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La 15esima edizione dell’evento Isola del Tesolio, organizzato da Barbera in collaborazione con Co.Fi.Ol. – Consorzio della Filiera Olivicola

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La 15esima edizione dell’evento Isola del Tesolio, organizzato da Barbera in collaborazione con Co.Fi.Ol. – Consorzio della Filiera Olivicola il 12 e 13 settembre a Mondello (Palermo), ha fatto il punto su produzioni e strategie per l’export e per continuare a promuovere l’olivicoltura siciliana. Si tratta infatti di un settore importante per l’isola, con 280.000 tonnellate di olive da olio raccolte, 34.000 tonnellate di olio prodotto, pari a circa l’11% del totale della produzione italiana, in 15.000 ettari coltivati a uliveto, pari al 14% a livello nazionale (Studio Prometeia promosso da Unicredit).

La filiera dell’olio siciliana all’Isola del Tesolio

L’olivicoltura è un settore importante per la Sicilia ma presenta alcune criticità, come la ridotta dimensione delle aziende agricole, in media 1,3 ettari (la metà rispetto alla Puglia per esempio), la ridota specializzazione (circa un terzo sono solo olivicole, le altre hanno anche altre coltivazioni). Su questi dati impatta lo scenario internazionale con i dazi al 15% e soprattutto la svalutazione del dollaro che porta costi per un altro 22%. Aziende come Barbera esportano negli Stati Uniti il 50% della produzione.

Una soluzione per sostenere il settore sono gli accordi di filiera, e in Sicilia ce ne sono già 4 che coinvolgono il mondo dell’olio. L’aggregazione e il matrimonio tra agroalimentare e agricoltura ha fatto cambiare il posizionamento dei prodotti, con una segmentazione migliore che oggi prevede anche la fascia premium. L’Isola del Tesolio nasce proprio così, come primo progetto di aggregazione di filiera, allargata anche agli altri attori dell’agroalimentare siciliano, con l’olio che diventa una sorta di direttore d’orchestra in cucina. Un’aggregazione tra domanda e offerta, oltre che di filiera.

L’altro tassello da completare è quello della formazione: non gli assaggiatori per l’olio, o gli agronomi, ma una formazione mirata per gli imprenditori dell’olio, come la laurea in Enologia per il vino. Questa è la proposta formalizzata da Manfredi Barbera, Ad dell’omonima azienda, che la sostiene ormai da 10 anni, da localizzare in Sicilia perché al centro del Mediterraneo, e dunque della produzione di olio non solo italiano. La proposta ha raccolto diverse adesioni nel corso del convegno l’Isola del Tesolio, da Maurizio Servili di UniPg a Federolio. “Sono tre gli obiettivi che mi propongo con la formazione – ha detto Manfredi Barbera – dare lustro alla Sicilia, dare un futuro ai giovani e dare un vantaggio alle aziende della filiera. Oggi gli imprenditori per avere successo hanno bisogno di alta specializzazione”. Primi destinatari: gli attuali imprenditori siciliani, ma anche quelli greci, tunisini, spagnoli. Una proposta, questa di apertura all’Europa, che ha riscosso l’applauso dell’aula.

Intervista a Manfredi Barbera

L’azienda Barbera nasce alla fine dell’800, quando i marchi venivano riconosciuti più attraverso l’immagine del logo (l’aquila per Barbera, confermata anche per i tempi moderni) che la lettura del nome. Manfredi Barbera è riuscito nella difficile operazione di far superare all’azienda di famiglia le difficoltà legate alla congiuntura negli Anni 80, con i contributi all’imbottigliamento che hanno falsato il mercato, e quelle legate al passaggio generazionale con la terza generazione poco interessata a portare avanti il business.

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Oggi l’azienda fa parte dei cinque marchi storici dell’olio d’oliva italiano, ha un fatturato di 50 milioni di euro, sviluppato al 60% all’estero.

L'Isola del Tesolio“Quando sono entrato in azienda mi sono posto l’obiettivo minimo di portare in pensione tutti i vecchi dipendenti di mio nonno – racconta Manfredi Barbera, l’attuale Ceo -. Quando stavo per mettere l’azienda in liquidazione, finalmente la Comunità Europea ha levato i contributi all’imbottigliamento, e ho visto la possibilità di giocare ad armi pari. In quel momento ho avuto la visione del progetto di rilancio, che ho messo in pratica: aggregazione della filiera, innovazione e sperimentazione”.

