Il fondatore dell’azienda tech per cento minuti sul palco per raccontare (e forse giustificare) i ciclopici investimenti: «È la trasformazione economica più imponente della storia mondiale»
LAS VEGAS — Il nuovo amministratore delegato, Mike Sicilia, fa sfilare sul palco i leader di grandi aziende che stanno integrando nei loro servizi l’intelligenza artificiale di Oracle. Dalle utility della produzione e distribuzione elettrica a Marriott, il maggiore operatore alberghiero del mondo, ad Avis, leader dell’autonoleggio, al biotech di Biofy: società brasiliana che, nelle sue ricerche su come combattere la resistenza degli anticorpi, riesce, grazie all’AI, a completare in 4 ore la sperimentazione su un batterio che fino a qualche tempo fa richiedeva 5 giorni di lavoro. Cosa che apre grandi prospettive per l’elaborazione di nuovi farmaci e vaccini.
Adesso tocca a Larry Ellison. L’81enne fondatore di Oracle, e tuttora suo capo delle tecnologie, si fa attendere più di un’ora. Poi parla, con straordinaria energia, per cento minuti: quasi il doppio del tempo previsto dal programma. Passa puntigliosamente in rassegna tutte le aree nelle quali la sua società, che si avvicina al mezzo secolo di vita, sta completando la sua trasformazione da fornitore di potenza computazionale e software alle imprese, a protagonista nel mondo dell’intelligenza artificiale con l’ambizione di creare un’infrastruttura cognitiva globale: una miriade di agenti autonomi tarati sulle necessità delle singole aziende, ma anche completi ecosistemi integrati come quelli offerti in campo sanitario.
Ellison insiste molto sulle tecnologie per la salute e presenta addirittura il prototipo di un’autoambulanza Oracle governata da un’intelligenza artificiale che riduce i rischi nel trasporto dei pazienti. «La produrremo?» si chiede. E si risponde: «Non lo so: se due anni fa qualcuno mi avesse detto che Oracle sarebbe diventato un produttore di energia, lo avrei invitato ad andare a dormire: hai bisogno di riposo, gli avrei detto. E, invece eccoci qui». Intanto sullo schermo scorrono le immagini del gigantesco data center che Oracle sta costruendo ad Abilene, in Texas, usando mezzo milione di microchip di Nvidia. Un impianto alimentato da turbine a gas e da altri fonti di energia elettrica sufficienti per coprire i consumi di una città di più di un milione di abitanti.
Dopo la sanità, l’agricoltura in serra con l’AI che consente di ridurre consumo di acqua, le nuove tecniche di assorbimento del CO2 e i droni per usi civili. Anche qui con l’ambizione di creare un ecosistema integrato, completo di sistema di controllo del traffico aereo.
Nelle sue parole l’orgoglio del fondatore che ha avviato la trasformazione di una “stagionata” azienda softwaristica in una protagonista dell’intelligenza artificiale. Più piccola dei giganti Microsoft, Google e Amazon, ma capace di unire l’infrastruttura cloud ai sistemi applicativi, gli agenti verticali specializzati per le imprese: settore nel quale le tre regine del cloud stanno ancora muovendo i primi passi.
Ma le parole di Ellison, possono essere interpretate anche in un’altra chiave: sottolineare la rilevanza della rivoluzione tecnologica, e conseguentemente industriale, in atto, per giustificare l’azzardo dei ciclopici investimenti che Oracle e gli altri gruppi di big tech stanno facendo nell’intelligenza artificiale. Nel caso dell’azienda di Ellison si tratta anche di giustificare l’impennata del valore borsistico dell’azienda (quasi 400 miliardi di dollari di capitalizzazione in più) seguiti all’annuncio del recente accordo con OpenAI che si è impegnata ad acquistare da Oracle potenza computazionale e servizi per 300 miliardi di dollari in 5 anni. La società di Sam Altman, apripista dell’AI, controlla le tecnologie più avanzate, ma fatica a trovare impieghi redditizi (anche nell’ultimo anno fiscale ha accumulato 5 miliardi di dollari di perdite).
OpenAI riuscirà a pagare 60 miliardi l’anno di servizi ad Oracle? Ed è saggio legare gran parte della propria attività a un’unica azienda? In un’intervista alla Cnbc l’altro amministratore delegato di Oracle, Clay Magouyrk, subentrato quale settimana fa a Safra Katz insieme a Sicilia, assicura che l’affare con OpenAI è sostenibile. Oracle, comunque, si prende un bel rischio entrando in un’operazione che accresce nell’immediato il suo valore borsistico, ma l’obbliga a indebitarsi (per decine di miliardi di dollari) per sostenere gli investimenti necessari per adeguare la potenza del suo cloud alle esigenze della società di Altman.
E allora si riaffaccia il timore di una bolla finanziaria che potrebbe scoppiare, come quella delle dot.com del 2000. Ellison non ci sta e taglia corto: «Stiamo vivendo la trasformazione economica più imponente e rapida della storia economica mondiale». Una rivoluzione che non può essere giudicata coi vecchi criteri. Sarà così? Dipenderà dalla rapidità con la quale si moltiplicherà il fatturato delle aziende che hanno scommesso sull’AI: l’unico modo per arrivare a generare i profitti su larga scala necessari per compensare l’onere per gli investimenti del mondo di big tech.
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