Il Terzo settore rappresenta una colonna portante dell’economia sociale italiana, contribuendo a garantire coesione e resilienza soprattutto in fasi di transizione demografica, tecnologica e occupazionale. Secondo il recente Rapporto annuale INPS, la crescita degli assicurati e degli occupati conferma il ruolo strategico di questo comparto.
Contestualmente, la digitalizzazione dei servizi e l’introduzione di strumenti d’intelligenza artificiale hanno rafforzato l’adozione di modelli di welfare generativo, trasformando i paradigmi di tutela e inclusione sociale. Tuttavia, la persistenza di criticità strutturali in termini di distribuzione geografica, stabilità contrattuale e livelli retributivi impone una riflessione approfondita sulle politiche di sostegno pubblico e sulle prospettive di sviluppo sostenibile.
Panoramica statistica: aziende, occupati e distribuzione geografica
La fotografia aggiornata del Terzo settore evidenzia una costante espansione della base occupazionale. Nel 2024, secondo dati integrati dagli archivi Runts e Uniemens, i lavoratori con almeno un contributo previdenziale si attestano a quota 890.388, segnando una crescita del 3,6% rispetto all’anno precedente e del 6,5% sul biennio. La Lombardia guida la classifica regionale con oltre 211mila addetti, pari al 23,7% del totale nazionale, seguita da Lazio, Emilia-Romagna e Toscana. In sintesi:
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Peso territoriale: Oltre il 53,9% degli occupati lavora al Nord, con una preponderanza nel Nord Ovest (31,9%) e Nord Est (22%). Il Centro Italia raccoglie il 20,6%, mentre il Mezzogiorno rimane sotto rappresentato (25,5%). -
Regioni del Sud come Campania, Puglia e Sicilia presentano una quota di lavoratori significativamente inferiore nonostante l’elevata popolazione residente.
Questi squilibri riflettono sia una diversa maturità del tessuto associativo che una molteplicità di fattori strutturali: nelle aree settentrionali si registra una maggiore densità organizzativa, un sistema di rete più efficiente e rapporti più stabili con le amministrazioni pubbliche attraverso strumenti come co-progettazione e co-programmazione. Al contrario, nei territori meridionali la minore stabilità dei finanziamenti e una capacità organizzativa meno consolidata limitano le potenzialità di crescita e l’impatto occupazionale degli enti. Diventa allora interessante la seguente tabella:
Regione
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Occupati
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% sul totale
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Lombardia
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211.000
|
23,7%
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Lazio
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73.000
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8,2%
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Emilia-Romagna
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82.000
|
9,2%
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Toscana
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62.000
|
7,0%
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Campania
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54.000
|
6,1%
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Puglia
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41.000
|
4,6%
|
Sicilia
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30.000
|
3,4%
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Il dato territoriale rafforza la necessità di politiche pubbliche differenziate e di strategie di rafforzamento delle capacità organizzative, specie nelle Regioni svantaggiate.
Composizione del lavoro: profili demografici e tipologie contrattuali
L’analisi demografica degli occupati nel Terzo settore racconta di una forza lavoro in prevalenza femminile (71,6%), mentre la quota giovanile rimane circoscritta al 28,2% per la fascia under 34. L’età più rappresentata resta quella compresa tra 35 e 54 anni (48,3%). L’incremento degli occupati dipende in larga parte dal mondo privato non agricolo, che da solo copre l’85% della crescita registrata nel biennio. La fotografia è la seguente:
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Lavoro part-time: Risulta particolarmente diffuso (61,7%), con incidenza maggiore tra le donne (63,3% anche nei contratti a tempo indeterminato). -
Contratti stabili: Solo il 56,8% dei dipendenti può contare su una posizione a tempo indeterminato. Meno di 325mila lavoratori svolgono attività full time e a tempo indeterminato su un totale stimato di 850mila dipendenti. -
Collaboratori e gestione separata: Circa il 5% degli addetti opera tramite contratti di collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co) e iscrizione alla Gestione separata INPS. L’81% dei collaboratori è attivo esclusivamente nel comparto.
