L’annuncio al convegno sui data center. Negli ultimi anni uno sviluppo marcato: tassi di crescita del 24%, che possono aumentare. «Vogliamo attrarre più investimenti»
«Con una rete elettrica tra le più efficienti ne performanti al mondo, una solida infrastruttura in fibra ottica e un rete di cavi sottomarini, anch’essi in fibra, che fanno dell’Italia l’hub naturale delle comunicazioni nel Mediterraneo, possiamo crescere in fretta nell’economia dei dati coi chip, con le imprese dell’AI e coi data center, motori di questo sviluppo».
Al convegno dell’Associazione dei data center (IDA), il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, è partito dall’analisi del suo presidente, Sherif Rizkalla che ha presentato un quadro con luci e ombre: tra le prime il forte sviluppo degli ultimi 7 anni. Dopo una partenza lenta, tassi di crescita annua del 24% a fronte del 10% della media Ue. Nei prossimi tre anni dovrebbe andare ancora meglio con una crescita media del 36% (14% previsti per il resto della Ue) e investimenti per 21,8 miliardi di dollari in 5 anni.
Cifre da capogiro, buone per squilli di tromba dei giornali ma poco realistiche? Rizkalla invita a riflettere su quanto sta accadendo in Spagna dove la sola Amazon ha varato investimenti per 14 miliardi. Dunque fattibile, ma solo se verranno cacciate via le ombre, che non sono poche: lentezze burocratiche (dai 4 ai 7 anni per ottenere un’autorizzazione), rischio di colli di bottiglia energetici, assenza di un quadro normativo che favorisca uno sviluppo equilibrato, esteso anche al Sud. Ostacoli che, se non rimossi, possono frenare gli investimenti, soprattutto quelli provenienti dall’estero.
Urso ha risposto sottolineando in primo luogo che il suo dicastero ha definito una strategia per attrarre gli investimenti dei cosiddetti hyperscaler, i giganti Usa dell’intelligenza artificiale (AI), proprio col contributo dell’IDA e degli altri operatori del settore. Aggiungendo che, intanto, il governo sta già utilizzando gli strumenti disponibili per accelerare gli investimenti: soprattutto quelli straordinari usati per ricostruire il Ponte Morandi che consentono, per investimenti strategici del valore di oltre un miliardo di euro, di snellire le procedure, affidando a un commissario straordinario i poteri autorizzativi.
Urso ha detto che la «procedura Morandi», già usata per autorizzare la fabbrica di chip di Silicon Box (gruppo di Singapore) a Novara e quella della danese Novo Nordisk (farmaci) nel Lazio, è stata appena utilizzata anche per dare via libera all’investimento dati di Amazon nel Milanese. E sono già pronti altri progetti miliardari nei data center.
Poi il ministro si è spinto oltre affermando che l’Italia è decisa a conquistare uno delle cinque gigafactory dell’AI che la UE intende lanciare (e cofinanziare) come risposta al progetto americano Stargate. Alla gara alla quale partecipano ben 77 soggetti europei, l’Italia si presenta, ha spiegato il ministro, con unico consorzio che riunisce le competenze industriali nelle varie aree, dalla difesa all’energia, a quelle scientifiche. Piani coperti dalle regole di riservatezza imposte dalla Commissione di Ursula von der Leyen, ma che dovrebbero darci maggiori chance con una proposta organica e coordinata. Che dovrebbe prevedere anche una presenza al Sud, fin qui assente da uno sviluppo dei data center concentrati per l’80% in Lombardia.
Non sono solo rose. I data center sono impianti di grandi dimensioni che bruciano molta energia e consumano risorse idriche per i cicli di raffreddamento. Per questo c’è chi invita alla prudenza e teme che, nella fretta di dare via libera ai giganti, non vengano adeguatamente valutati i rischi. Ma il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica di Gilberto Pichetto Fratin sta studiando una procedura, da affiancare a quella per casi straordinari, che consenta, senza rinunciare alle valutazioni di impatto ambientale, di unificare le analisi dei vari aspetti critici e le decisioni in un’unica sede.
Mario Nobile, direttore dell’AGID, l’agenzia tecnica per l’Italia digitale costituita presso la presidenza del Consiglio, avverte che le resistenze sono notevoli tanto che sono nati anche movimenti «no data center» ai quali lui risponde in due modi. Intanto coi numeri globali: dalle indagini svolte a livello internazionale emerge che, per “servire un pianeta con 8,2 miliardi di abitanti, serviranno data center con una potenza complessiva di 300 gigawatt. Oggi siamo a 60, in gran parte basati negli Usa e in Cina. In Italia siamo tra 500 megawatt e un giga. C’è un enorme spazio di crescita e, infatti, i Paesi del Golfo stanno investendo massicciamente in questo campo. Non possiamo tirarci indietro davanti a un’opportunità che è anche un’esigenza, visto che tutti consumiamo potenza dei data center con i nostri smartphone o scaricando un film, usando lo streaming.
E se è vero che queste infrastrutture consumano energia e producono calore, per Nobile bisogna guardare al risultato finale: i forti cali di consumi energetici nei trasporti, il miglioramento delle cure mediche, la riduzione delle emissioni dell’industria e l’aumento dell’efficienza dell’agricoltura che deriveranno da un uso diffuso dell’intelligenza artificiale alimentata dai data center.
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