Circa 10mila nuovi casi di cancro ogni anno in Italia sono dovuti al consumo di alcol, e il 45% per dosi definite moderate. L’alcol incide sulla ricchezza, sul tessuto economico e sociale del paese. Le evidenze scientifiche sono schiaccianti, le misure efficaci esistono ma le pressioni sono forti. Ne abbiamo parlato con Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcol, che dice: «è la lotta tra Davide e Golia, ma ora basta con la normalizzazione del consumo di una bevanda tossica e cancerogena»
«Alcol, il diritto di sapere» è stato il fortunato slogan di una campagna lanciata in occasione della Settimana europea di sensibilizzazione sui danni alcolcorrelati. In Italia, questo diritto non c’è, per colpa dell’inerzia e dei conflitti di interesse, nonostante le evidenze scientifiche inequivocabili del costo in termini di vite umane e di denaro dovuto al consumo di bevande alcoliche. «Il diritto di sapere è oggettivamente ostacolato, lo ha denunciato anche l’Oms e mancano le necessarie campagne incisive di prevenzione, come la rigorosa applicazione delle norme esistenti di controllo, in media sono state svolte solo timide iniziative di comunicazione, mai realmente incisive» dice Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcol, il centro di riferimento formale e ufficiale dell’Istituto superiore di sanità per la ricerca, la prevenzione e la formazione in materia di alcol e problematiche alcol-correlate. Da decenni, Scafato è in prima fila, si occupa della raccolta e sistematizzazione delle evidenze scientifiche utili per i decisori politici che si interessano di prevenzione e regolamentazione e che stabiliscono le politiche di salute pubblica.
Parole ingannevoli
Se si guarda agli ultimi trent’anni, osserva Scafato, la promozione di certi messaggi ha riguardato una «nicchia piuttosto ristretta, spesso contrastati da fake news come quelle che accompagnano la sollecitazione a bere moderatamente o bere consapevole». Contro l’uso di qualificazioni o aggettivi fuorvianti quali, appunto, del consumo “dannoso”, “eccesivo” o “responsabile” si sono espressi già due anni fa l’Oms e l’ Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro Iarc con una dichiarazione congiunta al Parlamento europeo. Il rischio è di trasmettere messaggi fuorvianti di falsa sicurezza: il rischio zero non esiste.
Evitare il consumo
Non esiste una soglia sicura, non c’è una dose minima di alcol che non faccia male. Tanto che anche la quinta revisione del Codice europeo contro il cancro ha modificato la raccomandazione di limitare il consumo che è stata aggiornata a “evita le bevande alcoliche”. «Indurre a ritenere che esista una quantità minima sicura espone nei fatti il consumatore a rischi di serie conseguenze per la salute che non esisterebbero se le decisioni fossero basate su scelte informate, come richiedono le direttive europee» spiega Scafato. Lo Iarc stima che in Italia 10.000 nuovi casi di cancro ogni anno siano dovuti al consumo di alcol e, di questi, all’incirca il 45% per quantità inferiori ai 20 grammi, che sono un bicchiere e mezzo di vino, o quantità equivalente di qualunque alcolico, un consumo definito quindi moderato ma assolutamente a rischio, tanto da provocare un aumento del 27% del rischio di tumore al seno nella donna e del 21% di tumore al colon-retto nell’uomo. «Quindi, come si come si può consigliare “consuma responsabilmente” o affermare, contro l’evidenza scientifica, che “un consumo moderato fa bene al cuore”?» chiede Scafato. «Ricordo che lo scorso giugno l’America Heart Association è intervenuta sui presunti benefici delle bevande alcoliche, con una dichiarazione sulla sua rivista Circulation dove si afferma che l’unica quantità di alcol che fa bene al cuore è zero, evidenza confermata dalla Società Europea dei Cardiologi».
Forse non sai che
Oltre alle malattie, l’alcol porta a esacerbazione dei fenomeni violenti e delle diseguaglianze sociali. Sono questi gli effetti collaterali meno noti del consumo di bevande alcoliche, che non si limitano ai danni al fegato come cirrosi e cancro. L’alcol causa diversi tipi di cancro, almeno sette, aumenta il rischio di depressione, ansia, sbalzi d’umore e disturbi del sonno, è neurotossico quindi danneggia il sistema nervoso centrale, porta all’atrofia cerebrale e causa malattie cardiovascolari. È la causa di un decesso su quattro, il 25%, nella fascia d’età 20-24 anni; di uno su 11 per tutte le fasce d’età.
