numeri a dimostrare la vitalità di questo modello: il fatturato aggregato delle 300 maggiori cooperative e mutue del mondo ha infatti raggiunto 2.789 miliardi di dollari, in crescita rispetto ai 2.409 miliardi del 2021. I settori più rappresentati nella Top 300 sono assicurazioni (95 imprese), agricoltura (105) e commercio all’ingrosso e al dettaglio (54). In termini di incidenza sul fatturato globale, agricoltura (35,7%) e assicurazioni (31,7%) dominano la classifica, seguite dal commercio (18%).
Tra le organizzazioni leader per fatturato figurano Groupe Crédit Agricole (Francia), State Farm (USA) e REWE Group (Germania). Prendendo in considerazione il rapporto tra fatturato e Pil pro capite, ai primi posti nella classifica mondiale si collocano le cooperative indiane Amul e Iffco: segno evidente di quanto il modello cooperativo sia forte e fecondo soprattutto nelle economie emergenti. Se infatti la maggior parte delle Top 300 proviene da Europa e Americhe, va notato che la presenza di cooperative dell’area Asia-Pacifico e Africa è in costante crescita.
Come ha evidenziato Jeroen Douglas, direttore generale dell’Ica, «il Monitor di quest’anno mostra che le cooperative non sono solo vitali per le economie locali, ma sono anche decisive nell’affrontare le grandi sfide global. La nostra nuova strategia 2026–2030, Practice, Promote, Protect, rafforza il nostro impegno per la sostenibilità, la giustizia sociale e la democrazia economica».
Grazie alla collaborazione con l’International Cooperative Entrepreneurship Think Tank (ICETT), il Cooperatives and Mutuals Leadership Circle (CM50) e Co-op News, il Rapporto di quest’anno include anche interviste a leader cooperativi di tutto il mondo. Queste storie raccontano come le cooperative affrontano sfide cruciali, dalla sicurezza alimentare al cambiamento climatico, dalla sanità all’istruzione, fino all’inclusione finanziaria.
«Il modello cooperativo continua a distinguersi come un approccio centrato sulle persone allo sviluppo economico», ha dichiarato Gianluca Salvatori, segretario generale di Euricse. «In un’epoca di transizione ecologica e digitale, le cooperative mostrano che è possibile innovare senza rinunciare a equità, inclusione e governance democratica. Il loro contributo non è solo socialmente rilevante, ma strategicamente essenziale per un’economia sostenibile».
Le cooperative in Italia
Nella Top 300 mondiale sono presenti anche sette cooperative italiane. Due di queste appartengono al settore del commercio: Conad (27a al mondo, con un fatturato di 21,63 miliardi di dollari e 77.820 dipendenti) e Coop Italia (32a con 17,73 miliardi di dollari e 59mila dipendenti). Per i settore industria e servizi, l’Italia è presente nella Top 300 con Sacmi Imola, 5ª nel mondo nel comparto industriale, con 2,20 miliardi di dollari di fatturato e 5.200 lavoratori. Per quanto riguarda il settore finanziario e assicurativo, nella classifica ci sono le italiane Gruppo Bancario cooperativo Iccrea e Gruppo Unipol.
L’Italia conferma poi una presenza ampia e consolidata nel comparto dei servizi, con quattro cooperative presenti nella Top 300 mondiale: rispettivamente Manutencoop (4ª nel mondo, con 1,28 miliardi di dollari e 25.723 dipendenti), Coopservice (5ª, con 1,10 miliardi di dollari), F.A.I. Service (8ª, con 0,68 miliardi di dollari) e Cir Food S.C. (9ª, con 0,67 miliardi di dollari e 12.897 dipendenti).


Priorio sul ruolo che le cooperative svolgono in Italia e in particolare nell’ambito del welfare e dei servizi, VITA ha intervistato Gianluca Salvatori, segretario generale di Euricse.
Nel nostro Paese in particolare, quali sono i punti di forza del modello cooperativo?
In Italia, il modello cooperativo è radicato come in pochi altri paesi del mondo. Soprattutto, è presente in molti settori diversi, in cui mette alla prova la propria capacità di unire dimensione economica e dimensione sociale. Il World Cooperative Monitor – un progetto che realizziamo dal 2012 per conto della International Cooperative Alliance, con lo scopo di mostrare come la forma cooperativa non ponga ostacoli alla crescita dimensionale – mostra che nel nostro paese ci sono diverse realtà cooperative di rilevanza globale, incluse nella lista delle prime 300 al mondo.
