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la sfida dell’ibridazione • Secondo Welfare


La Legge 206/2023 ha introdotto le Imprese Culturali e Creative (ICC) come driver strategici che operano nella produzione di beni e servizi culturali. Anche i soggetti del Terzo Settore possono acquisire la qualifica di ICC prevista dalla normativa sul Made in Italy, compatibile con lo status giuridico e l’iscrizione al RUNTS.

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L’Impresa Sociale, grazie alla sua matrice ibrida, è il soggetto idoneo a unire finalità culturale (valorizzazione del patrimonio) e missione sociale (interesse generale).

Dal 30 settembre 2025, le imprese sociali potranno iscriversi come ICC, accedendo ad una serie di opportunità del Piano Strategico ICC: crediti d’imposta per investimenti in beni strumentali, formazione e promozione; priorità nei bandi PNRR di rigenerazione culturale e accesso al Fondo ICC 2021–2027 per progetti innovativi culturali e digitali. Di seguito proponiamo alcune riflessioni sul questa

ICC e impresa sociale: implicazioni strategiche e sistemiche

L’adozione di questo status ibrido espone l’Impresa Sociale ad “implicazioni strategiche e sistemiche da presidiare per garantire la coerenza tra i due regimi (ETS e ICC)”.

Ciò impone il presidio di una duplice frontiera – istituzionale e gestionale – per evitare che la qualifica ICC snaturi la missione sociale. Le principali criticità di compliance risiedono nel rigoroso presidio della coerenza interna. Anzitutto la compatibilità istituzionale: è necessario gestire la coesistenza formale tra ETS e ICC, assicurando che l’attività culturale resti strutturalmente sussidiaria alla missione sociale prevalente. Inoltre, è necessario considerare il divieto di distribuzione degli utili e il doppio regime di vigilanza, che impone una trasparenza radicale per dimostrare che la spinta del mercato non eroda la missione civico-sociale.

Altro nodo cruciale riguarda l’obbligo di dimostrare la prevalenza sostanziale della dimensione culturale (fissata al 70% di entrate o costi). Questo requisito richiede una contabilità analitica e una rigorosa delimitazione statutaria, essenziale per evitare che l’ente miri unicamente ai benefici fiscali.

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Misurare e monetizzare in modo stringente le attività comporta il rischio di trasformare l’Impresa Sociale “in un mero gestore efficiente, sacrificando la sua vocazione generativa e l’impatto civico”.

La sfida è dunque utilizzare l’obbligo di misurazione non come un vincolo, ma come uno stimolo all’accountability strategica, garantendo che l’efficienza d’impresa resti sempre strumentale e subordinata all’impatto civico-culturale.

Le sfide del modello ibrido

Stiamo assistendo all’evoluzione del welfare verso nuovi sistemi locali basati sul social investment e sull’’innovazione sociale con termini differenti (welfare mix, welfare di prossimità e welfare culturale) che tuttavia presentano caratteristiche comuni “per il tipo di interazione tra soggetti, per l’assunzione di pratiche improntate alla solidarietà”.

La cultura può assumere un ruolo generativo, posizionandosi come una vera e propria infrastruttura civica che abilita l’azione collettiva e rinforza il capitale sociale territoriale: come sostiene Flaviano Zandonai, la cultura ha la capacità di trasformare i “beneficiari passivi in cittadini attivi” e di convertire i luoghi abbandonati in motori di partecipazione.

È in questa vision che le Imprese Sociali – con il mix tra i due regimi (ETS e ICC) – possono sviluppare un potenziale trasformativo su almeno su tre dimensioni tra loro correlate:

  1. Capacità generativa e resilienza economica. Permette all’Impresa Sociale di intercettare flussi economici market-based (grazie allo status ICC), sviluppando risorse proprie che riducono la dipendenza dei dispositivi civici territoriali dalla finanza pubblica. Ciò rafforza l’indipendenza e la resilienza, pur mantenendo il vincolo di destinazione degli utili e la finalità civica.
  2. Valore pubblico e rigenerazione Sistemica. L’Impresa Sociale può utilizzare l’attività creativa come strumento attivo di place-making, generando non solo inclusione e coesione, ma anche rigenerazione urbana e patrimoniale. Questo impatto sostanziale è al centro della capacità dell’ente di dimostrare un valore pubblico che va oltre la somma delle singole prestazioni, in quanto gli investimenti in cultura devono essere visti come “investimenti in capitale sociale e non in passivi operativi”.
  3. Laboratorio di sussidiarietà nel policy-mix Locale. Posiziona le Imprese Sociali non solo come fornitori di servizi, ma come attori chiave nella co-progettazione delle politiche pubbliche. Il doppio registro permette alle Imprese Sociali di diventare interlocutori qualificati per il settore pubblico, agendo come un vero e proprio laboratorio di sussidiarietà circolare.  Un contributo prezioso che contribuisce al ridisegno complessivo del sistema di welfare plurale, capace di “dispiegare un’autonoma capacità di innovazione che non si limita al servizio offerto, ma si estende al policy-making locale”[efn_note]Maino F. (2018), Il ruolo dell’Impresa Sociale nella governance dei sistemi di welfare locale, in Politiche Sociali, n. 3/2018, Il Mulino, p. 385.[/efn_note]

Prospettive di breve, medio e lungo termine

Il modello ibrido è ormai una realtà normativa, ma la sua effettiva tenuta sarà verificabile solo in relazione a due nodi critici legati al tempo e alla strategia.

A breve termine, l’attuazione è condizionata dall’azione politica. Sarà interessante osservare i tempi e i contenuti degli atti attuativi del Piano Strategico ICC, che attualmente sconta ancora un ritardo. Finché non sarà operativo il quadro normativo completo, la tensione istituzionale non potrà essere risolta: l’espansione nel mercato (stimolata dalla qualifica ICC) rischia di snaturare la vocazione civica dell’ente, lasciando in sospeso la verifica della sussidiarietà strutturale dell’attività culturale.

A medio-lungo termine, la verifica si sposterà sul piano strategico del Terzo Settore. La vera sfida, infatti, sarà interna: vedremo se la doppia iscrizione (RUNTS e Registro Imprese Culturali) spingerà le Imprese Sociali a superare la logica dell’adempimento burocratico. L’obbligo di dimostrare la prevalenza del 70% delle attività culturali dovrà stimolare l’adozione di una contabilità analitica che non sia un onere di compliance, ma un vero strumento di accountability strategica. Se questi elementi dovessero concretizzarsi, il modello potrà dispiegare pienamente il suo potenziale, affermando la cultura come una robusta infrastruttura civica al servizio del ridisegno del welfare di comunità.

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Foto di copertina: Carlos 312, Unsplash.com





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