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Torino città di supericchi? Le boutique del risparmio a caccia di miliardi (e le banche chiudono) – Torino Cronaca


Ci sono oltre 260 miliardi “nascosti” nelle casseforti dei torinesi: in mercato di possibili investimenti che ora sta attirando le attenzioni del mercato dei private banker. Una grande attrazione, quella di Torino, dove si calcola che abbia sede il 12% dei family office italiani, per un valore di mercato di mille miliardi, mentre in Piemonte si conta il 10% circa del patrimonio finanziario italiano. 

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La dimostrazione di questo interesse arriva con l’inaugurazione, pochi giorni fa in corso Vittorio Emanuele II, idi Mediobanca Premier, la banca del gruppo di Piazzetta Cuccia specializzata in wealth management, che in Italia può contare su 700 banker con portafogli molto elevati. È l’ennesimo segnale di una mappa finanziaria che si ridisegna: sempre meno sportelli per le famiglie, sempre più boutique del credito a caccia dei grandi patrimoni. È un paradosso? O l’inevitabile risposta di un’industria bancaria che insegue la redditività dove il risparmio si concentra?

UN’ONDATA DI APERTURE TRA PO E MOLE
L’arrivo di Mediobanca Premier è solo l’ultimo tassello di una stagione intensa. Quest’estate Fideuram ha inaugurato la nuova sede in piazza Castello: 182 banker e 7,3 miliardi in gestione in Piemonte, una massa critica che racconta da sola la scommessa sul territorio. Prima ancora, a maggio, Banca Mediolanum ha lanciato alla convention di Torino l’ecosistema “Grandi Patrimoni” per i clienti top. Nel frattempo, Credem ha aperto una sede all’interno di Villa Frassati, Banca Patrimoni Sella ha acquisito Banca Galileo per espandersi nel private banking, Banca del Piemonte si è rafforzata nel comparto, ed Ersel — storico player della famiglia Giubergia — resta ben radicata con oltre 20 miliardi di asset. Se si cerca il barometro del private banking in Italia, Torino è la città dove osservare le lancette.

IL TESORO PIEMONTESE IN NUMERI
Perché tanta attenzione? Perché il Piemonte è una “gallina dalle uova d’oro” per i private banker, come suggeriscono le stime dell’Associazione italiana private banking (AIPB). Nelle casseforti delle famiglie e delle imprese piemontesi ci sono 120 miliardi di depositi bancari e altri 145 miliardi “investiti” in attività finanziarie, tra titoli di Stato e azioni. In ballo, per le sole famiglie più benestanti, c’è un mercato potenziale da oltre 100 miliardi. E i super ricchi in regione detengono il 10% del patrimonio finanziario italiano, immobili esclusi: un dato che fotografa una concentrazione di ricchezza rara, soprattutto in una fase in cui gli investimenti in attività reali rallentano. Lo confermano anche il Centro studi Tagliacarne e Unioncamere: un quarto dei soldi messi nel salvadanaio dagli italiani è custodito tra Milano (11,55%), Roma (7,50%) e Torino (5,52%). E la propensione al risparmio delle famiglie — quota di reddito disponibile accantonata — in Piemonte batte la media nazionale (8,27%) in diversi territori: Biella 15,51%, Asti 13,64%, Vercelli 13,62%. Tradotto: in regione si investe poco nell’immediato, ma si risparmia moltissimo. Per chi offre consulenza e gestione, è una miniera.

FAMILY OFFICE E MASSA CRITICA
Il Piemonte non primeggia solo per risparmio. Nel “paradiso dei ricchissimi” è in vetta anche per infrastrutture dedicate: ospita il 12% dei family office italiani, circa 25 strutture, parte di un ecosistema che complessivamente gestisce mille miliardi di euro, in aumento del 10,4% rispetto a giugno 2024. E sul fronte degli operatori, la fotografia è chiara: in Italia il private banking amministra 1.317 miliardi di masse; in Piemonte si contano circa 178 filiali tra uffici “private” e family office, quarta regione per presenza dopo Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Per i gruppi bancari, posizionarsi qui significa presidiare uno snodo strategico di raccolta e relazione.

