Nessuna cifra, nessuna risposta. Solo un’illustrazione delle linee guida della prossima legge di bilancio: dall’attenzione al ceto medio per rilanciare i consumi attraverso la riduzione di due punti percentuali della seconda aliquota irpef, alla proroga per il bonus mamma e il congedo parentale all’80%, alla conferma delle detrazioni sulle ristrutturazioni edilizie al 50% sulla prima casa e al 36% sugli altri immobili. E l’assicurazione di sostegni alle imprese dopo il Pnrr. All’incontro con le associazioni delle imprese di oggi a Palazzo Chigi, assente il presidente del Consiglio Giorgia Meloni perché volata a Sharm el Sheikh per essere presente alla firma dell’accordo sul cessate il fuoco a Gaza, il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti si sarebbe limitato ad ascoltare le proposte del mondo produttivo senza fornire risposte. Anzi, raccontano i partecipanti al tavolo, avrebbe scosso ripetutamente la testa ogni volta che veniva sollecitata una misura di spesa.
Con 16 miliardi di euro, è stato il ragionamento di Giorgetti, la coperta è corta e non si può correre il rischio di non scendere sotto il 3% del rapporto deficit/pil nel 2026, e quindi non uscire dalla procedura europea per deficit eccessivo. Da questo dipende la possibilità di accedere alla clausola di salvaguardia europea per le spese della Difesa. Dal canto suo, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, avrebbe ricordato che “la Germania è tecnicamente in recessione” quindi “di che parliamo?”.
Alla vigilia del Consiglio dei Ministri per il varo del Documento programmatico di bilancio con le cifre della manovra e la descrizione degli interventi, che va inviato a Bruxelles entro il 15 ottobre, le richieste delle parti si moltiplicano e le coperture sono ancora ballerine. Soprattutto quelle sul fronte delle entrate, da cui il governo punta ad ottenere circa 6 miliardi di euro. Il nodo resta quello del contributo delle banche che, in base alle posizioni emerse ieri sera al vertice di maggioranza, variano tra 2 e 5 miliardi, con Forza Italia che si posiziona sul limite basso della forchetta e la Lega su quello massimo.
Al tavolo di oggi a Palazzo Chigi i rappresentanti dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, non hanno avuto indicazioni più specifiche sulla misura che le riguarda. Solo la conferma che dal settore ci si aspetta un contributo per la manovra. In queste ore si stanno intensificando i contatti bilaterali. Si ragiona su misure concordate che non abbiamo ricadute negative sui mercati. Il punto di partenza resterebbe l’ulteriore congelamento dei crediti di imposta derivanti dalle Dta (Deferred Tax Assets) dopo la misura introdotto nella legge di bilancio per il 2025, che ha previsto il blocco dei crediti per 3 miliardi nell’anno in corso e per 1,5 miliardi nel 2026. L’ipotesi che viene presa in considerazione sarebbe quella di potenziare la misura per il prossimo anno e riproporla per il 2027 e il 2028. Di fronte ad un intervento non particolarmente doloroso per le banche, che oggi hanno a disposizione notevole liquidità, la misura sarebbe una boccata d’ossigeno per le casse dello Stato ma solo per il breve termine, perché sposterebbe i problemi agli anni successivi quando partirebbe il recupero di quello che è sostanzialmente un prestito da parte degli istituti di credito.
Non solo le banche, però: anche le assicurazioni potrebbero essere chiamate a dare un contributo alla manovra. Ma dalla riunione non sono emerse indicazioni.
Di fronte alle preoccupazioni delle imprese, Confindustria in prima linea, per la scadenza del Pnrr a giugno 2026, il ministro Giorgetti avrebbe assicurato che “finito il Piano, il governo è intenzionato a dare continuità al sostegno degli investimenti” anche “con formule che coinvolgano i capitali privati”. Il ministro avrebbe poi ricordato che il Fondo di garanzia per agevolare l’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese “non è a costo zero per lo Stato” e avrebbe anche lasciato intendere un possibile passo indietro sulla digital tax “anche a fronte di forti pressioni internazionali”. La tassa sul digitale, introdotta con la manovra per il 2025, riguarda oggi le aziende con un reddito annuo complessivo non inferiore a 750 milioni e guadagni da servizi digitali di almeno 5,5 milioni (sono esclusi banche, finanziarie, operatori di telefonia, giornali online, radio e tv).
Dall’assemblea di Assolombarda il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha ribadito quella che si prospetta è una manovra in cui “manca molto la parola crescita, che è fondamentale per creare certezza. Apprezzo il lavoro fatto dal ministro Giorgetti sul contenimento dei conti pubblici. Ma la crescita si fa con investimenti che ci servono per essere competitivi”. Lasciando Palazzo Chigi, il vicepresidente di Confindustria, Angelo Camilli, ha rimarcato la necessità di misure per favorire gli investimenti in un quadro come quello attuale che vede una crescita prossima allo zero sostenuta principalmente dal Pnrr”, ormai prossimo alla scadenza.
Al tavolo del confronto Confcommercio ha chiesto con forza la riduzione della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33% estendendo lo scaglione a 60.000 euro invece di fermarsi a 50.000 e di rendere strutturale l’ires premiale per le imprese che investono in innovazione e creano nuova occupazione. Per rilanciare subito i consumi da Confesercenti è giunta la proposta di detassare i primi 1.000 euro della tredicesima. Il mondo dell’artigianato con la Cna la sollecitato ”la riduzione dei costi energetici, il riordino dei programmi come Transizione 5.0, Industria 5.0 rendendoli a misura di piccola impresa e l’accelerazione delle semplificazioni”. Per Confartigianato, il presidente Marco Granelli ha sottolineato che “non si può ancora parlare di vera ripresa”. Occorre, quindi, adottare un “metodo artigiano”: usare bene le risorse disponibili, con visione di lungo periodo e attenzione ai territori”, con una “riforma fiscale equa, con riduzione dell’Irpef per tutte le persone fisiche, eliminazione dell’Irap per le società di persone, stabilizzazione delle detrazioni edilizie per almeno un triennio, misure per incentivare il passaggio generazionale delle aziende, abolizione di adempimenti superati come reverse charge e split payment, e una semplificazione delle misure a sostegno degli investimenti, in particolare per le piccole imprese e nella Zes unica”.
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