Tetti ai contributi elusi e raggiri sui pascoli, sequestrati beni per 17 milioni. Il sistema spiegato dal giornalista Mencini: «L’inchiesta chiude una stagione di truffe che ha creato seri problemi agli allevatori veri»
Erano due le strategie utilizzate per truffare il sistema di erogazione dei contributi agricoli: meccanismi oliati e tra loro complementari che hanno permesso a 48 imprenditori agricoli di godere in modo totalmente illegale delle risorse del Fondo Europeo Agricolo di Garanzia, per oltre 20 milioni di euro tra il 2017 e il 2022.
La truffa
A scoprirlo è stata la Guardia di Finanza di Padova: dopo perquisizioni, intercettazioni, accertamenti bancari, acquisizioni documentali, appostamenti e sorvoli aerei, la gip del Tribunale patavino Domenica Gambardella ha richiesto il sequestro preventivo di 17,2 milioni di euro, oltre a un ulteriore blocco di titoli di pagamento pari a circa 4 milioni notificato ad Agea per impedire nuovi bonifici. Dei 48 imprenditori coinvolti (6 dei quali denunciati anche per associazione a delinquere), 16 erano padovani e 14 di loro si «limitavano» a incassare i contributi illeciti senza occuparsi dell’organizzazione. A spiccare erano due di loro: Ulisse e Mattia Marcato, padre e figlio, residenti a Conselve e a Roccaraso (L’Aquila), già noti per raggiri analoghi. Erano le vere menti del sistema, capaci di orchestrare l’intero meccanismo, facendo guadagnare cifre ingenti ai colleghi e intascandone altrettante per sé. Solo dalle aziende frazionate gestite dai Marcato, con sede formale in centro a Padova, sono stati incassati circa 9 milioni di euro di contributi indebiti. Dalle aziende che avevano dichiarato pascolamento in Centro Italia, invece, sono stati ottenuti altri 1,6 milioni di euro di premi illeciti.
La denuncia di Mencini
«L’inchiesta chiude una stagione di truffe che ha creato seri problemi agli allevatori veri, di montagna che davvero portavano gli animali a fare alpeggio». Gianandrea Mencini per primo ha denunciato il sistema in base al quale greggi e mandrie figuravano essere andate in estate a nutrirsi della sostanziosa erba verde di montagna mentre in realtà gli animali dei grossi allevatori restavano in pianura, in un ambiente nel quale non c’era più pascolo ma erba secca e stoppa. E si continuava la nutrizione con i pastoni proteici o di altro tipo, probabilmente.
Le transumanze fake
Il giornalista e scrittore aveva raccontato il meccanismo delle transumanze «fake» nel libro «Pascoli di carta», pubblicato nel 2021 da Kellerman. E da allora è sorta la consapevolezza di un sistema criminale che dalla Sicilia alle Alpi si è organizzato per arraffare i fondi europei: gli animali andavano in montagna solo sulla carta perché in realtà restavano nelle stalle a valle, mentre le grosse società di allevatori ricevevano i contributi per transumanze mai effettuate. Nel migliore dei casi, andavano in montagna quelli che Mencini nel suo libro ha chiamato «Animali figuranti». Attori, in pratica. «Animali malati – spiega – portati lì sapendo benissimo che sarebbero morti. E per i quali si ottenevano i fondi Pac europei». Un sistema che negli anni è diventato collaudato nel Paese, in tutte le regioni e a tutte le latitudini. E scoperchiato da Mencini dopo «soffiate» del Cai di Domegge e degli allevatori di Auronzo di Cadore. «Tu qua in montagna vedi i pascoli. Ma non vedi le greggi. Perché ci sono solo sulla carta. Così mi dissero – ricorda il giornalista – Prendono i fondi Ue ma non portano gli animali in alpeggio. Da lì iniziò la mia inchiesta». La prima pista portò al parco dei Nebrodi, il più grande della Sicilia. «La mafia di Enna e del Messinese». Ma era prassi in tutta Italia: non mafia ma sistema.
«Nessuno faceva controlli»
«Nel 2012 la riforma Pac finì per dare più fondi agli allevatori di pianura e meno a quelli di montagna – racconta – Perché nessuno faceva controlli sugli alpeggi». Non c’è abbastanza personale di polizia nelle realtà urbane e, parimenti, non c’è neanche polizia per le mandrie. «Siccome mancavano i controlli, il malgaro vero perdeva fondi – ricorda Mencini – E i vincitori dei fondi europei, in malga non ci andavano proprio. Oppure dichiaravano di portare il bestiame su aree che non avevano prato ma roccia». Non è questione di carte e burocrazia europea che opprime gli allevatori. Perché chi sapeva come far marciare le carte e la burocrazia, lo faceva e ovviamente non se ne lamentava perché c’era margine di guadagno. Dopo il libro-denuncia, le cose sono cambiate. «Ci sono stati approfondimenti investigativi da parte degli inquirenti – annuisce Mencini – La legislazione nazionale ha sospeso i pascoli per conto terzi, sono stati scoperti allevatori che prendevano fondi senza portare gli animali alla transumanza, i veterinari si sono accorti che venivano portati al pascolo animali malati e moribondi. E questa inchiesta chiude una stagione di truffe».
Dopo dovizia di istruttoria per il tema giudiziario, resta quello politico. Che, ricorda Mencini, è la difesa di un modo di fare allevamento e agricoltura rispettoso delle tradizioni, della filiera, di tutto ciò che viene chiamato tradizione e che è la pietra d’angolo del rispetto degli animali e delle attese dei consumatori. «In pratica, un danno alla montagna per colpa dei truffatori».
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