E – allargando lo sguardo – proprio il Monitor mostra che tra il 2017 e il 2023, nonostante pandemia, crisi energetiche e tensioni geopolitiche, il loro fatturato aggregato è cresciuto in modo costante, a dimostrazione della resilienza di questo modello anche nei momenti più difficili. Una osservazione che varrebbe la pena di approfondire ulteriormente, visto che il Monitor nasce in occasione del primo anno internazionale delle cooperative, quando le Nazioni Unite erano mosse dalla volontà di promuovere modelli di sviluppo alternativi a quelli che avevano condotto alla grande Recessione del 2008. E, di nuovo, il secondo anno internazionale delle cooperative si è celebrato nel 2025, all’indomani di un’altra serie di crisi che hanno scosso il mondo.
Ma per tornare alla realtà italiana, il fatto di essere così composita, in quanto fa convivere taglie diverse e non è concentrata in un solo settore (come invece avviene in altri paesi in cui, ad esempio, è la cooperazione agricola o quella di credito a fare la parte del leone), è una caratteristica che viene riconosciuta anche da chi ci osserva dall’esterno, unitamente ad una speciale capacità di innovare modelli.
La cooperazione sociale o la cooperazione di comunità sono casi di studio che individuano nel sistema cooperativo italiano una peculiare reattività alle sfide nuove, cui consegue la capacità di introdurre rilevanti innovazioni organizzative e istituzionali. Non a caso si tratta di esperienze che sono state spesso studiate e importate, con adattamenti, anche in altri contesti nazionali.
Un altro aspetto che colpisce gli osservatori internazionali quando guardano alla realtà cooperativa italiana è la diversità territoriale, che si traduce in origini, background, storie differenti in funzione dei luoghi. Non c’è probabilmente nessun altro paese con la stessa varietà. E questa si traduce in un pluralismo di soluzioni e casi che spesso alimenta una virtuosa apertura alla sperimentazione.
Quali invece i nodi da sciogliere o gli aspetti da migliorare?
Lo stesso pluralismo di cui ho detto sopra, agli occhi di chi ci osserva dall’esterno a volte appare come un incomprensibile frammentazione, che riduce di molto l’impatto che la cooperazione italiana potrebbe avere sulle dinamiche associative, in particolare a livello internazionale. Quel pluralismo che in alcuni casi funziona in maniera virtuosa, in altri casi mostra il suo volto negativo, dagli effetti bloccante e autolesionistico.
Paesi meno rappresentativi del mondo cooperativo, ma capaci di maggiore coordinamento tra le diverse componenti, finiscono talvolta per risultare più influenti proprio perché privilegiano la voce comune sulla rivendicazione identitaria delle diversità dei singoli settori o delle singole famiglie di provenienza.
Oltre a questo aspetto, il costo della frammentazione si fa sentire anche quando dalla fase sperimentale si cerca di passare a quella della applicazione estensiva di un’innovazione. Oppure impone un prezzo che rende complicati, se non impossibili, i progetti di sistema. Tema questo al quale siamo particolarmente sensibili in Euricse, specie quando vediamo come in altri contesti le iniziative di formazione o i progetti di ricerca vengano più facilmente promossi in nome di una convergenza di sistema, che fa riconoscere la necessità di azioni condivise.
In che misura e con quali limiti le cooperative italiane contribuiscono a creare posti di lavoro?
I dati ai quali fare riferimento li abbiamo presentati nel rapporto “La cooperazione in Italia”, in cui si mostra come la presenza cooperativa sia dal punto di vista occupazionale numericamente importante nonché diffusa e vitale in quasi tutti i settori economici del nostro paese: credito, assicurazioni, agricoltura, consumo e servizi. In tutti questi ambiti sono presenti imprese solide, che creano e mantengono nel tempo dei posti di lavoro di qualità.
L’aspetto che va soprattutto sottolineato è che l’impresa cooperativa, per la sua natura, tende a promuovere lavoro stabile e radicato nei territori. Nei cicli di crisi privilegia la salvaguardia degli interessi dei lavoratori, a differenza delle imprese di capitale che sono vincolate a porre in primo piano gli interessi degli investitori. La centralità della persona è un elemento fondante che si riflette anche sulla condizione di chi in cooperativa lavora, spesso con una combinazione di motivazioni più articolata rispetto alla sola retribuzione salariale.