Relazioni pericolose
La scarsa conoscenza delle schiaccianti evidenze scientifiche e una bassa alfabetizzazione sanitaria, la cosiddetta health literacy, che non stupisce in un paese dove il 35% degli adulti è analfabeta funzionale, rafforzano la cultura popolare del bere. Che non trova ostacoli neppure negli ambiti di salute, tra gli specialisti: «Normalmente un medico dovrebbe chiedere al proprio paziente se consuma bevande alcoliche, così come domanda dell’abitudine al tabagismo. Eppure, solo il 30% dei medici lo fa». E l’ignoranza delle evidenze degli specialisti si propaga alle e associazioni di pazienti che non percepiscono il problema: dalla vendita di bottiglie di vino per la raccolta fondi di Aisla nella Giornata nazionale sulla sla all’asta benefica di vini pregiati «Wine for Parkinson» di Fondazione Limpe per il Parkinson, solo per citare alcuni esempi. Un altro ambito dove l’alcol si insinua è lo sport, dove i principali sponsor alcolici sono marchi di birra. Heineken sponsor della Champions League, la Guinness della Premiere League e la belga AB inbev, uno dei maggiori produttori mondiali di birra, e i Giochi Olimpici, inclusi gli invernali Milano Cortina. La chiave scelta da Ab Inbev per la comunicazione è proprio quella del consumo responsabile. «Chiaramente è puro marketing» taglia corto Scafato «Sport e alcol è un binomio impossibile, ma “bevi responsabilmente” è il messaggio che la gente vuole sentirsi dire, così come “gioca responsabilmente” quando parliamo d’azzardo, altra piaga che accompagna il consumo a rischio». Così, si cerca come si può di contrastare gli effetti sui consumi, sempre più spesso minorili e giovanili, degli accordi miliardari tra club e aziende e di investimenti mirati in pubblicità tesi a lanciare mode e stabilire cosa sia cool e fashion. Ad esempio con l’iniziativa “Scegliamo da Campioni“, campagna di educazione alimentare e promozione della salute lanciata dalla Lega Nazionale Dilettanti (LND) in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e l’Osservatorio Nazionale Alcol, che esplicitamente richiama nel merito «L’alcol è fuorigioco»,
Consumo in crescita
Tra le conseguenze, c’è un’impennata dei grafici di consumo. «È stato fatto il punto sull’avanzamento relativo al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu Agenda 2023» racconta Scafato. «Entro il 2025, avremmo dovuto diminuire del 10% il consumo medio pro-capite. Non solo gran parte delle Nazioni questo obiettivo non l’ha raggiunto. Addirittura, l’Italia è in controtendenza con un amento del binge drinking, del consumo medio pro capite, della mortalità, perché non c’è stata un’adeguata politica di prevenzione». Eppure, in Italia, i consumatori a rischio sono 8 milioni tra i quali 1 milione e 350mila giovani di cui la metà sono minori, 2 milioni e mezzo di donne, 2 milioni e 550mila anziani; 3 milioni e 700mila sono binge-drinkers, consumatori che bevono per ubriacarsi, con valori massimi registrati tra i 18-24enni (624mila) e l’alcol resta la prima causa di morte trai giovani in Italia.
L’industria non è un interlocutore in materia di salute pubblica
L’interferenza dell’industria è schiacciante. Dice Scafato: «Nella produzione di politiche di salute pubblica, e questo l’ha denunciato proprio l’Oms, l’industria non può essere per questo considerato un partner». Come recita la terza raccomandazione Awareness Week on Alcohol Related Harm organizzata da Eurocare European Alcohol Policy Alliance, «esiste un conflitto tra gli interessi dell’industria degli alcolici e gli interessi delle politiche di salute pubblica. L’industria degli alcolici non può essere un interlocutore quando si tratta di salute pubblica».
Nella produzione di politiche di salute pubblica, e questo l’ha denunciato proprio l’Oms, l’industria non può essere considerata un partner
L’alcol impoverisce il paese
La realtà va ben oltre la cultura, le tradizioni e la retorica del calice made in Italy ed entra in profondità nelle casse dello stato. «Dal rapporto emerge anche che l’alcol ha interferito non solo con il terzo Obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Onu ma ha influenzato anche gli altri, non di salute, ma proprio quelli di sviluppo, quindi economici: parliamo di un grave danno economico per tutti» dice Scafato. «L’industria dell’alcol, stando alle cifre e alle stime Ocse, produce una ricchezza viziata da rilevanti costi sociali e sanitari che costano una ”tassa” di 23 euro per anno ad ogni italiano. Il consumo di bevande alcoliche determina un impatto economico tale da incidere sul prodotto interno lordo. Nel 2010, i costi sociali e sanitari superavano i 25 miliardi di euro l’anno. Le nuove stime calcolate in Francia parlano di 118 miliardi l’anno. Questo significa che l’alcol incide sulla ricchezza, sul tessuto economico e sociale del paese. Bisogna avviare una riflessione su questo».