Intanto la quarta generazione di prepara a entrare in azienda, anche se ci vorranno almeno altri 5 anni per concludere la formazione e fare il necessario apprendistato, prima fuori dall’azienda. Con un’apertura ulteriore; la filiale statunitense aperta nel 2019, che ha esordito con un fatturato di 300.000 dollari e oggi ne fattura 6 milioni.

“Siamo cresciuti mettendo in pratica quello che si impara sui libri di marketing – prosegue- segmentazione e diversificazione. Prima di tutto geograficamente: il 40% delle vendite avviene in Italia, il 60% in quasi 50 Paesi, segmentando il mercato da prodotti di super nicchia al mass market, tra canali horeca e gdo”. Circa il 90% del fatturato deriva dalla vendita di prodotti con il marchio Barbera, ma c’è anche la disponibilità su richieste specifiche a fare marca privata: il progetto deve essere coerente con i valori Barbera, il posizionamento premium, e magari la possibilità di allargare la distribuzione del marchio Barbera.

“Non accettiamo compromessi sulla qualità, di prodotto ma anche etica, e nell’attenzione al consumatore. Devo dire che abbiamo imparato tanto uscendo dalla confort zone: l’esperienza nell’export ci ha consentito di affermarci meglio in Italia”. Quando Manfredi Barbera è entrato in azienda, ormai 25 anni fa, è partito proprio dall’internazionalizzazione e dall’affermarsi come prodotto premium, sulla scorta di quanto avveniva con il vino e l’insegnamento di Carlo Petrini. Il claim è “industriali nella mente e artigiani nel cuore”. In Italia il marchio Barbera è distribuito in Esselunga, Bennet, Conad, Coop, ma anche nei discount. “Abbiamo compiuto un piccolo miracolo: siamo partiti da un segmento che in Italia non esisteva, il super premium, la nicchia, e successivamente per noi è stato facile proporre oli di qualità anche a prezzi accessibili. Non si può dire lo stesso per altre aziende che sono partite da livelli bassi”. Perché esserci anche nel discount, anche con il proprio brand? “Perché il mercato ha una quota importante in quel segmento, e anche il discount ha bisogno di un prodotto premium. Tutti vogliono avere un’offerta diversificata”.

Dove va l’olivicoltura italiana? Spunti per l’innovazione

Originale, esclusivo, esperienziale, salutistico: sono le direzioni e i valori che l’olio d’oliva italiano dovrebbe abbracciare per sostenere la concorrenza internazionale, come emerge dal convegno Isola del Tesolio. L’Italia ha una tradizione di produzione artigianale, mentre all’estero la produzione è industriale e si basa su 3 cultivar selezionate sulle 750 esistenti, con una competizione basata sul prezzo, e non sul prodotto.

“L’olivicoltura italiana affronta due sfide, quella dei piccoli appezzamenti, e dell’ampia base varietale – dice Tiziano Caruso, UniPa -, Anche se l’oliveto tradizionale produce con qualità ottima, pone troppi problemi di sicurezza, tempistiche di raccolta (che impattano sulla qualità), scarsa plasticità nell’adattamento territoriale, costi di gestione, da essere insostenibile, Per non andare sull’oliveto intensivo o super intensivo, che non sono nella tradizione italiana, la soluzione è l‘oliveto pedonale, pedestrian orchard, con le piante raggiungibili senza scale”. I sistemi meccanizzabili sono due; palmetta e vaso globoso. “Se si lavora bene, la densità dell’impianto e la forma di allevamento non impattano negativamente sulla qualità del prodotto”, afferma il professore.

“In un paese come l’Italia dove l’olivicoltura è per la maggior parte di tipo tradizionale, bisogna lavorare sulla differenziazione di prodotto, sull’innovazione di processo e sulla sostenibilità, prima di tutto economica”, ha detto Maurizio Servili, UniPg.

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Per farlo, non basta sottrarre dalle olive il solo olio, bisogna lavorare per valorizzare anche le sanse, il paté e l’acqua di vegetazione. Per esempio, per uso zootecnico, con vantaggi per la salute animale e la qualità del latte; oppure per sottrarre polifenoli in polvere, o per realizzare una crema di olive ad elevato contenuto di polifenoli biodisponibili, ricca di fibre e con pochissimo olio.

Un’altra strategia utile sarebbe quella di utilizzare i claim del regolamento europeo 2012, che già utilizza per esempio l’industria dell’olio di semi, e che all’estero sono già richiesti. Tra questi: acido oleico, vitamina E, polifenoli, sono tutti già utilizzabili senza ulteriori certificazioni.

 





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