Il quadro che emerge evidenzia una formazione professionale fortemente legata alle categorie femminili e un’alta prevalenza di rapporti flessibili, indicando la necessità di rinnovare i modelli contrattuali per garantire una maggiore stabilità occupazionale e una crescita più equilibrata rispetto alla componente anagrafica:
Tipologia
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% complessiva
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Donne
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71,6%
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Under 34
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28,2%
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35-54 anni
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48,3%
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Part-time tra i dipendenti
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61,7%
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Tempo indeterminato
|
56,8%
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Redditi medi, precarietà occupazionale e principali criticità
Nonostante la crescita occupazionale, permangono debolezze strutturali significative sul piano retributivo e contrattuale. I dati evidenziano in modo chiaro l’incidenza del lavoro precario e il ricorso diffuso a impieghi part-time, con conseguenze tangibili sulla sostenibilità dei redditi annuali:
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Reddito medio dei dipendenti: 15.452 euro/anno se impiegati esclusivamente nel settore; 18.126 euro se integrato con attività esterne. -
Reddito medio collaboratori: 6.681 euro/anno per i collaboratori “esclusivi” del settore; 10.630 euro per chi cumula incarichi anche fuori dal comparto. -
Copertura del reddito totale: Il Terzo settore rappresenta in media l’87,8% del reddito annuo totale degli occupati, confermando la centralità dell’occupazione settoriale sulle economie familiari coinvolte.
Categoria |
Reddito medio annuo
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Dipendenti esclusivi
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15.452 €
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Dipendenti con integrazione esterna
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18.126 €
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Collaboratori esclusivi
|
6.681 €
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Collaboratori con integrazione esterna
|
10.630 €
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L’alto ricorso a contratti non stabili e a orari ridotti penalizza l’accumulazione previdenziale e riduce la prospettiva di stabilità economica, in particolar modo per donne e giovani. Questo scenario evidenzia la necessità di strumenti di incentivazione contrattuale e fiscale per favorire stabilizzazione e incremento retributivo, obiettivo già sottolineato sia dai dati INPS sia dalla collaborazione con la Fondazione Terzjus.
Il nuovo quadro fiscale per il Terzo Settore dal 2026
A partire dal 1 gennaio 2026 sarà operativa la riforma fiscale prevista dal Codice del Terzo Settore, a seguito del recente Dlgs 117/2017 e successive modifiche. Tale quadro ridefinisce in modo organico il regime impositivo e la qualificazione fiscale degli enti, distinguendo tra attività d’interesse generale e, per le imprese sociali, la possibilità di esclusione dalla base imponibile degli utili destinati a riserva statutaria o incremento patrimoniale.
La riforma delinea una fiscalità più armonizzata con i principi generali del diritto comunitario, come avvalorato dalla comfort letter della Commissione Europea. Il nuovo assetto, diversificato in base al periodo di chiusura dell’esercizio, mira a rendere più attrattivo e sostenibile il quadro fiscale per le realtà non profit, riducendo incertezza normativa e semplificando gli adempimenti amministrativi.
Le realtà del non profit assumono una funzione cardine all’interno dell’architettura delle politiche pubbliche italiane, specie nelle azioni di welfare generativo e inclusivo. Attraverso collaborazioni strutturate con amministrazioni territoriali e la valorizzazione della co-programmazione, gli enti del Terzo settore contribuiscono a intercettare le fragilità sociali in anticipo, attivando reti di sostegno preventive e innovative.
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Accordi territoriali tra INPS, amministrazioni comunali e Terzo settore (esempio: 56 patti locali per l’inclusione). -
Coinvolgimento diretto nella gestione di strumenti come Assegno di Inclusione (ADI), Bonus asilo nido e misure di decontribuzione per la genitorialità. -
Potenziamento delle interazioni tra pubblico e privato nella gestione dei fondi e nell’erogazione dei servizi locali.
L’incremento occupazionale e la maggiore personalizzazione dei servizi grazie alla tecnologia e all’intelligenza artificiale evidenziano una crescente efficacia delle politiche di inclusione. Il settore si conferma catalizzatore di coesione sociale e volano per misure di prevenzione delle emergenze, come ribadito dal nuovo Piano della Vigilanza INPS e dalle direttive sulla legalità condivise con la Corte dei Conti.
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