Ciò nondimeno anche le cooperative sono investite dalle trasformazioni profondissime che investono il mondo del lavoro. Le competenze richieste sono sempre più evolute, i profili professionali specializzati, i ruoli devono essere riconsiderati in funzione dell’ingresso di tecnologie di sostituzione del lavoro umano. Anche per la cooperazione quindi il tema del lavoro non si può dare per scontato, così come le soluzioni che fino ad ora hanno permesso di trovare un bilanciamento tra i diversi fattori che fanno scegliere di lavorare in un’organizzazione cooperativa. L’equilibrio tra reddito, inclusione, partecipazione e dignità non si può dare acquisito una volta per tutte.
Nel settore dei servizi (anziani, infanzia, disabilità) le cooperative svolgono in Italia una funzione primaria e secondo alcuni insostituibile. È così?
In molti ambiti le cooperative sociali rappresentano la principale infrastruttura del welfare di prossimità. Offrono servizi che lo Stato o il mercato non sarebbero in grado di garantire con la stessa continuità, flessibilità e capacità di risposta ai bisogni che emergono dalla realtà vissuta. È un sistema che è cresciuto e si è istituzionalizzato, pagando anche dei prezzi per questo. Infatti, nel rispondere in modo continuativo e affidabile a bisogni reali per un lungo periodo ha dovuto ancorare la propria sostenibilità economica al trasferimento di risorse dal settore pubblico, in un rapporto che in qualche caso ha generato una dipendenza che si è tradotta in perdita di visione innovativa.
E quando le risorse hanno cominciato a scarseggiare, e gli appalti al massimo ribasso hanno manifestato i loro effetti corrosivi, il contraccolpo in più di un caso ha spostato il settore verso logiche di mercatizzazione che hanno dato luogo a modelli di azione non sempre in sintonia con la missione originaria. Su questo, abbiamo appena pubblicato una rilevante ricerca sugli effetti della mercatizzazione dei servizi sociali in Italia, ovvero sullo spostamento delle cooperative sociali dalla tradizionale fornitura di servizi su committenza pubblica verso la vendita diretta ai privati. Pertanto oggi, avendo ormai chiare entrambe queste tendenze ed i loro limiti, occorre impegnarsi a trovare nuove forme di equilibrio, in cui la sostenibilità economica non sacrifichi la missione sociale e il rapporto con il pubblico non avvenga in termini di dipendenza strumentale.
Quali misure e strumenti potrebbero rendere più vitale e solido il mondo della cooperazione in Italia?
In generale – e ciò vale per l’Italia come per le cooperative degli altri paesi – di questi tempi ho l’impressione che serva soprattutto lo sviluppo di una capacità di visione ampia e profonda. Non basta più procedere come si è sempre fatto: la portata delle questioni in gioco richiede di sviluppare soluzioni più ambiziose, connesse, innovative.
Prima ancora che di misure e strumenti, occorre concentrarsi sulla generazione di idee all’altezza di tempi rischiosi e incerti. C’è un tema di pensiero, che andrebbe affilato per vivere le trasformazioni in atto senza subirle. Su questo piano – ma la cooperazione italiana in ciò non è diversa da quella mondiale – si sconta un lungo periodo in cui la cultura cooperativa si è adattata ad una condizione di minorità. È prevalso un atteggiamento di rinuncia intellettuale, originato dal fatto che il modello cooperativo è stato a lungo marginalizzato dai luoghi in cui si è prodotta conoscenza e si sono decisi gli indirizzi della formazione delle future generazioni.
A questo occorre reagire, tanto più ora che le categorie di pensiero economico prevalse per decenni dimostrano la loro fragilità, se non proprio l’impotenza di fronte ai nuovi scenari. Accanto alla dimensione economica deve crescere la dimensione culturale, troppo a lungo trascurata o limitata alla rivisitazione storica delle origini e dei fondamenti valoriali. La partita oggi richiede di essere presenti sul piano delle idee, e non solo delle attività economiche. Ed in ciò il mondo cooperativo, prima di chiedere strumenti o risorse ai decisori politici, deve attivarsi in autonomia, perché può farlo. Deve dimostrare di comprendere fino in fondo la priorità di questo impegno. È uno spazio di intervento in cui può muoversi senza ostacoli, purché scelga di farlo anziché fare affidamento sul business as usual.
Foto apertura Committee on the Promotion and Advancement of Cooperatives
Foto interna International Cooperative Alliance
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