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Manovra, Bankitalia: bisogna evitare misure temporanee che aumentano il debito pubblico




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Ultim’ora news 8 ottobre ore 9


Il Documento programmatico di finanza pubblica «non include informazioni sufficienti per avanzare valutazioni sulle singole misure» della prossima manovra. «In ogni caso, gli interventi di copertura dovranno essere certi» e andrebbero «limitati gli incrementi di spesa o le riduzioni di entrate di natura temporanea: hanno effetti solo transitori sulla domanda, aumentano il livello del debito e risultano spesso difficili da rimuovere». Lo ha sottolineato il capo del Dipartimento Economia e Statistica di Bankitalia, Andrea Brandolini, in audizione sul Dpfp – il cuore della legge di Bilancio – davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato.

La manovra 2026 sembra principalmente incentrata su una ricomposizione del bilancio e prevede un limitato aumento del disavanzo nel 2027-28 rispetto all’andamento tendenziale. Una «prudenza nella gestione delle finanze pubbliche che, per un Paese che ha un debito pubblico elevato come l’Italia, è meritoria quanto doverosa. Va coniugata con riforme strutturali che sostengano la crescita e l’innovazione». 

Ecco che Banca d’Italia suggerisce di operare in manovra «una riallocazione tra le diverse poste del bilancio che può favorire la produttività e la crescita. Ciò accadrebbe, ad esempio, aumentando le risorse a favore di investimenti, ricerca e istruzione e contestualmente razionalizzando le spese fiscali, rimuovendo gli elementi del sistema tributario che scoraggiano la crescita dimensionale delle imprese, arginando l’erosione della base imponibile dell’Irpef».

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Il Dpfp non menziona le coperture, ma si limita a fare riferimento «tra le misure espansive, alla riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro, al rifinanziamento del fondo sanitario nazionale, agli incentivi agli investimenti privati, a misure a sostegno della natalità e della conciliazione vita-lavoro». Il Documento precisa solo che il 60% delle coperture verrà dalle maggiori entrate e il resto dalla spending review. Partendo dal lato delle uscite, Via Nazionale sottolinea però che in rapporto al pil, la spesa per pensioni (che resta più alta della media dell’Ue) e la spesa sanitaria (a un valore contenuto rispetto alle altre grandi economie europee) rimarrebbero sostanzialmente stabili, rispettivamente intorno al 15,3% e al 6,4%. 

Quanto al lato delle entrate, il miglioramento dei conti è dovuto al forte calo dell’incidenza sul pil delle spese primarie sia correnti (-0,9 punti percentuali) sia in conto capitale (-0,7 punti). E i redditi da lavoro dei dipendenti pubblici contribuirebbero alla riduzione dell’incidenza della spesa primaria corrente per 0,3 punti, scendendo all’8,7% nel 2028 «uno dei valori più bassi dell’ultimo quarto di secolo». In termini nominali la spesa per i redditi da lavoro dipendente crescerebbe in media dell’1,5% all’anno, a fronte di un aumento del deflatore dei consumi privati pari all’1,8%, spiega Brandolini. 

Le incognite dazi e spese per la difesa

Serve un lavoro nazionale importante perché il contesto internazionale rimane segnato da «molteplici fattori di instabilità, in primo luogo riconducibili all’inasprimento delle politiche commerciali e più in generale delle tensioni geopolitiche».

In particolare, già il pil italiano è lievemente diminuito nel secondo trimestre del 2025, in larga parte per «la caduta delle vendite all’estero, che anche nel nostro Paese erano state precedentemente sostenute dall’anticipo degli acquisti dagli Stati Uniti», ha precisato Brandolini. E «gran parte dell’impatto dell’orientamento protezionistico statunitense deve ancora manifestarsi e gli scambi globali soprattutto dalla seconda metà dell’anno in corso».

D’altro canto, le tensioni geopolitiche hanno spinto l’Italia, insieme ai partner della Nato, a sottoscrivere impegni a livello internazionale, che comportano un significativo aumento delle spese per la difesa: «Il sentiero programmatico delineato includerebbe solo in parte l’aumento che sarebbe coerente con tali accordi», evidenzia Via Nazionale.

Il Dpfp «sembra non includere, se non in parte, maggiori oneri per la capacità di difesa», sebbene il Documento «giudichi realistico, sulla base degli impegni presi in sede Nato, un graduale aumento della spesa nel prossimo triennio, fino a 0,5 punti di pil in più nel 2028». Ma in assenza di misure correttive ulteriori rispetto alla manovra, una maggiore spesa per la difesa rispetto a quella incorporata nel tendenziale, condurrebbe a una «dinamica della spesa netta più sostenuta rispetto a quanto programmato». E qualora ciò avesse luogo in un momento in cui l’Italia non fosse più in una procedura per deficit eccessivo, «per non rientrarvi immediatamente si potrebbe rendere necessario ricorrere all’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale per le spese in difesa, secondo quanto delineato dalla Commissione europea lo scorso marzo».

Secondo le stime della Nato della fine dell’agosto scorso, la spesa per difesa dell’Italia dovrebbe raggiungere il 2% del pil nel 2025, in aumento dall’1,5 del 2024. L’Italia, spiega Bankitalia, «è tra i Paesi ad aver manifestato interesse ad accedere alle risorse previste nell’ambito del Security Action For Europe (Safe), uno strumento pensato per finanziare, attraverso prestiti concessi dall’Ue, programmi possibilmente congiunti di più paesi membri per investimenti in difesa, infrastrutture a utilizzo sia civile sia militare, cyber-security, filiere strategiche». La Commissione ha provvisoriamente allocato 14,9 dei 150 miliardi disponibili all’Italia, che dovrà presentare i propri progetti entro il 30 novembre.

A proposito di risorse Ue, per quanto riguarda il completamento del Pnrr, alla luce delle previsioni aggiornate sulla spesa effettivamente realizzata entro la fine dell’anno in corso, «l’imminente revisione del Piano è un’importante occasione da cogliere» ha suggerito Brandolini. (riproduzione riservata)

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