Etichettatura
L’Oms raccomanda ai paesi di assicurarsi che l’ambiente del consumatore sostenga le scelte sane attraverso la politica dei prezzi, informazioni trasparenti e chiara etichettatura. «Nell’etichettatura a funzionare è la maggior neutralità possibile» spiega Scafato. «Si è visto ad esempio che le informazioni sulle calorie arrivano a dimezzare il consumo. Grande efficacia ha anche il riferimento alle linee guida nutrizionali».
Tassazione e altre misure
Che fare? Gli approcci sono tre, si parte da quello economico di tassazione e politiche dei prezzi per ridurre l’accessibilità economica. «La politica dei prezzi e politica di tassazione sono sicuramente gli elementi più efficaci per quanto riguarda l’efficacia sulla riduzione del consumo di alcol» commenta Scafato. «In Scozia, con l’introduzione del minimum price si è ridotta la mortalità e gli accessi ospedalieri fin dal primo anno». C’è poi l’intervento regolatorio sull’accesso ai prodotti, limitandone la disponibilità attraverso restrizioni sui luoghi, regolamentazione della densità dei punti vendita, gli orari e i giorni di vendita. «Quindi, lavorare sulla convenienza e disponibilità, le cosiddette affordability e availability» commenta Scafato. «Ma più di tutto bisognerebbe andare a garantire l’applicazione e la rigorosità delle sanzioni». Infine, sul marketing per ridurre il consumo. Un quarto aspetto, di grande efficacia, è l’identificazione precoce e l’intervento breve per arginare i consumi a rischio, che sono quelli che poi generano la maggior parte del ricorso alle prestazioni sanitarie.
La parola ai dati
«Niente esonera l’ignoranza, tanto più che abbiamo messo a disposizione le evidenze sulle quali basarsi per le politiche di salute pubblica sull’“Alcohol policy playbook”, un vero e proprio manuale affinché le politiche implementate ignorino l’influenza e l’interferenza del settore della produzione, dell’industria, delle lobbie. Siamo consapevoli che è la lotta tra Davide e Golia, tuttavia» spiega Scafato «l’approccio di ogni pratica deve essere quello basato sulle evidenze. Basta con la normalizzazione del consumo di una bevanda che è tossica, psicotropa, cancerogena, anti-nutriente e calorica, esclusa dalla piramide nutrizionale e dai Larn, oltre che marginalizzata dalla stessa dieta mediterranea. È necessario un maggior impegno nel trasferimento delle conoscenze alle politiche e ai cittadini, con campagne mirate, diversificate per genere e per età sulla base del target da raggiungere, e iniziative che sostengano l’alleanza strategica tra famiglie, scuole e istituzioni. I 39mila accessi l’anno in pronto soccorso per intossicazione alcolica di cui il 10% under 14 sono il fallimento della nostra società, della famiglia, delle istituzioni».
Non se ma quando
Quando anche dell’alcol si avrà la stessa consapevolezza che oggi riguarda il tabagismo? «Difficile ipotizzare il momento» conclude Scafato, «se dovessimo basarci sull’esperienza del fumo, forse si potrebbe assistere, in analogia alle dinamiche che hanno portato alle richieste di risarcimenti miliardari per i danni alla salute causati dall’omissione di comunicazione del rischio cancro, a iniziative come quelle che hanno mosso le class action delle vittime del tabacco, un ipotesi non implausibile considerata l’evidenza scientifica disponibile». Forse, ipotizza Scafato, «quando anche qui inizieremo a vedere i risarcimenti miliardari che hanno mosso le class action delle vittime del tabacco». Non solo. La regolamentazione internazionale sul fumo è affidata alla Convenzione quadro per il controllo del tabacco Fctc, il primo trattato sanitario globale promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità Oms, che sta lavorando ora a una Convenzione sull’alcol.
Foto di Emanuele Scafato
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