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LA FRATTURA DEGLI SPORTELLI: QUANDO LA RICCHEZZA NON È PER TUTTI
C’è però l’altra faccia della medaglia. Il Piemonte è maglia nera italiana per sportelli di prossimità: due comuni su tre sono rimasti senza banca. La progressiva chiusura nei piccoli centri — soprattutto in montagna — coinvolge ormai 651 mila persone e 46 mila imprese che vivono in luoghi privi di qualsiasi istituto di credito. Mentre nel centro di Torino si moltiplicano gli spazi eleganti per il wealth management, vaste aree del territorio diventano deserti bancari. È sostenibile questo dualismo? Cosa significa per l’inclusione finanziaria, per l’accesso al credito delle Pmi, per l’educazione finanziaria delle famiglie? Il rischio è di stratificare il sistema: consulenza sofisticata per chi ha masse rilevanti, autostrade digitali per chi è bancabile e connesso, e margini sempre più stretti per chi resta ai bordi — anziani, aree interne, microimprese. Un paradosso ancora più evidente se si considera la forza del risparmio locale: la liquidità c’è, ma la rete di prossimità arretra.

PERCHÉ IL PRIVATE BANKING CORRE
Le ragioni industriali sono chiare. La gestione dei grandi patrimoni assicura margini ricorrenti, minore assorbimento di capitale e una relazione consulenziale che intercetta non solo i portafogli finanziari ma anche i bisogni di pianificazione: passaggi generazionali, governance familiare, fiscalità, filantropia. È qui che Mediobanca Premier mette il suo marchio, con i 700 banker del gruppo di Piazzetta Cuccia; è qui che Fideuram ha rafforzato la presenza con i suoi 182 professionisti e 7,3 miliardi in Piemonte; è qui che soggetti come Ersel, Banca Patrimoni Sella (dopo l’acquisizione di Banca Galileo), Credem a Villa Frassati e Banca del Piemonte giocano la partita di casa, capitalizzando relazioni storiche con l’imprenditoria locale. Per le famiglie benestanti, l’equazione è diversa rispetto alla filiale tradizionale: non sportelli, ma consulenza; non operatività di cassa, ma architetture di portafoglio. In un contesto in cui i risparmi sono sovente fermi tra depositi e titoli di Stato, la sfida dei banker è trasformare la liquidità in strategie diversificate, calibrate sul profilo di rischio e sugli obiettivi di lungo termine.

LA DOMANDA CHIAVE: COME TRASFORMARE RISPARMIO IN SVILUPPO
Resta aperta una questione che a Torino — e in tutto il Piemonte — suona come una sfida civile oltre che economica. Se la regione concentra ricchezza finanziaria e propensione al risparmio elevate, ma rallentano gli investimenti in attività reali, come si può favorire il passaggio dal salvadanaio al capitale paziente per imprese e territorio? La spinta del private banking potrebbe essere un ponte: strumenti di investimento che convogliano risorse verso economia produttiva, infrastrutture e filiere innovative, mantenendo una gestione professionale del rischio. Ma senza dimenticare che la crescita diffusa ha bisogno anche di prossimità: educazione finanziaria, consulenza di base, accesso al credito per chi opera lontano dai salotti buoni della città. Il 14 ottobre 2025 questa tensione è più visibile che mai nel capoluogo piemontese: da un lato la caccia ai “100 miliardi” dei super ricchi, dall’altro le serrande abbassate delle filiali nei piccoli comuni. La finanza, come un fiume, scorre dove trova gli argini più convenienti; la politica economica e l’industria bancaria hanno il compito di ridisegnare il letto perché l’acqua non allaghi alcuni e lasci altri all’asciutto. In questo equilibrio, anche il dato di giugno 2024 sull’aumento delle masse dei family office è un faro: la ricchezza cresce, ma la domanda è a chi serve e come viene mobilitata. Tra i caffè del centro e le valli senza sportelli, Torino è oggi un laboratorio delle nuove geografie del denaro. Le boutique del risparmio hanno trovato casa; ora tocca al sistema trovare una rotta che trasformi quel risparmio in opportunità per l’intera comunità, senza lasciare indietro nessuno.



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